Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6921 del 25/03/2011

Cassazione civile sez. trib., 25/03/2011, (ud. 19/01/2011, dep. 25/03/2011), n.6921

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ALONZO Michele – Presidente –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 27873/2006 proposto da:

P.M.J.M.C., elettivamente domiciliato in

ROMA VIA LUIGI LUCIANI 1, presso lo studio dell’avvocato CARLEO

ROBERTO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato LAI

GIUSEPPE, giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, MINISTERO

DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 64/2005 della COMM. TRIB. REG. di CAGLIARI,

depositata il 16/09/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/01/2011 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito per il resistente l’Avvocato D’ASCIA che ha chiesto il rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

I fatti di causa.

C.P.M.J.M. ha proposto ricorso per cassazione della sentenza pubblicata in data 16.9.2005 n. 64 della CTR di Cagliari con la quale, in accoglimento dell’appello dell’Ufficio Cagliari dell’Agenzia delle Entrate, era stata riformata la sentenza di primo grado (depositata in data 18.12.2001) di annullamento della ingiunzione fiscale emessa dal medesimo Ufficio Cagliari (OMISSIS) per il recupero di imposta complementare di registro, accessori ed interessi – per un importo complessivo pari a L. 62.270.000 – relativa ad accertamento di maggior valore su quello dichiarato nell’atto di transazione registrato il 27.5.1981.

Il Giudice di prime cure aveva accolto il ricorso proposto dal C. avverso la ingiunzione di pagamento in difetto di assolvimento dell’onere probatorio, da parte dell’Ufficio finanziario costituitosi tardivamente in giudizio, in ordine alla definitività degli atti impositivi presupposti.

Il Giudice di appello, sulla scorta dei documenti depositati dall’Ufficio attestanti la rituale notifica dell’avviso di accertamento e dell’avviso di liquidazione divenuti definitivi per mancata impugnazione, ha riformato la sentenza di primo grado.

2. Gli atti introduttivi del giudizio di legittimità.

2.1 Il ricorso principale.

Avverso la sentenza della sez. 5^ CTR di Cagliari 16.9.2005 n. 64 ricorre per cassazione il contribuente affidandosi a due distinti motivi:

– violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), avendo i Giudici di appello deciso in base ad eccezioni proposte per la prima volta in grado di appello dall’Ufficio;

– omessa motivazione circa in fatto controverso decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), avendo la CTR omesso di pronunciare sulla eccezione di inammissibilità dell’appello in quanto proposto oltre il termine perentorio di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 51, comma 1.

2.2 La difesa dell’intimato: il controricorso.

Resistono l’Agenzia delle Entrate ed il Ministero della Economia e delle Finanze con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

p.1. Le questioni pregiudiziali e preliminari.

1.1 Va preliminarmente dichiarata ex officio l’inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’Economia, per difetto di legittimazione passiva, non avendo assunto l’Amministrazione statale la posizione di parte processuale nel giudizio di appello svolto avanti la CTR di Cagliari, introdotto dalla sola Agenzia delle Entrate-Ufficio Cagliari (OMISSIS), in data successiva all’1.1.2001 (subentro delle Agenzie fiscali a titolo di successione particolare ex lege nella gestione dei rapporti giuridici tributari pendenti in cui era parte l’Amministrazione statale), con conseguente implicita estromissione della Amministrazione statale ex art. 111 c.p.c., comma 3 (cfr. Corte Cass. SS.UU. 14.2.2006 n. 3116 e 3118).

p.2. La motivazione della sentenza impugnata.

Osserva la CTR: 1 – che la sentenza di primo grado andava esente da critica avendo la CTP correttamente deciso in base “alle risultanze documentali disponibili in quel grado di giudizio”; 2 – che tuttavia si imponeva la riforma della decisione di primo grado (favorevole al contribuente) alla stregua dell’esame degli atti depositati in appello dall’Ufficio dai quali emergeva che erano stati emessi “sia l’avviso di accertamento valori che il successivo avviso di liquidazione, ritualmente notificati e divenuti definitivi perchè ai impugnati”. Conclude statuendo che “l’ingiunzione, essendo stata preceduta dalla regolare notifica di altro atto autonomamente impugnabile, poteva essere a sua volta contestata solo per vizi propri, come previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 9, comma 3, per cui i ritiene d riformare la sentenza di primo grado e dichiarare legittima la pretesa fiscale…”.

p.3. I motivi di impugnazione.

