Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6924 del 08/04/2016


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 6924 Anno 2016
Presidente: FORTE FABRIZIO
Relatore: NAZZICONE LOREDANA

SENTENZA

sul ricorso 22512-2010 proposto da:
IMPOSIMATO

BENITO

(c.f.

MPSBNT39B22B076C),

elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE PARIOLI 40,
presso l’avvocato MASSIMILIANO TERRIGNO, rappresentato
e difeso dall’avvocato MARCO CAGGIANO, giusta procura
a margine del ricorso;
– ricorrente –

2016
417

contro

PAGANO ALMERICO (c.f. PGNLRC60D05F839D), in proprio e
in nome della IMPA Costruzioni s.r.1., elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA MAGNAGRECIA 13, presso

Data pubblicazione: 08/04/2016

l’avvacatn

SERASTIANO DI LASCIO, rappresentato e

difeso dall’avvocato ALESSANDRO BASILE, giusta procura

a margine del controricorso;
controricorrente

avverso la sentenza n. 603/2009 della CORTE D’APPELLO
di SALERNO, depositata il 10/07/2009;

udienza del 23/02/2016 dal Consigliere Dott. LOREDANA
NAZZICONE;
udito, per il ricorrente, l’Avvocato CAGGIANO che ha
chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito il

P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. FRANCESCA CERONI che ha concluso

per

l’inammissibilità, in subordine rigetto del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

4

2

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 10 luglio 2009, la Corte d’appello di
Salerno ha respinto l’impugnazione proposta da Benito Imposimato
contro Almerico Pagano avverso il lodo arbitrale con il quale il
primo è stato condannato al pagamento, in favore della Impa
Costruzioni s.r.l. e del predetto, rispettivamente di

mala gestio

relazione a fatti di

della società commessi

dall’amministratore unico.
Ha ritenuto la corte territoriale che:

a)

si tratta di

arbitrato rituale, con conseguente ammissibilità della
impugnazione del lodo;

b) è efficace la clausola compromissoria

binaria, essendo ravvisabili, nella specie, due centri di
interesse, da un lato il Pagano, che mira a domandare il
risarcimento del danno sia in proprio favore, sia in favore
della società, dall’altro il socio di maggioranza;

c)

la

clausola, pur non adeguata all’art. 34 d.lgs. n. 5 del 2003, è
valida in forza della disposizione transitoria dell’art. 223

bis

disp. att. c.c., non essendo ancora decorso il termine del 30
settembre 2004, laddove il procedimento arbitrale era, al più
tardi, iniziato il 13 settembre 2004;

d)

la proposizione

dell’azione di responsabilità sociale è stata regolarmente
autorizzata dalla deliberazione assembleare del 28 agosto 2003,
mentre ogni eventuale vizio di annullabilità della medesima è
divenuto irrilevante in mancanza di impugnazione, né potendo
essere dedotto in via di eccezione, dopo la intervenuta
decadenza; inoltre, l’essersi svolta l’assemblea della società
in seconda convocazione nello stesso giorno della prima ed in
luogo diverso dalla sede legale non costituisce causa di
nullità, sia perché non si applica alle s.r.l. l’art. 2369 c.c.
e lo statuto prevede la possibilità di convocazione anche
altrove, sia perché si tratterebbe comunque di mera
annullabilità; lo stesso quanto alla verbalizzazione ad opera di
un commercialista, fatto oltretutto nuovo mai dedotto innanzi
agli arbitri; la mancata contestuale nomina del nuovo
amministratore dopo la revoca ex lege del precedente non vizia
r.g. n. 22512/2010

3

11 cons

est.

