Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6922 del 25/03/2011

Cassazione civile sez. trib., 25/03/2011, (ud. 20/01/2011, dep. 25/03/2011), n.6922

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. FERRARA Ettore – rel. Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

IDEA MODA DI AURNIA ANTONIO & C SAS in persona del

legale

rappresentante pro tempore, A.A., A.R.,

A.V. in proprio che quali soci della detta Società,

elettivamente domiciliati in ROMA V.LE GIUSEPPE MAZZINI 142 presso lo

studio dell’avvocato PENNISI VINCENZO ALBERTO, rappresentati e difesi

dall’avvocato CACOPARDO SERGIO, giusta delega a margine;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA ENTRATE DIREZIONE CENTRALE NORMATIVA CONTENZIOSO, AGENZIA

ENTRATE UFFICIO LOCALE MODICA, MINISTERO ECONOMIA FINANZE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 32/2008 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

CATANIA, depositata il 15/02/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/01/2011 dal Consigliere Dott. ETTORE FERRARA;

udito per il ricorrente l’Avvocato COCOPARDO SERGIO, che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per l’inammissibilità in via

preliminare in subordine l’accoglimento.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

A seguito di verifica condotta dall’Ufficio II.DD. di Modica presso la “Idea Moda s.a.s.” relativamente al periodo 1/1/1997 – 8/2/1999, venivano notificati alla società e ai soci A.A., A.V. e A.R., distinti avvisi di rettifica per l’anno 1998, con i quali si accertavano maggiori ricavi della società, costi indebitamente dedotti perchè non deducibili (per l’importo di L. 14.97.464) o perchè maggiorati (per l’importo di L. 27.158.754), e conseguentemente un maggior reddito d’impresa della società e un maggior reddito da partecipazione dei soci.

Gli atti impositivi suddetti venivano tutti impugnati dai contribuenti, ma la C.T.P. di Ragusa, riuniti i ricorsi, li rigettava.

Avverso tale decisione proponevano gravame i ricorrenti soccombenti, e a C.T.R., della Sicilia, con sentenza n. 32/31/08, in parziale accoglimento, annullava i maggiori ricavi accertati nei confronti della società, riconosceva legittima la ripresa a tassazione di costi non pertinenti per l’importo complessivo di L. 23.840.663, mentre confermava la sentenza appellata per quanto relativo ai ricorsi dei soci in ordine al loro reddito da partecipazione.

Per la cassazione della sentenza di secondo grado proponevano quindi ricorso, ritualmente e tempestivamente notificato, nei confronti del Ministero dell’Economia e dell’Agenzia delle Entrate i contribuenti innanzi indicati, articolando due motivi.

Nessuna attività difensiva svolgevano nel presente giudizio gli intimati.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Deve preliminarmente rilevarsi l’inammissibilità del ricorso nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, in quanto soggetto rimasto estraneo al procedimento di appello. Ed infatti nel caso di specie al giudizio di appello ha partecipato l’Ufficio periferico di Modica dell’Agenzia delle Entrate (successore a titolo particolare del Ministero) e il contraddittorio è stato accettato dal contribuente senza sollevare alcuna eccezione sulla mancata partecipazione del dante causa, che così risulta, come costantemente ha rilevato la giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis. v. Cass. 23.4.2010, n. 9794) estromesso implicitamente dal giudizio. Da tali premesse inevitabilmente discende l’esclusione della legittimazione del Ministero a proporre il ricorso per cassazione o il controricorso o a partecipare comunque al successivo giudizio di legittimità in veste di parte intimata, spettando la legittimazione processuale relativamente alla attuale fase costituita dal giudizio di legittimità,alla sola Agenzia.

Nulla deve disporsi al riguardo per le spese non essendosi il Ministero costituito nel presente procedimento.

2 – Passando quindi all’esame del ricorso nei confronti dell’Agenzia, con il primo motivo, mediante formulazione di idoneo quesito, i ricorrenti deducono i vizi di violazione e falsa applicazione dell’art. 58, comma 2, e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7 del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 1, n. 4 e dell’art. 111 Cost., nonchè di difetto di motivazione della sentenza (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), con riferimento all’assunto contenuto in sentenza con il quale è stato rigettato il ricorso dei soci in ordine alla rettifica del loro reddito da partecipazione.

Per quanto relativo alla società il motivo è inammissibile per carenza d’interesse.

Relativamente ai soci osserva al riguardo la Corte che nel giudizio di merito la contestazione dei ricorrenti risultava fondata sulla omessa considerazione della perdita maturata dalla società nell’esercizio 1996, così come definitivamente accertata dall’Ufficio, e conseguentemente portata dai soci pro quota in compensazione negli anni successivi.

