Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6920 del 02/03/2022

Cassazione civile sez. lav., 02/03/2022, (ud. 18/01/2022, dep. 02/03/2022), n.6920

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. SARRACINO Antonella Filomena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18907-2017 proposto da:

CONSORZIO DI BONIFICA n. 9 DI CATANIA, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

BISAGNO n. 14, presso lo studio dell’avvocato IVAN RANDAZZO,

rappresentato e difeso dagli avvocati MAURIZIO NULA, ANTONINO RAVI’;

– ricorrente –

contro

P.S., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato PALMA BALSAMO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 20/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 20/01/2016 R.G.N. 141/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/01/2022 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI.

 

Fatto

RITENUTO

1. La Corte di Appello di Catania confermava la sentenza con la quale il Tribunale di Catania aveva dichiarato l’illegittimità del termine apposto ai contratti stipulati da P.S. con il Consorzio di Bonifica 9 di Ragusa, a decorrere dalla seconda assunzione del (OMISSIS), per la generica indicazione delle ragioni di apposizione del termine e per mancata prova del collegamento tra l’assunzione esigenze organizzative. Ed infatti, il primo contratto del (OMISSIS) si sottraeva alle censure mosse dal lavoratore, essendo stato stipulato per esigenze correlate a specifici atti vandalici, mentre ciò non poteva dirsi per il secondo contratto.

Dichiarava che tra le parti si era instaurato un rapporto di lavoro a tempo indeterminato dal primo contratto e ne ordinava la riammissione in servizio. Condannava il Consorzio al pagamento di un’indennità pari a otto mensilità dell’ultima retribuzione di fatto, ai sensi della L. n. 183 del 2010, art. 32.

2. La Corte territoriale escludeva che il contratto del (OMISSIS), adottato ancora nella vigenza della L. n. 230 del 1962, oggetto di conversione rientrasse in precedente pronuncia di rigetto su cui si era formato il giudicato.

Affermava che anche per i contratti a termine operava il differimento al 1 gennaio 2012 per l’operatività del sistema delle decadenze previste dalla L. n. 183 del 2010, art. 32.

Nel merito e per quanto qui in discussione, il giudice di secondo grado riteneva che, qualificati gli enti consortili di bonifica siciliani come enti pubblici economici, dovesse applicarsi, quanto alla stipula dei contratti a termine, la disciplina di diritto comune prevista, ratione temporis, dalla L. n. 230 del 1962, e dal D.Lgs. n. 368 del 2001.

Quanto alla richiesta di conversione, ad essa non ostava – secondo i giudici d’appello – il principio per cui le assunzioni del personale a tempo indeterminato vanno precedute da un pubblico concorso o prova pubblica selettiva, nel range temporale segnato dalla vigenza della L.R. Sicilia n. 18 del 1999 e fino all’entrata in vigore della L.R. Sicilia n. 15 del 2004, perché in quell’arco temporale la normativa regionale, come ricostruita dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 4685/2015, non prevedeva affatto l’obbligo del concorso in relazione agli enti pubblici economici dipendenti o vigilati dalla regione e dagli enti locali.

Nella specie in relazione al contratto del (OMISSIS) le deduzioni del Consorzio erano generiche e non aveva offerto alcun elemento di prova. Quindi in ragione illegittimità del termine occorreva confermare la nullità del termine e la conversione del rapporto.

Rimaneva ferma la quantificazione del risarcimento L. n. 183 del 2010, ex art. 32, comma 5, come disposta dal Tribunale.

3 Per la cassazione della sentenza di appello ha proposto ricorso il Consorzio, articolato in quattro motivi.

4. Ha resistito con controricorso il lavoratore.

5. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione della L.R. Sicilia n. 49 del 1981, art. 3, della L.R. Sicilia n. 14 del 1958, artt. 6,7 e 9, e della L.R. Sicilia n. 12 del 1991, art. 3, oltre che dell’art. 97 Carta Cost..

Viene nella sostanza lamentata la violazione delle norme innanzi indicate dalle quali si desumerebbe l’obbligo, per i Consorzi di bonifica siciliani, di assumere i propri dipendenti solamente previo espletamento di un concorso o di una prova pubblica selettiva, con conseguente impossibilità di trasformare i rapporti a termine in rapporti a tempo indeterminato.

2. Si deve qui richiamare integralmente, anche ai sensi dell’art. 118 c.p.c., quanto affermato in Cass. n. 274/2019 in cui si opera una completa ed esaustiva ricostruzione di tutta la normativa di settore, anche alla luce della legislazione regionale (si vedano i punti da 54 a seguire della pronunzia).