2.086.436,80 e di E 200.000,00, con interessi e spese, in

la deliberazione, mentre l’assemblea ha conferito i poteri
rappresentativi al Pagano demandandogli l’esercizio dell’azione
di responsabilità;

e)

non sussiste vizio di ultrapetizione,

allorché il lodo ha dapprima richiamato l’art. 2390 c.c. sul
divieto di concorrenza – ritenendo illegittima la clausola
statutaria di deroga al divieto – e, poi, dichiarato violati gli

quanto il vizio ex art. 829, n. 4, c.p.c. deve emergere dal
dispositivo o esistere tra questo e la motivazione, e nella
specie non sussiste, avendo il collegio arbitrale ravvisato
plurimi atti di concorrenza sleale e condannato al relativo
risarcimento del danno, limitandosi ad una diversa
qualificazione giuridica delle condotte denunziate;

f)

la

doglianza d’inapplicabilità della clausola arbitrale all’azione
individuale del socio è nuova ed inammissibile;

g) non è viziato

il lodo, laddove esso ha ritenuto sussistere un danno immediato
e diretto al Pagano;

h)

legittimamente gli arbitri hanno

respinto alcune istanze di prova testimoniale, mentre nessuna
violazione del contraddittorio è avvenuta, avendo semplicemente
gli arbitri dato atto dell’assenza di eccezioni e domande
riconvenzionali dell’Imposimato.
Avverso la sentenza viene proposto ricorso per cassazione
dal soccombente, sulla base di sei motivi. Resiste l’intimato
con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Con il primo motivo, si deduce violazione e falsa
applicazione degli art. 1362, 1363, 1364, 1366, 1367, 1369,
1370, 1371, 2379, violazione dei principi generali
sull’interpretazione degli atti giuridici, oltre a motivazione
omessa e insufficiente, perché la corte territoriale ha male
interpretato la deliberazione assembleare del 28 agosto 2003, in
cui, deliberata l’azione di responsabilità, si era deciso
soltanto il conferimento del mandato ad un legale, non dei
poteri di rappresentanza sostanziale al socio di minoranza,
titolare del 49% del capitale sociale.

r.g. n. 22512/2010

4

11 cons

I. est.

art. 1394 e 2598 c.c. da parte dell’amministratore revocato, in

Con il secondo motivo, si deduce la violazione e falsa
applicazione degli art. 2393 c.c., 75 e 77 c.p.c., oltre alla
motivazione insufficiente, ai sensi dell’art. 360, 1 ° comma, n.
3,

4 e 5 c.p.c., perché la menzionata deliberazione ha

comportato

l’immediata

revoca

dell’amministratore,

unico

legittimato ad agire quale legale rappresentante della società,

sotto questo profilo, del potere di conferire mandato al legale
per rappresentare la società nell’azione di responsabilità.
Con il terzo motivo, si censura la violazione e falsa
applicazione degli art. 817 e 829, 1 0 coma, n. 4, c.p.c.,
avendo la corte del merito erroneamente ritenuto la novità della
questione circa l’incompetenza degli arbitri con riguardo
all’azione ex art. 2395 c.c., proposta dal socio di minoranza,
laddove, al contrario, il ricorrente sin dalla prima memoria
difensiva aveva eccepito il difetto di legittimazione attiva del
socio di minoranza.
Con il quarto motivo, si censura la violazione e falsa
applicazione dell’art. 829, 1 0 Gomma, nn. l, 2, 9 c.p.c., per
non avere la corte del merito rilevato come la clausola
compromissoria prevista dall’articolo 26 dello statuto sociale
sia cd. binaria, quindi non applicabile allorquando le parti del
giudizio arbitrale siano tre o più, mentre nella specie vi erano
tre distinti centri di interesse, ossia i due soci e la società.
Con il quinto motivo, si deduce la violazione e falsa
applicazione degli art. da 1362 a 1366 c.c., 829, 1 ° coma, n.
4, c.p.c., nonché vizio di motivazione sotto ogni profilo, per
avere la corte del merito ritenuto trattarsi di arbitrato
rituale, laddove, invece, esso deve qualificarsi irrituale;
mentre non sussiste la

carenza d’interesse a sollevare tale

eccezione, che invece era finalizzata alla declaratoria della
nullità del lodo.
Con il sesto motivo, si censura la violazione e falsa
applicazione degli art. 1394 e 2598, l ° comma, n. 3, c.c., 112
c.p.c., oltre al vizio di motivazione sotto ogni profilo, per
non avere la corte territoriale affermato l’indebito ricorso
r.g. n. 22512/2010

5

11 cons. el. est.