Su tale questione la C.T.R. ha deciso affermando che: “… oltre alla generica enunciazione di tali perdite, nessuna dimostrazione documentale è stata offerta alla valutazione dei primi giudici, i quali hanno disconosciuto quanto reclamato, in quanto non è stato loro fornito “…alcun elemento concreto idoneo a contrastare l’assunto dell’Ufficio …”. Solo in sede di appello la Società ha provveduto ad esibire specifica documentazione, che poteva e doveva essere proposta nel giudizio di primo grado, che – in assenza delle circostanze di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 24, comma 2 – la Commissione non ritiene ammissibile in questa fase processuale”.

Tanto premesso, il motivo in esame è sicuramente fondato sotto l’assorbente profilo della violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, comma 2, dovendosi dare risposta sicuramente positiva al quesito di diritto in proposito formulato dai ricorrenti.

Ed infatti secondo la giurisprudenza di questo Giudice di legittimità, in tema di contenzioso tributario, il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 58, comma 2, consente alle parti di produrre nuovi documenti nel corso del giudizio tributario di appello, indipendentemente dalla impossibilità dell’interessato di produci) in prima istanza per causa a lui non imputabile, requisito, quest’ultimo, previsto dall’art. 345 c.p.c, u.c., (come sostituito dalla L. n. 535 del 1990, art. 52), ma non dal citato art. 58, e sempre che tale attività processuale venga esercitata – stante il richiamo operato dall’art. 61 del citato d.lgs. alle norme relative al giudizio di primo grado – entro il termine perentorio previsto dall’ari. 32, comma 1, del citato decreto (cfr. Cass. 25.5.2009, n 12022; 15.2.2008, n. 12185; 30.1.2007, n. 1915; 20.2.2006, n. 3611).

Nel caso di specie, esclusa la violazione dei termini di cui al citato art. 32, l’inammissibilità della produzione documentale da parte dei ricorrenti è stata sostenuta dal giudicante unicamente sulla base di un improprio, e per ciò stesso irrilevante richiamo ad altra norma, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 24, comma 2, relativa alla disciplina dei motivi aggiunti, onde il già rilevato errore del giudice.

3 – Con il secondo motivo deducono i ricorrenti i vizi di violazione degli art. 111 Cost., art. 132 c.p.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, nullità e difetto di motivazione della sentenza con riferimento a quanto deciso dalla C.T.R. in ordine alla contestazione dei costi ripresi a tassazione, e ciò in particolare in considerazione dell’evidente contrasto tra dispositivo e motivazione, o, in alternativa, della manifesta contraddittorietà della motivazione.

Il motivo è sotto ogni profilo infondato.

Premesso infatti che la sentenza risulta ampiamente motivata, restando con ciò esclusa la violazione di legge denunciata, osserva questa Suprema Corte come dall’impugnata sentenza pacificamente emerga che l’A.F. con gli avvisi di accertamento notificati ai contribuenti contestò l’ammontare dei costi portati in deduzione ritenendoli in parte oggettivamente non deducibili (L. 14.976.464), e per la restante parte (L. 27.158.754) contabilizzati in misura eccessiva rispetto alle risultanze dei riscontri eseguiti.

Tali rilievi furono entrambi contestati dalla società, la quale rilevò tra l’altro come il primo importo fosse da ritenersi compreso nel secondo, che peraltro “avuto riguardo ai dati esposti nel citato p.v.c.” sarebbe stato pari soltanto a L. 23.840.653.

Sulla questione, così come innanzi riassunta, il giudice del gravame ha deciso ritenendo: “legittima la ripresa a tassazione di costi non pertinenti per l’importo complessivo di L. 23.840.663”.

Tale statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza impugnata, non è in contrasto con la precedente motivazione, posto che con le argomentazioni esposte il giudicante non ha dichiarato affatto “la deducibilità dei costi ammontanti a L. 23.840.663” (come sostenuto in ricorso), bensì ha mostrato unicamente ed univocamente di condividere le contestazioni dei contribuenti così come innanzi riportate, e relative alla parziale duplicazione degli importi e all’altrettanto solo parziale riscontro rinvenibile nel p.v.c. del maggiore importo di L. 27.158.754 indicato negli accertamenti.

