Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6925 del 02/03/2022

Cassazione civile sez. VI, 02/03/2022, (ud. 02/02/2022, dep. 02/03/2022), n.6925

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 18528 del ruolo generale dell’anno

2020, proposto da:

M.M. (C.F.: (OMISSIS)) rappresentato e difeso dagli

avvocati Luciano Botti (C.F.: (OMISSIS)) e Giovanni Chirico (C.F.:

(OMISSIS));

– ricorrente –

nei confronti di:

ANAS S.p.A. (P.I.: (OMISSIS)), in persona del funzionario,

rappresentante per procura, R.N. rappresentato e difeso

dall’avvocato Tommaso Chirico (C.F.: (OMISSIS));

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Salerno n.

1587/2019, pubblicata in data 21 novembre 2019;

udita la relazione sulla causa svolta nella camera di consiglio in

data 2 febbraio 2022 dal consigliere Dott. Tatangelo Augusto.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

M.M. ha agito in giudizio nei confronti dell’ANAS S.p.A. per ottenere il risarcimento dei danni subiti in conseguenza di un incidente stradale di cui era stato vittima in data 30 settembre 2005, a suo dire causato da difetto di manutenzione del fondo stradale.

La domanda è stata rigettata dal Tribunale di Salerno.

La Corte di Appello di Salerno ha confermato la decisione di primo grado.

Ricorre il M., sulla base di tre motivi.

Resiste con controricorso l’ANAS S.p.A..

E’ stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375,376 e 380 bis c.p.c., in quanto il relatore ha ritenuto che il ricorso fosse destinato ad essere dichiarato manifestamente infondato.

E’ stata quindi fissata con decreto l’adunanza della Corte, e il decreto è stato notificato alle parti con l’indicazione della proposta.

Il ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis, comma 2, c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “Violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, artt. 2051 e 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

Con il secondo motivo si denunzia “Violazione o falsa applicazione degli artt. 116 c.p.c., 1227 e 2051 c. c., nonché degli artt. 2727 e 2729 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c. comma 1, n. 5”. I primi due motivi del ricorso sono logicamente e giuridicamente connessi e possono, quindi, essere esaminati congiuntamente.

Il ricorrente deduce che la corte di appello lo avrebbe erroneamente gravato, in violazione degli artt. 2051 e 2697 c.c., dell’onere della prova di una condotta colposa del custode della cosa che aveva causato l’evento dannoso.

Sostiene inoltre che, sulla base delle prove acquisite e, in particolare, delle deposizioni dei testi escussi (a suo dire erroneamente ritenuti inattendibili dal giudice di primo grado), avrebbe dovuto ritenersi adeguatamente dimostrato il nesso di causa tra l’esistenza di una pozza d’acqua di notevoli dimensioni presente sulla carreggiata della strada (non agevolmente visibile ed evitabile, che “non trovava la sua origine in un fenomeno meteorologico di carattere eccezionale, ma nell’avvenuta otturazione dei tombini destinati al deflusso dell’acqua piovana per omessa manutenzione e/o controllo di un manufatto costituente parte della struttura autostradale”, secondo la prospettazione di cui al ricorso) e l’evento dannoso, costituito dalla perdita di controllo del proprio autoveicolo.

Afferma, infine, che non sarebbero stati adeguatamente valutati, ai sensi degli artt. 2727 e 2729 c.c., gli elementi di prova presuntiva in relazione all’incidenza della propria condotta nella causazione dell’evento dannoso, ritenuta erroneamente causa esclusiva di quest’ultimo e non (al massimo) semplice causa concorrente, come tale idonea a limitare ma non ad escludere la responsabilità dell’ente convenuto, ai sensi dell’art. 1227 c.c..

I motivi di ricorso in esame sono in parte inammissibili ed in parte manifestamente infondati.

La corte di appello, in primo luogo, non ha affatto ritenuto il ricorrente onerato della prova di una condotta colposa dell’ente custode della strada dove aveva avuto luogo l’incidente, come emerge chiaramente da una valutazione complessiva della motivazione della sentenza impugnata.