con conseguente carenza in capo al socio di minoranza, anche

degli arbitri alle norme menzionate, sulle quali collegio
arbitrale, senza risolvere la questione della liceità dell’art.
15 dello statuto sociale (il quale deroga al divieto di
concorrenza

ex

art. 2390 c.c.), aveva fondato la decisione,

sebbene non dedotte dalla controparte; inoltre, la corte del
merito ha omesso di pronunciare circa tale erronea applicazione

2. – Il primo ed il secondo motivo, che possono essere
trattati congiuntamente in quanto intimamente connessi, sono
infondati.
Accanto ad un difetto di autosufficienza, costituisce
principio costantemente affermato quello secondo cui
l’interpretazione di una norma contrattuale è operazione che si
sostanzia in un accertamento di fatto, come tale riservato al
giudice di merito ed incensurabile in cassazione se non per vizi
attinenti ai criteri legali di ermeneutica o ad una motivazione
carente o contraddittoria (Cass. 15 aprile 2013, n. 9070, fra le
tante); né la parte, che con il ricorso per cassazione intenda
denunciare la violazione delle regole di cui agli art. 1362 e
ss. c.c., può limitarsi alla mera contrapposizione tra la
propria interpretazione e quella accolta nella sentenza
impugnata (Cass. 15 novembre 2013, n. 25728).
In definitiva, per sottrarsi al sindacato di legittimità,
l’interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto non
deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in
astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni;
sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o
più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva
proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito,
dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata
privilegiata l’altra (Cass. 20 novembre 2009, n. 24539).
Orbene, nella specie la corte del merito ha esaurientemente
argomentato nel senso che sussisteva la deliberazione
autorizzativa all’azione di responsabilità sociale ed il
conferimento dei poteri rappresentativi al riguardo, dopo la
decadenza

ex lege dell’amministratore, in capo all’altro socio

r.g. n. 22512/2010

6

11 cons

st.

normativa.

Pagano,

senza alcuna violazione dei criteri ermeneutici

invocati.
3. – Il terzo motivo è infondato.
La corte territoriale ha ritenuto nuova, in quella sede, la
doglianza di inapplicabilità della clausola arbitrale all’azione
individuale del socio.

non è idoneo l’assunto del ricorrente di avere eccepito il
difetto di legittimazione attiva del socio di minoranza:
all’evidenza, censura affatto diversa da quella afferente
l’ambito di applicazione della clausola compromissoria
statutaria.
4. – Il quarto motivo è infondato.
Va,

invero,

esclusa

l’incompatibilità

tra

clausola

compromissoria binaria e pluralità di parti, occorrendo
unicamente che la specifica lite promovenda avanti al collegio
arbitrale sia di per sé compatibile con la clausola, ossia non
esistano più di due centri necessariamente autonomi di interesse
non riconducibili a detta previsione bipolare.
Questa Corte ha già chiarito che la clausola compromissoria
binaria, che devolva determinate controversie alla decisione di
tre arbitri, due dei quali da nominare da ciascuna delle parti,
può trovare applicazione in una lite con pluralità di parti
quando, in base ad una valutazione da compiersi a posteriori in relazione al

petitum

e alla

causa petendi –

risulti il

raggruppamento degli interessi in gioco in due soli gruppi
omogenei e contrapposti, sempre che tale raggruppamento sia
compatibile con il tipo di pretesa fatta valere (Cass. 20
gennaio 2014, n. 1090; Cass. 3 giugno 2014, n. 12370, in
motivazione).
In particolare, in una vicenda più vicina a quella in
esame, si è evidenziato che “Se più parti hanno contrattualmente
stabilito di devolvere la decisione di determinate controversie
tra le stesse alla competenza di un collegio arbitrale
costituito da tre arbitri, da nominare al sensi dell’art. 809
c.p.c., tale clausola compromissoria è valida se si accerta,
r.g. n. 22512/2010