3.1. La rubrica dei motivi.

1) violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

2) omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

3.2. Le censure svolte con i motivi di impugnazione.

Con il primo motivo il ricorrente censura la sentenza per aver ammesso in grado di appello la proposizione da parte dell’Ufficio di “domande ed eccezioni non proposte in primo grado” e di aver “riesaminato la questione” decidendo, in violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, sulla base delle eccezioni formulate per la prima volta in appello.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce il vizio di omessa motivazione sulla eccezione di inammissibilità del ricorso in appello proposto dall’Ufficio in quanto notificato in data 22.9.2003 ben oltre la scadenza del termine perentorio ex art. 327 c.p.c., e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 51, comma 1, decorrente dalla pubblicazione in data 18.12,2001 della sentenza di primo grado, non essendo applicabile nella specie la sospensione dei termini di impugnazione prevista dalla L. n. 289 del 2002, art. 16.

p.4. Il controricorso.

Resiste con controricorso la Agenzia delle Entrate sostenendo la infondatezza del ricorso:

– quanto al primo motivo, deducendo: 1 – che la allegazione nel giudizio di appello della rituale notifica degli atti impositivi e della loro definitività a seguito di mancata impugnazione da parie del contribuente, integrava una mera difesa – e non un’eccezione in senso stretto -, come tale sottratta al divieto dei nova sancito dal D.Lgs. n. 54 del 1992, art. 57, comma 2; 2 – che, nel caso in cui il motivo di ricorso per cassazione fosse invece rivolto a censurare la omessa rilevazione del divieto di nuove prove D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 58, tale produzione non poteva ritenersi preclusa non sussistendo divieto di nova per le prove documentali in appello che bene potevano essere prodotte nel temine previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 32, richiamato per il giudizio di secondo grado dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 61. – quanto la secondo motivo, allegando che, avendo prospettato lo stesso ricorrente che l’atto di ingiunzione di pagamento non era stato preceduto da notifica degli atti impositivi presupposti, dalla “qualificazione” della ingiunzione come primo atto della sequenza procedimentale impositiva discendeva che la lite era definibile ex L. n. 289 del 2002, con conseguente applicabilità al termine per la proposizione dell’appello della sospensione prevista dalla L. n. 289 del 2002, art. 16, comma 6.

p.5. La valutazione della Corte sulla fondatezza dei motivi.

Occorre dare precedenza all’esame del secondo motivo in quanto con esso viene dedotta una invalidità processuale originaria del giudizio di appello che si configura come pregiudiziale rispetto alle successive nullità processuali contestate al Giudice di secondo grado.

5.1 Con il secondo motivo il ricorrente deduce omessa motivazione sulla eccezione di inammissibilità dell’atto di appello per essere stato proposto oltre il termine c.d. lungo ex art. 327 c.p.c., non essendo applicabile al giudizio avente ad oggetto un atto non impositivo (qual è la ingiunzione fiscale di cui al R.D. n. 639 del 1910) la sospensione dei termini di impugnazione fino al 30.6.2003 – termine successivamente prorogato al 1 giugno 2004 – prevista dalla L. n. 289 del 2002, art. 16, comma 6. Allega in proposito che la istanza di definizione della lite dallo stesso contribuente proposta ai sensi della L. n. 413 del 1991, art. 53, era stata respinta dall’Ufficio proprio in difetto della pendenza di una controversia su atto impositivo.

Premesso che il vizio dedotto è erroneamente rubricato come vizio motivazionale (il ricorrente non considera, intatti, che in relazione ai vizi processuali la Corte è giudice anche de fatto e dunque rimane irrilevante, ai fini della verifica della esistenza della nullità processuale denunciata l’esame del percorso logico seguito dal giudice di merito: cfr. Corte Cass. sez. lav. 5.6.2001 n. 7620;

Corte Cass. 3^ sez. 19.7.2002 n. 10568; id. 24.11.2004 n. 22130), e ritenuto tuttavia che la corretta qualificazione ed individuazione del motivo di ricorso (violazione di norma processuale incidente sulla validità della decisione impugnata ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) non è preclusa a questa Corte nel caso in cui la esatta individuazione del parametro di legittimità violato, erroneamente indicato in rubrica, possa essere agevolmente compiuta – come nel caso di specie – alla stregua del complessiva lettura del ricorso e precipuamente degli argomenti svolti a sostegno della censura (cfr.

Corte Cass. 3941/2002; Corte Cass. 1^ sez. 5.4.2006 n. 7882; id.

3,3.2007 n. 7981), il motivo deve ritenersi infondato.