Per quanto qui di più stretto interesse, nella citata sentenza si afferma che “la L.R. n. 76 del 1995, laddove ha autorizzato i consorzi di bonifica a ricorrere alle assunzioni a tempo determinato, da svolgersi ai sensi della L. n. 230 del 1962 (…) non si pone affatto in contrasto con il divieto di assunzione a tempo indeterminato dettato dalla L.R. n. 45 del 1995, art. 32, non introduce alcuna norma derogatoria a tale divieto, né abroga l’art. 32″ (…). La L. n. 76 del 1995, e le disposizioni di legge regionale intervenute successivamente si sono, infatti, limitate a prorogare nel tempo l’utilizzo di siffatta tipologia di assunzioni e, al contempo, le misure di garanzia occupazionale-assistenziale. (…). Risulta, dunque, chiara la volontà del legislatore di consentire nel sistema delle assunzioni dei Consorzi di bonifica solo circoscritte ipotesi di assunzione a tempo determinato, rinviando per le modalità di assunzione alla L. n. 230 del 1962. (…) La circostanza che i rapporti a termine dedotti in giudizio siano stati stipulati al di fuori delle ipotesi previste dalla L. n. 230 del 1962, richiamata nella L.R. n. 76 del 1995, artt. 3 e 4, non ne consente la trasformazione o conversione in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, non essendo possibile sanare, per tal via, rapporti di lavoro invalidi sin dalla loro origine, in quanto tale effetto è precluso dal richiamato divieto di assunzione a tempo indeterminato” (si vedano specificamente i punti 69, 70, 73 e 76 della sentenza).

Tale essendo il quadro normativo di riferimento, il motivo in esame, pur erroneo nella normativa di riferimento, è fondato nella parte in cui deduce l’impossibilità giuridica di far luogo alla conversione dei rapporti con termine illegittimo in rapporti a tempo indeterminato.

In una parola, il divieto di conversione del contratto a termine in rapporto a tempo indeterminato si coniuga – quanto a dette ipotesi – al divieto imposto ai Consorzi di Bonifica dalla legislazione regionale innanzi richiamata di procedere a nuove assunzioni di personale a tempo indeterminato (si vedano sul punto i precedenti in senso conforme, fra le altre, Cass. n. 22981/2020; Cass. n. 38657/2021).

3. Con il secondo motivo di ricorso è dedotto il vizio di violazione di legge (D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 11), e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro (artt. 2 e 121 CCNL, ratione temporis applicabile). Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Si censura l’affermazione della illegittimità dell’apposizione del termine per la mancanza di specificazione della causale.

La Corte d’Appello aveva individuato erroneamente la disciplina applicabile, dovendo trovare applicazione la disciplina transitoria del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 11. Ciò, in quanto trovava applicazione il CCNL per i dipendenti dei Consorzi di bonifica e di miglioramento fondiario – efficace dal 1 gennaio 2000 al 31 dicembre 2003, durata che si evinceva dal medesimo CCNL, art. 54, che consentiva di assumere a termine operai avventizi; così anche il contratto del 6 marzo.

L’omesso esame riguardava l’attività svolta dal lavoratore come operaio avventizio addetti a lavori stagionali e dunque rientravano tra i lavoratori che potevano essere assunti a termine. La circostanza che il lavoratore era stato assunto come operaio avventizio non era stata contestata dal lavoratore.

4. Con il terzo motivo di ricorso viene dedotta la violazione di norme di diritto in relazione all’accertamento della nullità del termine (art. 115 c.p.c.). Il ricorrente deduce di aver adempiuto all’onere della prova della effettiva esistenza delle ragioni giustificatrici delle assunzioni mediante la produzione in giudizio della Delib. autorizzativa n. 248 del 2001, della prima assunzione del lavoratore, e del relativo contratto, in cui si faceva riferimento all’urgenza degli interventi. Quindi vi era stato travisamento della prova e le relative circostanze erano decisive.

5. I suddetti motivi di ricorso devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione. Gli stessi non sono fondati.

6. Dalla sentenza impugnata (cfr. pag. 3 del provvedimento) emerge che fin dal ricorso introduttivo il lavoratore aveva allegato di essere stato assunto per eseguire opere di manutenzione rispondenti a stabili esigenze dell’ente, anziché ad esigenze temporanee.

Tale essendo la prospettazione dell’atto introduttivo di lite, non vi era alcuna necessità che l’attore contestasse l’opposto assunto del Consorzio: ciò perché la contestazione da parte del convenuto dei fatti già affermati o già negati nell’atto introduttivo del giudizio non ribalta sull’attore l’onere di contestare l’altrui contestazione, dal momento che egli ha già esposto la propria posizione a riguardo (Cass. n. 6183/18).

Ciò importa l’infondatezza dell’assunto del Consorzio secondo cui costituirebbe circostanza incontestata tra le parti la stipula dei contratti a termine per esigenze temporanee.