7

11 cons. r

a

Tale rilievo non si presta a censure, posto che a superarlo

posteriori e in

base al

petitum

e alla

causa petendi,

che i

centri di interesse sono polarizzati in due soli gruppi
omogenei, ossia sostanzialmente in due parti, si da giustificare
l’applicazione di un meccanismo binario
arbitri

per

la nomina degli

(nella specie la suprema corte ha cassato con rinvio la

decisione di merito che aveva dichiarato la nullità del lodo

laddove si era invece in presenza di due soggetti che avevano
chiesto la liquidazione del compenso loro spettante come
presidente e membro del consiglio d’amministrazione di una
società che era l’unica destinataria della domanda, non
rilevando l’eventuale pregiudizio economico derivante per il
terzo componente del consiglio di amministrazione dalla
diminuzione del patrimonio sociale)”

(Cass. 26 giugno 2007, n.

14788).
Nella specie, la sentenza impugnata ha ritenuto l’efficacia
della clausola compromissoria statutaria, posto che i centri di
interesse nella sostanza sono due; il socio di minoranza e la
società, da una parte, tesi ad ottenere l’accertamento dei fatti
di male gestio ed il risarcimento del danno, e l’amministratore
infedele, dall’altra parte; né, ad escludere la detta
assimilabilità di posizioni, sarebbe sufficiente richiamare la
circostanza di fatto, secondo cui il risarcimento pagato
dall’amministratore unico, nonché socio, alla società gioverebbe
pro parte

anche ad aumentare il valore della partecipazione

sociale in capo al medesimo, posto che essa non è idonea ad
alterare gli interessi sostanziali coinvolti nella lite.
5. – Il quinto motivo è inammissibile, per difetto di
autosufficienza.
Invero, come molte volte questa Corte ha già precisato, il
principio di autosufficienza del motivo di ricorso per
cassazione, sancito dall’art. 366 c.p.c., trova applicazione
anche con riferimento alla violazione o falsa applicazione di
norme processuali, onde la parte ricorrente è onerata ad
indicare gli elementi fattuali condizionanti l’ambito di
operatività di detta violazione, con la conseguenza che ove si
r.g. n. 225U/2010

8

cons

ravvisando la presenza di tre distinti centri di interesse

asserisca la mancata valutazione di atti documentali è
necessario procedere alla trascrizione integrale dei medesimi o
del loro essenziale contenuto, al fine di consentire il
controllo della decisività delle operate deduzioni unicamente
sulla base del solo ricorso, senza che la corte di legittimità
possa ricorrere ad ulteriori indagini integrative (e

multis,

4 giugno 2010, n. 13657; 9 marzo 2006, n. 4840).
6. – Il sesto motivo è infondato.
La sentenza impugnata si è pronunciata sui motivi di
impugnazione, affermando che il collegio arbitrale ha accertato
i fatti di concorrenza sleale ed ha condannato l’amministratore
unico al risarcimento del danno con essi cagionato, precisando
altresì come l’avere gli arbitri menzionato, accanto all’art.
2390 c.c. (da essi ritenuto invalidamente derogato nello statuto
sociale), anche altre disposizioni recanti il principio del
divieto di concorrenza o di agire in conflitto di interessi,
quali gli art. 1394 e 2598 c.c., non costituisce

di

per sé

ragione di nullità del lodo per violazione dell’art. 829, l °
comma, n. 4, c.p.c. (nel testo anteriore alle modificazioni di
cui all’art. 24 d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40), secondo il quale
il lodo è impugnabile per nullità se

contraddittorie”,

“contiene disposizioni

non esistendo alcuna contraddizione tra

dispositivo e motivazione ed essendosi trattato, al più, di un
mero richiamo normativo, atto a meglio qualificare la condotta
imputata all’amministratore unico.
Alla luce di tale esauriente e corretta argomentazione,
nessuna delle proposte censure del motivo coglie nel segno.
7. – Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese di lite in favore solidale dei
controricorrenti, liquidate in C 16.200,00, di cui C 200,00 per
esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori, come per
legge, da distrarsi in favore dell’Avv. Eduardo Zampella,
antistatario.
r.g. n. 22512/2010

9

Il cons

Cass. 2 dicembre 2014, n. 25482; ord. 24 ottobre 2014, n. 22607;

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 23

febbraio 2016.

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