Sotto tale profilo, contrariamente a quanto affermato nel ricorso, non può attribuirsi alcun rilievo al passaggio in cui i giudici di secondo grado affermano che il M. avrebbe erroneamente sostenuto che “la colpa per il danno subito sia da ascrivere alla mancata manutenzione dell’Anas della strada”, in quanto si tratta di una affermazione riferita alle allegazioni di parte attrice e che, comunque, nel contesto del complessivo percorso argomentativo della sentenza, non implica affatto che si sia ritenuta necessaria la prova di una condotta colposa del custode.

La decisione impugnata risulta infatti, in diritto, del tutto conforme ai principi che, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, cui si intende dare continuità, regolano la responsabilità per cose in custodia di cui all’art. 2051 c.c., secondo i quali:

a) il criterio di imputazione della responsabilità fondato sul rapporto di custodia di cui all’art. 2051 c.c. opera in termini rigorosamente oggettivi;

b) il danneggiato ha il solo onere di provare il nesso di causa tra la cosa in custodia (a prescindere dalla sua pericolosità o dalle sue caratteristiche intrinseche) ed il danno, mentre al custode spetta l’onere della prova liberatoria del caso fortuito, inteso come fattore che, in base ai principi della regolarità o adeguatezza causale, esclude il nesso eziologico tra cosa e danno, ed è comprensivo del fatto del terzo e della condotta incauta della vittima;

c) la deduzione di omissioni, violazione di obblighi di legge, di regole tecniche o di criteri di comune prudenza da parte del custode rileva ai fini della sola fattispecie dell’art. 2043 c.c., salvo che la deduzione non sia diretta soltanto a dimostrare lo stato della cosa e la sua capacità di recare danno, e a sostenere allegazione e prova del rapporto causale tra quella e l’evento dannoso (si vedano, in proposito: Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 25856 del 2017; Sez. 3, Ordinanza n. 2478 del 01/02/2018; Sez. 3, Ordinanza n. 2480 del 01/02/2018, Sez. 3, Ordinanza n. 2482 del 01/02/2018; Sez. 3, Sentenza n. 8229 del 07/04/2010, Rv. 612442 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 12027 del 16/05/2017, Rv. 644285 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 25856 del 2017).

In corretta applicazione di tali principi di diritto, la corte territoriale ha escluso la responsabilità dell’ente convenuto, non per la mancata dimostrazione da parte dell’attore di una condotta colposa di detto ente, ma per la mancata prova del nesso di causa tra la cosa in custodia e l’evento dannoso: all’esito della valutazione delle prove, ha, infatti, ritenuto non sufficientemente provate le circostanze di fatto allegate dallo stesso attore in relazione alla dinamica dell’incidente e, in particolare, ha ritenuto non provato che quest’ultimo si fosse verificato, come da lui sostenuto, a causa di una anomalia del fondo stradale (dovuta, nella prospettazione dell’attore stesso, ad una pozza d’acqua di notevoli dimensioni non visibile e non evitabile).

Sebbene il difetto di prova del nesso di causa tra cosa in custodia e danno fosse di per sé sufficiente per il rigetto della domanda, ha anche aggiunto, ad abundantiam, che l’incidente aveva avuto verosimilmente luogo a causa di una condotta di guida del danneggiato non adeguata alle condizioni metereologiche e della sede stradale: in altri termini, sotto un profilo ulteriore e concorrente rispetto a quello relativo al difetto di prova del nesso di causa tra cosa in custodia e danno, la corte ha ritenuto altresì emergere dalle prove che l’evento dannoso era stato determinato esclusivamente da una condotta talmente incauta dello stesso danneggiato, da doversi considerare idonea, anche da sola, ad escludere l’indicato nesso di causa.

Si tratta di accertamenti di fatto operati dai giudici del merito sulla base della prudente valutazione delle prove e dell’esame di tutti i fatti storici rilevanti, sostenuti da adeguata motivazione, non meramente apparente né insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non censurabile nella presente sede.

Sotto tale profilo, le argomentazioni esposte dal ricorrente nel motivo di ricorso in esame si risolvono, nella sostanza, in una contestazione dei suddetti accertamenti di fatto e in una richiesta di nuova e diversa valutazione delle prove, il che non è consentito nel giudizio di legittimità.

