Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6921 del 11/03/2020

Cassazione civile sez. I, 11/03/2020, (ud. 14/01/2020, dep. 11/03/2020), n.6921

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 36741/2018 proposto da:

O.G., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Cavour,

presso la cancelleria della Corte di cassazione e rappresentato e

difeso dall’avvocato Vittorio D’Angelo per procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrente –

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e

difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui

uffici in Roma, Via dei Portoghesi, 12, domicilia;

– resistente –

avverso la sentenza n. 851/2018 della Corte di appello di Ancona

depositata il 11.06.2018.

udita la relazione della causa svolta dal Cons. SCALIA Laura nella

camera di consiglio del 14/01/2020.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Ancona con la sentenza in epigrafe indicata, pronunciando ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, in riforma della ordinanza pronunciata dal locale Tribunale impugnata dal Ministero dell’Interno, ha rigettato l’opposizione proposta da O.G. avverso il provvedimento di diniego della competente Commissione territoriale al riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria ed umanitaria, compensando le spese di lite.

O.G. ricorre per la cassazione dell’indicata sentenza con due motivi.

Il Ministero dell’Interno si è costituito tardivamente al dichiarato fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente, originario della (OMISSIS), nel racconto reso dinanzi alla competente Commissione territoriale aveva dichiarato di essersi allontanato dal proprio Paese perchè, figlio del capo sacerdote di un idolo tradizionale del proprio villaggio, alla morte del padre per sfuggire, egli di fede cristiana, alle pressioni esercitate dagli anziani che volevano che prendesse il posto del primo, dopo essersi allontanato rifugiandosi presso il villaggio natale della madre in Ugboha – in cui veniva raggiunto dagli anziani del villaggio che nel lanciargli contro un maleficio provocavano la morte del fratello – si era al fine determinato ad andarsene dopo essere stato a tanto consigliato dal capo villaggio di Ugboha, altra località presso cui si intratteneva dal 2008 al 2014, che gli rappresentava l’opportunità di evitare in tal modo il rischio di una guerra con l’altro villaggio.

Giunto in Libia dove veniva arrestato perchè venduto alla polizia dall’autista veniva riscattato da una donna nigeriana che lo aveva condotto presso la propria abitazione e gli aveva offerto una occupazione come domestico.

Dalla Libia si allontanava dopo quattro mesi in ragione del conflitto in atto, raggiungendo l’Italia.

1.1. Con il primo motivo il richiedente fa valere la nullità processuale dell’impugnata sentenza per motivazione apparente (art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e dell’art. 111 Cost.).

La Corte di appello aveva ritenuto il racconto non credibile rimandando, quanto al nucleo portante della resa motivazione e senza avvalersi di alcun percorso argomentativo originale, alle valutazioni della Commissione sul carattere incoerente, “risibile”, poco plausibile, stereotipato e generico del racconto che, in ogni caso, avrebbe evidenziato vicende di natura personale tutelabili con il ricorso alla polizia locale e comunque di natura economica.

Il motivo è infondato.

Secondo formata di questa Corte di legittimità, la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero integra un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito – il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), – e tale apprezzamento di fatto diviene censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, o come motivazione apparente, o come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. n. 3340 del 05/02/2019; Cass. n. 33096 del 20/12/2018).

Ciò posto, quanto alla dedotta apparenza della motivazione vero è che la sentenza impugnata nel riprendere i contenuti del provvedimento adottato dalla competente Commissione territoriale formula con autonomia il proprio giudizio che sostiene come tale la decisione impugnata non censurabile sub specie dell’apparenza della motivazione.

La motivazione apparente ricorre infatti nelle ipotesi in cui non vi sia da parte del giudice del merito un autonomo ed originale processo decisionale che là dove la motivazione venga articolata per relationem alla sentenza impugnata si traduca in una generica condivisione della ricostruzione in fatto e delle argomentazioni in diritto senza alcun esame critico delle stesse in base ai motivi di gravame (ex multis: Cass. n. 27112 del 25/10/2018).

La critica che muove dal richiamato principio non coglie nel segno. In tema di riconoscimento della protezione internazionale la motivazione apparente non ricorre nell’ipotesi in cui il giudice del gravame, nel riformare in peius la sentenza di primo grado denegando la misura richiesta, abbia determinato il proprio convincimento aderendo alle ragioni esposte dalla compente Commissione territoriale nel provvedimento di diniego del beneficio. In siffatta ipotesi resta comunque ricostruibile il processo decisionale in relazione al fatto scrutinato che è quello di condivisione delle ragioni espresse dall’organo amministrativo senza che il carattere originale del primo possa trovare conforto, nella fattispecie descritta, nel confronto con le critiche frapposte dalla parte per l’introdotto mezzo di impugnazione salvo che il ricorrente in cassazione, beneficiario per la riformata pronunzia, non abbia fatto valere in appello argomenti decisivi, come tali allegati nel giudizio di cassazione, a sostegno della conferma del provvedimento impugnato con i quali la sentenza di appello non si sia confrontata.