E ciò perchè, quando nella prima parte della motivazione relativa alla “seconda questione” il giudicante scrive in sentenza che “gli stessi devono essere ritenuti giustificati nella misura della sommatoria degli importi desumibili dal prospetto riportato alle pagg. 20 e 21 del p.v.c., dove tali costi sono dettagliatamente e chiaramente elencati preceduti dal segno negativo (-) nella colonna delle “differenze” (tra il “registrato” e il “constatato”), per un totale complessivo di L. 23.840.663″, il termine “giustificati” risulta univocamente riferito ai “costi ripresi a tassazione” dai verificatori, così come in precedenza da quel giudice espressamente specificato, ed ulteriormente ribadito con quanto successivamente aggiunto per evidenziare come alle stesse conclusioni sarebbe stato inevitabile pervenire sommando “i costi elencati a pag. 3 dell’avviso di accertamento, punti 1-9 ammontanti a L. 14.976.464” (relativi al primo rilievo afferente l’indeducibilità oggettiva dei costi medesimi), all’importo di L. 8.864.789 “riguardante, quest’ultima cifra, la somma delle rettifiche operate dagli accertatori sui maggiori costi portati in detrazione e concernenti ….”.

In proposito è appena il caso di ricordare che per costante giurisprudenza di questa Suprema Corte: “Sussiste un contrasto tra motivazione e dispositivo che da luogo alla nullità della sentenza solo se ed in quanto esso incida sulla idoneità del provvedimento, considerato complessivamente nella totalità delle sue componenti testuali, a rendere conoscibile il contenuto della statuizione giudiziale, sicchè tale ipotesi non è ravvisabile nel caso in cui il contrasto sia imputabile ad una mera improprietà terminologica che non impedisce di comprendere l’effettiva portata precettiva della decisione” (v. Cass. Sent. 9.5.2007, n. 10637; cfr. 30.8.2004, n. 17392).

Quanto poi al preteso contrasto di motivazione, neanche esso ricorre nel caso in esame.

Il vizio, invero, risulta denunciato con riferimento alle affermazioni di cui innanzi e al dedotto contrasto di esse con quanto da ultimo affermato in sentenza circa il fatto che sarebbe stata “da considerare infondata la pretesa dell’Ufficio riguardante la contabilizzazione tra i costi da dedurre dalla contabilità dell’ulteriore somma di L. 27.158.754, scaturita da “… ulteriore controllo tra il bilancio 1998 richiesto dall’Ufficio e il p.v.c. ….”, perchè non appare sostenuta da alcuna convincente motivazione”.

E però il denunciato contrasto (apparentemente rilevabile a causa dell’equivoco utilizzo da parte del giudicante dell’espressione “costi da dedurre” con riferimento non all’attività di dichiarazione della società contribuente, bensì a quella di verifica degli accertatori) non sussiste giacchè l’affermazione da ultimo richiamata, alla luce delle precedenti considerazioni, è con tutta evidenza da intendersi riferita alla maggior somma (e quindi alla differenza) pretesa dall’Amministrazione con l’indicazione dell’ulteriore importo di L. 27.158.754 da defalcare dai costi portati in deduzione, non giustificato in parte perchè già comprensivo delle spese non deducibili, e per la restante parte perchè in ogni caso non corrispondente alla sommatoria dei dati esposti nel p.v.c. dai verificatori. E’ la differenza in eccesso pretesa dall’Ufficio, che il giudicante ha ritenuto, dunque, non documentata, e non l’intero importo in contestazione, così che fallace è il tentativo dei ricorrenti di attribuire al giudicante, sulla base dell’affermazione contenuta nell’ultima parte della motivazione, “non validamente motivata” anche il preteso recupero a tassazione dell’importo di L. 8.864.789 del quale si è in precedenza detto.

Ogni ulteriore profilo della vicenda, relativo all’importo complessivo dei costi deducibili per l’anno d’imposta in contestazione, esula dai contenuti del presente giudizio, così come delimitati dai vizi denunciati ed illustrati, anche perchè destinato a trasmodare in valutazioni di fatto precluse al giudice di legittimità.

4 – Il necessario rigetto del secondo motivo di ricorso esaurisce la controversia per quanto relativo alla società, che risulta infatti estranea alla problematica sottesa al primo motivo di ricorso. La mancata difesa in giudizio dell’Agenzia esclude la necessità di provvedere alta regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità tra le suddette parti.

L’accoglimento del primo motivo di ricorso comporta invece, nei rapporti tra i soci ricorrenti e l’Agenzia, l’esigenza di prosecuzione del giudizio esclusivamente tra le suddette parti, e conseguentemente la cassazione della sentenza impugnata relativamente al capo riguardante la determinazione del reddito da partecipazione dei singoli soci, ed il rinvio, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, dinanzi ad altra sezione della C.T.R. della Sicilia.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Rigetta il ricorso della società. Accoglie il primo motivo del ricorso dei soci nei confronti dell’Agenzia, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, dinanzi ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2011

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