Le censure di cui al motivo di ricorso in esame risultano, d’altronde, manifestamente infondate in diritto, per quanto sin qui osservato, nella parte in cui denunciano la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e art. 116 c.p.c., nonché degli artt. 2051,2697,1227,2727 e 2729 c.c..

2. Con il terzo motivo si denunzia “Violazione dell’art. 112 c.p.c., artt. 2043 e 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c. comma 1, n. 4”.

Il ricorrente sostiene che la corte di appello non avrebbe esaminato la propria domanda subordinata, diretta ad ottenere l’affermazione della responsabilità dell’ente convenuto ai sensi dell’art. 2043 c.c., per il caso in cui si fossero ritenuti insussistenti i presupposti per l’applicabilità dell’art. 2051 c.c..

Il motivo è manifestamente infondato.

E’ sufficiente in proposito osservare che le ragioni per le quali la corte di appello ha escluso la sussistenza della responsabilità oggettiva dell’ente convenuto ai sensi dell’art. 2051 c.c. (e cioè la mancata prova del nesso di causa tra cosa in custodia ed evento dannoso, nonché l’accertamento, in fatto, che causa esclusiva di detto evento fosse la condotta incauta dello stesso danneggiato) rendono ampiamente conto, anche a più forte ragione, dell’insussistenza dei ben più rigorosi presupposti per l’affermazione della responsabilità per condotta illecita colposa, ai sensi dell’art. 2043 c.c., del medesimo ente.

3. Il ricorso è rigettato.

Nulla è a dirsi in relazione alle spese del presente giudizio, in quanto l’ente intimato non è regolarmente costituito.

In caso di proposizione del ricorso (e/o del controricorso) a mezzo di procuratore (generale o speciale), ai sensi dell’art. 77 c.p.c., la produzione del relativo documento che contenga la procura è indispensabile per la verifica del corretto conferimento dei poteri, sostanziali e processuali, al procuratore, a norma dell’art. 77 c.p.c. e, in mancanza, il ricorso (o il controricorso) è inammissibile; il vizio è sempre rilevabile di ufficio (diversamente da quanto avviene in caso di costituzione del legale rappresentante dell’ente o di soggetto al quale il potere di rappresentanza deriva direttamente dall’atto costitutivo o Data pubblicazione 02/03/2022 dallo Statuto) e non basta che colui che si qualifica come rappresentante dell’ente in forza di una procura notarile ne indichi gli estremi, in quanto, se l’atto non è stato prodotto, resta ferma l’impossibilità di verificare il potere rappresentativo del soggetto (giurisprudenza costante di questa Corte; cfr. Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 11898 del 07/05/2019, Rv. 653802 01; Sez. 2, Sentenza n. 4924 del 27/02/2017, Rv. 643163 01; Sez. 3, Sentenza n. 21803 del 28/10/2016, Rv. 642963 01; Sez. 3, Sentenza n. 16274 del 31/07/2015, Rv. 636620 01; Sez. L, Sentenza n. 23786 del 21/10/2013, Rv. 628512 01; Sez. 1, Sentenza n. 1345 del 21/01/2013, Rv. 624765 01; Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 9091 del 05/06/2012, Rv. 622651 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 13207 del 26/07/2012, non massi-mata; Sez. 1, Sentenza n. 22009 del 19/10/2007, Rv. 599237 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 10122 del 02/05/2007, Rv. 597012 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 11285 del 27/05/2005, Rv. 582413 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 11188 del 26/05/2005, Rv. 582325 – 01).

Nella specie, la controricorrente ANAS S.p.A. risulta costituita nel presente giudizio in persona del funzionario R.N., che si qualifica procuratore (quindi rappresentante volontario) della stessa in virtù di procura per notaio G.E. (rep. 25457; racc. 9774), registrata in data 20 marzo 2019; in tale qualità il R. ha sottoscritto il mandato difensivo all’avvocato Chirico.

L’indicata procura non è stata però prodotta in giudizio.

Il controricorso è pertanto inammissibile.

Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al del D.P.R. n. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– nulla per le spese.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2022

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