Tanto non è avvenuto nella specie con conseguente non concludenza della critica proposta.

La motivazione impugnata inoltre nel riportare il racconto del richiedente protezione aderisce alle valutazioni svolte dalle competente Commissione territoriale e qualificando come stereotipato e generico il primo dà conto di averne in concreto scrutinato i contenuti, da tanto traendo le ragioni della decisione.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, ed omessa valutazione di un fatto decisivo per il giudizio per avere la Corte di merito erroneamente ritenuto quanto dichiarato dal richiedente non credibile, omettendo di esaminare il verbale delle dichiarazioni nella parte in cui il ricorrente spiegava le ragioni della sua fuga dalla (OMISSIS) e quindi dalla Libia.

Il richiedente aveva mostrato una foto del padre ed il certificato di morte; la sua dichiarazione sarebbe stata coerente con la situazione e le tradizioni della (OMISSIS) e dettagliata; egli avrebbe presentato domanda appena rientrato in Italia.

Il ricorrente deduce il rilievo dato alle tradizioni e superstizioni esistenti in (OMISSIS) riportando parti della motivazione di un Tribunale penale di La Spezia sui riti “voodoo” in uso in (OMISSIS), sulla loro valenza intimidatoria e sulla capacità degli stessi di integrare l’aggravante della violenza e minaccia in una fattispecie di sfruttamento della prostituzione a carico di donne nigeriane.

Sarebbe stata erronea la qualificazione del richiedente quale migrante economico per avere egli stesso ammesso di aver raggiunto l’Italia dalla Libia sperando in un futuro migliore.

Dalla dichiarazione resa dinanzi alla Commissione si sarebbe invece avuto contezza del fatto che il ricorrente si era allontanato dalla Libia perchè vi era una guerra in atto ed egli non voleva mettere a rischio la propria vita.

Il motivo è infondato.

Il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, stabilisce che anche in difetto di prova, la veridicità delle dichiarazioni del richiedente deve essere valutata alla stregua dei seguenti indicatori: a) il compimento di ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) la sottoposizione di tutti gli elementi pertinenti in suo possesso e di una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi; c) le dichiarazioni del richiedente debbono essere coerenti e plausibili e non essere in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso, di cui si dispone; d) la domanda di protezione internazionale deve essere presentata il prima possibile, a meno che il richiedente non dimostri un giustificato motivo per averla ritardata; e) la generale attendibilità del richiedente, alla luce dei riscontri effettuati.

Il contenuto dei parametri sub c) ed e), sopra indicati, evidenzia che il giudizio di veridicità delle dichiarazioni del richiedente deve essere integrato dall’assunzione delle informazioni relative alla condizione generale del paese, quando il complessivo quadro i allegazione e prova che sia stato fornito non risulti esauriente, purchè però il giudizio di veridicità alla stregua degli indici di genuinità intrinseca sia positivo (Cass. 24/9/2012, n. 16202; Cass. 10/5/2011, n. 10202).

Il giudizio di non credibilità resta costruito non solo, come dedotto in ricorso, sulla “risibilità” delle credenze e tradizioni della cultura nigeriana, come i malefici scagliati contro persone, ma dal rilievo che, ciò nonostante, il ricorrente si sia determinato ad allontanarsi dal proprio paese dopo che erano decorsi dieci anni dalla morte del padre e quindi in un lasso di tempo che la Corte di merito apprezza, in modo congruo, come incapace di sostenere il timore di subire gli effetti di un nuovo maleficio degli anziani del villaggio, la cui prima iniziativa aveva erroneamente attinto il fratello del dichiarante, di cui aveva provocato la morte.

Si tratta di profilo, questo, della motivazione non attinto dal ricorso che resta sul punto genericamente ed inefficacemente svolto.

Quanto poi alla fuga dalla Libia ed all’omesso esame del fatto decisivo integrato dal contenuto delle dichiarazioni di cui al verbale formato dinanzi alla Commissione territoriale, la critica sollevata in ricorso nulla deduce sulla decisività del passaggio contenuto nel racconto e per il quale il ricorrente si sarebbe allontanato dalla Libia, paese presso cui aveva intrapreso attività lavorativa come domestico, temendo per la propria vita in ragione della guerra in corso.

Il ricorrente non correla infatti alle dedotte ragioni del proprio allontanamento l’integrazione di alcuna posizione meritevole di tutela nelle forme della protezione internazionale maggiore quanto al rifugio o alla protezione sussidiaria o per ragioni umanitarie per condizioni di vulnerabilità neppure dedotte.

La critica è come tale generica ed inammissibile non risultando sostenuta neppure da interesse.

5. Il ricorso è in via conclusiva infondato e come tale va rigettato. Nulla sulle spese nella natura impropria dell’intervenuta costituzione della parte intimata per i sopra riportati contenuti.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dal L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Prima Sezione civile, il 14 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2020

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