La controversia nel merito verteva, infatti, proprio sulla impugnabilità o meno della ingiunzione di pagamento per vizi inerenti l’accertamento valutativo compiuto dall’Ufficio che nella ingiunzione aveva determinato il valore del bene in modo difforme da quello dichiarato dal contribuente nell’atto (cfr. ricorso pag. 2:

“veniva richiesto l’annullamento dell’ingiunzione…per essere, stata calcolata la imposta su valori diversi da quelli dichiarati). La circostanza – peraltro soltanto allegata dalla pare ricorrente, e che non trova riscontro nella sentenza impugnata, e neppure nelle deduzioni del resistente – del diniego di ammissione della istanza di definizione agevolata della lite proposta dal C. ai sensi della L. n. 413 del 1991, è irrilevante ai fini della valutazione della censura dedotta, non avendo spiegato alcuna influenza sull’indicato “thema disputandum” oggetto dei giudizi di merito (non essendo stata sottoposta tale questione all’esame di quei giudici), con la conseguenza che la lite, in quanto avente ad oggetto un atto asseritamente impositivo – recto: un atto con il quale, secondo la stessa prospettazione dell’attuale ricorrente, veniva per la prima volta portata a conoscenza del contribuente la pretesa impositiva -, era da ricomprendersi nell’ambito di quelle definibili ai sensi della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16, comma 3, lett. a). Lo stesso contribuente, infatti, con il ricorso accolto dal giudice di primo grado, aveva denunciato il vizio di legittimità della ingiunzione di pagamento per mancata previa notifica di avviso di accertamento, con ciò confermando che tale atto, pur rivestendo la forma propria di atto di mera esecuzione integrava invece – in assenza di precedenti atti valutativi – il primo atto di imposizione, come tale riconducibile nella categoria residuale (“ogni altro atto di imposizione”) contemplata dall’art. 16, comma 3, lett. a), della legge ai fini della individuazione della “lite pendente” suscettibile di definizione agevolata ex L. n. 289 del 2002.

Ne consegue che alla lite fiscale, pendente in grado di appello all’esito del giudizio di primo grado definito con sentenza n. 1943 depositata il 18.12.2001 della Commissione tributaria di primo grado di Cagliari, in quanto potenzialmente definibile ai sensi della predetta L. n. 289 del 2002, era applicabile la sospensione dei termini per la proposizione dell’appello disposta dall’art. 16, comma 6, ultima parte, della medesima legge, e prorogata senza soluzioni di continuità – con successivi interventi legislativi – fino all’1 giugno 2004.

L’appello proposto dall’Ufficio Cagliari (OMISSIS) della Agenzia delle Entrate, avverso la sentenza di primo grado non notificata, è dunque da considerarsi tempestivo, con conseguente rigetto del secondo motivo di ricorso.

5.2 Anche il primo motivo di ricorso, previa correzione della qualificazione erroneamente indicato in rubrica come violazione di norme di diritto sostanziale anzichè come vizio di nullità processuale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), è infondato.

Risulta dalla sentenza di appello gravata da ricorso per cassazione e dall’esame degli atti della fase di merito, il cui accesso è consentito alla Corte dovendo procedersi a verifica della corretta applicazione di norma processuale ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4), che i Giudici di primo grado hanno accolto il ricorso del contribuente in quanto l’Amministrazione finanziaria aveva depositato tardivamente le proprie controdeduzioni e non aveva fornito prova della avventa notifica dell’avviso di accertamento e di liquidazione.

Orbene come ripetutamente affermato da questa Corte “il giudizio tributario, anche in base alla disciplina dettata dal D.Lgs. n. 546 de 1992, art. 18, comma 2, art. 19, e art. 24, comma 2, è caratterizzato da un meccanismo di instaurazione di tipo impugnatorio, circoscritto alla verifica della legittimità della pretesa effettivamente avanzata con l’atto impugnato, alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in esso atto indicati, ed ha un oggetto rigidamente delimitato dalle contestazioni mosse dal contribuente con i motivi specificamente dedotti nel ricorso introduttivo, in primo grado, onde delimitare sin dalla nascita del rapporto processuale tributario le domande e le eccezioni proposte dalle parti” (cfr. Corte Cass. 5^ Sez. 18.6.2003 n. 9754; id.

2.4.2007 n. 8182; is. 3.8.2007 n. 17119; Corte Cass. SU 23.12.2009 n. 27209. Conf. Corte Cass. 5^ sez. 21.10.2005 n. 20398 secondo cui “Il processo tributario, inoltre, pur avendo ad oggetto un rapporto che vede il contribuente nella veste di soggetto passivo, trae origine da un’azione costitutiva, volta all’annullamento di un atto autoritativo, il cui esercizio da parte del contribuente non fa assumere all’Amministrazione finanziaria la qualità di attrice in senso sostanziale, non essendo dovuta a tale qualità, ma ai principi costituzionali che escludono la c.d. presunzione di legittimità dell’atto amministrativo, l’imposizione a suo carico dell’onere di fornire la prova dei fatti costitutivi della pretesa tributaria”).

