Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6923 del 11/03/2020

Cassazione civile sez. I, 11/03/2020, (ud. 14/01/2020, dep. 11/03/2020), n.6923

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 1628/2019 proposto da:

B.K., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso

la cancelleria della Corte di cassazione e rappresentato e difeso

dall’avvocato Vittorio D’Angelo per procura speciale a margine del

ricorso;

– ricorrente –

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e

difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui

uffici in Roma, Via dei Portoghesi, 12, domicilia;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1136/2018 della Corte di appello di Ancona

depositata il 28.06.2018.

udita la relazione della causa svolta dal Cons. Scalia Laura nella

camera di consiglio del 14/01/2020.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Ancona con la sentenza in epigrafe indicata, pronunciando D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, ha rigettato l’appello proposto da B.K. avverso l’ordinanza con cui il locale Tribunale aveva disatteso l’opposizione avverso il provvedimento di diniego della competente Commissione territoriale dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria ed umanitaria.

Il racconto del richiedente – che aveva dichiarato presso la competente Commissione territoriale di aver lasciato il proprio paese perchè “aveva un problema con lo zio”, militare, che era molto severo con il nipote, desiderando che questi diventasse, a sua volta, un soldato – era stato ritenuto dai giudici di merito espressivo di ragioni del tutto personali e quindi incapaci di sostenere l’invocata tutela internazionale sub specie di quella sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14.

B.K. ricorre per la cassazione dell’indicata sentenza con un unico motivo.

Il Ministero dell’Interno, intimato, non ha articolato difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente, originario del (OMISSIS) – che nel racconto reso dinanzi alla competente Commissione territoriale aveva dichiarato di essersi allontanato dal proprio Paese, attraversando il Senegal, il Mali, il Burkina Faso, il Niger e la Libia per poi giungere in Italia, perchè lo zio presso cui egli viveva era un militare e voleva che anche il nipote ne seguisse le orme e nel frapposto netto rifiuto ad arruolarsi, impediva al primo di uscire di casa e gli negava, tra l’altro, la possibilità di frequentare la scuola – fa valere la violazione di legge ed il vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la Corte di merito per avergli negato il riconoscimento del permesso per ragioni umanitarie D.Lgs. n. 289 del 1998, ex art. 5, comma 6, nella ritenuta insussistenza dei presupposti di legge, ed essere incorsa in omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.

La condotta del parente avrebbe invero integrato, così realizzando in capo al richiedente una posizione di vulnerabilità, una violazione del diritto allo studio riconosciuto dall’art. 14 della Carta Europea del Diritti dell’Uomo, dall’art. 26 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e dell’art. 34 Cost., italiana, con violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. d) e del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 5,7 e 8.

I giudici del merito, e prima ancora la competente Commissione territoriale, pur ritenendo la credibilità del racconto, avevano invero erroneamente apprezzato della descritta vicenda – non rilevando a fronte della violazione del diritto alla studio perpetrata dai familiari che lo Stato non era in alcun modo intervenuto – il carattere personale e la non riconducibilità della stessa alle fattispecie integranti le richieste di protezione umanitaria così incorrendo, anche, in vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

2. Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito indicate e precisate.

2.1. Questa Corte di legittimità ha affermato che la natura residuale ed atipica della protezione umanitaria implica che il suo riconoscimento debba essere frutto di valutazione autonoma, da condursi caso per caso, e che il suo rigetto non possa conseguire automaticamente al rigetto delle altre forme tipiche di protezione, ma da uno scrutinio in via gradata condotto (Cass. 15/05/2019 n. 13088; Cass. 15/05/2019, n. 13079; Cass. 15/05/2019 n. 13096).

Ciò non toglie che il richiedente nel giudizio introdotto avverso la decisione di diniego della competente Commissione debba tempestivamente allegare i fatti di tale forma di tutela che, ulteriori e diversi da quelli posti a fondamento delle altre due domande di protezione c.d. “maggiore”, valgano ad individuare la condizione di vulnerabilità del ricorrente, formulando in tal senso espressa domanda di riconoscimento di un permesso per ragioni umanitarie (vd., Cass. 07/08/2019 n. 21123),.

2.2. Il carattere ufficioso della verifica di sussistenza delle condizioni per il conseguimento di un permesso per ragioni umanitarie, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, appartiene alla fase amministrativa e costituisce onere della competente Commissione territoriale che abbia respinto la domanda sub specie del riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, essendo in gioco diritti soggettivi (si veda in tal senso: Cass. 09/12/2011 n. 26481).

2.3. Là dove a venire in valutazione sia la fase giurisdizionale che segue quella amministrativa di diniego della protezione internazionale – declinata nelle forme del rifugio e della protezione sussidiaria – e di mancato riconoscimento dei “gravi motivi di carattere umanitario” legittimanti il rilascio del relativo permesso, la domanda di accertamento della sussistenza dei presupposti di riconoscimento della protezione umanitaria non sfugge al principio dispositivo e, nelle sue distinte declinazioni, onera il richiedente, che ne invochi il riconoscimento, di allegarne i fatti costitutivi pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. 28/09/2015 n. 19197; Cass. 31/01/2019 n. 3016; Cass. 26/04/2019 n. 11312).

2.4. Nella domanda di riconoscimento della protezione per ragioni umanitarie, la causa petendi si atteggia diversamente rispetto alle distinte forme della protezione internazionale integrate dallo status di rifugiato (D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. d); D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7) o dalla protezione sussidiaria (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g) e h), conformemente al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. f) e g) ed al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14) ed il ricorrente non può introdurre nel corso del giudizio di cassazione, con mutamento della causa petendi, una domanda nuova facendo valere forme diverse di protezione di cui non abbia tempestivamente dedotto nella fase di merito i correlati fatti costitutivi.

2.5. Ciò posto, si pone l’affermazione di principio per la quale: “In materia di protezione internazionale non è consentito al richiedente che abbia nella fase di merito richiesto una forma di protezione internazionale, allegando i relativi fatti costitutivi, far valere poi dinanzi alla Corte di cassazione, per una distinta causa petendi, il riconoscimento di protezione per ragioni umanitarie”.

3. Nella fattispecie in esame si è dato che il difficile rapporto intercorso tra il richiedente protezione ed il congiunto è stato dalla Corte di merito vagliato ai fini della riconoscibilità/non riconoscibilità della misura della protezione sussidiaria – in siffatti termini richiesta dal difensore in quella fase – e tanto là dove quelle medesime evidenze fattuali sono state invece portate in sede di ricorso per cassazione a sostegno della diversa richiesta di riconoscimento di protezione per ragioni umanitarie.

Per vero, la sentenza impugnata dà sì conto di una valutazione delle ragioni umanitarie, ma sul diverso presupposto di vulnerabilità relativo alla integrità fisica del ricorrente che aveva, per l’appunto, lamentato, nella fase ai merito del giudizio, una “patologia da varicocele di primo grado”, senza riferimento alcuno, invece, alla lesione del diritto alla studio per le rappresentate condotte intransigenti dello zio, ivi dedotte e trattate a sostegno della diversa misura della protezione sussidiaria.

In applicazione del principio sopra indicato, il ricorso proposto è pertanto inammissibile.

4. Nulla sulle spese non avendo l’amministrazione intimata svolto difese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dal L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dal L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Prima Sezione civile, il 14 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2020

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