Nel contenzioso tributario, pertanto, costituisce eccezione in senso stretto lo strumento processuale attraverso il quale si faccia valere un l’atto giuridico avente efficacia modificativa od estintiva della pretesa fiscale, (cfr. Corte Cass. 5^ sez. 11.7.2002 n. 10112), non potendo essere considerata tale – e non comportando pertanto il divieto di sollevare eccezioni nuove in appello, posto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, la nuova deduzione, in grado di appello, di cosiddette eccezioni improprie, o mere difese, in quanto dirette a sollecitare il rilievo d’ufficio da parte del giudice, della inesistenza dei fatti costitutivi del diritto dedotto in giudizio (cfr. Corte Cass. 5^ sez. 12.8.2004 n. 15546, con riferimento alla posizione del contribuente), ovvero, specularmente, in quanto volte alla mera contestazione da parte dell’Amministrazione finanziaria delle censure mosse dal contribuente all’atto impugnato con il ricorso ed alle quali rimane circoscritta la indagine rimessa al giudice.

Se dunque la norma del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 2, invocata dal ricorrente comporta esclusivamente la preclusione delle eccezioni “nuove” e cioè di quelle eccezioni che si risolvono in “mutamento, in secondo grado, degli elementi materiali del fatto costitutivo della pretesa” con conseguente ampliamento del “thema decidendum” (cfr. Corte Cass. 5^ sez. 3.5.2002 n. 6347 – che esclude dal divieto di “ius novo rum” le domande ed eccezioni con le quali si prospetti una “diversa qualificazione giuridica del rapporto dedotto in giudizio in relazione – agli elementi materiali della fattispecie – già acquisiti al processo”-), ne segue che, avuto riguardo all’oggetto del contendere come definito dal ricorso in primo grado del contribuente – individuato nella mancata notifica degli atti valutativi e di liquidazione presupposti, nonchè nella incongruità del valore accertato rispetto a quello dichiarato – le contrarie allegazioni dell’Ufficio volte ad affermare la avvenuta notifica degli atti presupposti si limitano alla mera indicazione di un fatto già acquisito al giudizio in quanto non introducono alcun elemento nuovo di indagine rispetto a quelli già introdotti nel giudizio con il ricorso introduttivo.

I Giudici territoriali di secondo grado hanno pertanto fatto corretta applicazione della norma processuale invocata dal ricorrente a parametro del sindacato di legittimità, rimanendo esente da censure di invalidità, sotto tale profilo, la sentenza impugnata.

Ove poi la censura prospettata dal ricorrente dovesse intendersi estesa anche alla denuncia di violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, in considerazione dell’indiretto riferimento contenuto nel ricorso all’utilizzo da parte dei Giudici di appello delle prove documentali prodotte in grado di appello dall’Ufficio a sostegno delle proprie difese, il motivo risulterebbe, anche sotto detto profilo, egualmente manifestamente infondato alla stregua dell’uniforme orientamento di questa Corte – avvalorato dal dato normativo testuale del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58 – in ordine alla specialità del rito tributario che non consente un automatico rinvio formale all’art. 345 c.p.c. (ed alle condizioni ivi previste di ammissibilità di nuove prove documentali in grado di appello:

Corte Cass. 5^ sez. 24.5.2002 n. 7602), non incontrando limiti nel processo tributario di appello la produzione di nuovi documenti “ancorchè preesistenti al giudizio svoltosi in primo grado” (Corte Cass. 5^ sez. 16.8.2005 n. 16916), “a nulla rilevando la eventuale irritualità della loro produzione in primo grado” (Corte Cass. 5^ sez. 13.5.2003 n. 7329), ed “indipendentemente dalla impossibilità dell’interessato di produrli in prima istanza per causa a lui non imputabile” (Corte Cass. 5^ sez. 11.2.2003 n. 2027).

p.6. La decisione sul ricorso e sulle spese.

Il ricorso proposto nei confronti della Amministrazione statale va dichiarato inammissibile, mentre deve essere rigettato il ricorso proposto nei confronti della Agenzia delle Entrate. Alla soccombenza della parte ricorrente segue la condanna alla rifusione delle spese del presente giudizio che vengono liquidate in dispositivo.

PQM

La Corte:

– dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministero della Economia e Finanze;

– rigetta il ricorso proposto nei confronti della Agenzia delle Entrale;

– condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizi che liquida in Euro 3.000,00 per onorari oltre le spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 1 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2011

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