Ne’ in sede di legittimità si può sollecitare, attraverso il vizio di omesso esame, una rivisitazione del materiale probatorio.

La Corte d’Appello ha affermato che era mancato da parte dell’ente l’assolvimento dell’onere probatorio concernente l’adibizione del ricorrente ad attività di carattere straordinario e/o stagionale.

Il Consorzio sul punto si limitava ad assumere, anche in tal caso apoditticamente, che il lavoratore non aveva svolto mansioni di manutenzione ordinaria delle opere e degli impianti consortili, essendo stato piuttosto impiegato in non meglio specificate attività di manutenzione di carattere straordinario e stagionale senza tuttavia indicare le relative fonti di prova.

Doveva, d’altra parte, rappresentarsi, proseguiva la Corte d’Appello, che lo svolgimento di opere di manutenzione delle strutture rappresentava la normale attività del Consorzio di bonifica e i contratti intercorsi tra le parti coprivano pressoché tutti i periodi dell’anno solare, oltre gli stessi limiti concettuali di stagione.

Viceversa, per essere conforme alla disciplina vigente, l’assunzione a termine doveva essere effettuata per l’esecuzione di opere e servizi che, pur potendo eventualmente consistere in un’attività qualitativamente identica quella ordinariamente esercitata dall’impresa, fossero in ogni caso giustificati da un incremento particolarmente rilevante, in relazione ad eventi non ai prevedibili, così da non poter essere affrontati con le normali strutture organizzative produttive dell’impresa.

Di tali elementi, tuttavia, affermava la Corte d’Appello il Consorzio, in relazione al contratto intercorso dal (OMISSIS), non aveva offerto alcun elemento di prova.

Peraltro, l’illegittimità del termine per mancanza di prova della sua ragione giustificativa esclude che possa applicarsi il D.Lgs. n. 368 del 2011, art. 11.

Il dato normativo prevede testualmente:

“1. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo sono abrogate la L. 18 aprile 1962, n. 230, e successive modificazioni, la L. 25 marzo 1983, n. 79, art. 8-bis, la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, nonché tutte le disposizioni di legge che sono comunque incompatibili e non sono espressamente richiamate nel presente decreto legislativo.

2. In relazione agli effetti derivanti dalla abrogazione delle disposizioni di cui al comma 1, le clausole dei contratti collettivi nazionali di lavoro stipulate ai sensi della citata L. n. 56 del 1987, art. 23, e vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, manterranno, in via transitoria e salve diverse intese, la loro efficacia fino alla data di scadenza dei contratti collettivi nazionali di lavoro.

3. I contratti individuali definiti in attuazione della normativa previgente, continuano a dispiegare i loro effetti fino alla scadenza”.

E’ evidente, quindi, che il citato comma 2, nel prevedere l’ultrattività, fino alla scadenza dei c.c.n.l., delle clausole della contrattazione collettiva in vigore all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 368 del 2001, si riferisce alle clausole che consentono l’utilizzo della contrattazione a termine, mentre nel caso di specie la stipula del contratto è avvenuta al di fuori di dette ipotesi o, comunque, senza che della loro ricorrenza sia stata fornita prova.

In breve, possono essere oggetto di proroga i contratti cui risulti legittimamente apposto un termine, non quelli con termine illegittimo.

A tanto va aggiunto che la ratio del citato comma 2, la lett. e, rendono evidente che il disposto normativo si riferisce alle clausole già in essere alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 368 del 2001, avendo il legislatore inteso disciplinare la fase transitoria rispetto alle disposizioni contrattuali previgenti.

E’, quindi, infondata la deduzione del Consorzio secondo cui l’art. 11 cit., si riferirebbe anche ai contratti collettivi stipulati dopo l’entrata in vigore della norma quando l’efficacia degli stessi copra anche in periodo anteriore all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 368 del 2001, com’e’ nel caso di specie in cui il contratto, pur stipulato in data (OMISSIS), era inteso a spiegare i suoi effetti nell’arco temporale dal 1.1.2000 al 31.12.2004 (secondo la previsione del medesimo c.c.n.l., art. 154, comma 3).

Ne consegue che la previsione del citato D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 11, comma 2, non può riferirsi anche a dette ipotesi: diversamente, si lascerebbe alle parti sociali la libertà di prevedere nuove ipotesi di ampliamento dell’utilizzo della contrattazione a termine, in deroga al nuovo assetto normativo delineato dal D.Lgs. n. 368 del 2001, laddove, per converso, la disposizione ha piuttosto lo scopo (proprio perché transitoria) di preservare le sole clausole della contrattazione collettiva già vigenti alla data dell’entrata in vigore della novella e le eventuali e peculiari deroghe – in ampliamento nell’utilizzo della contrattazione a termine.

7. Con il quarto motivo di ricorso si chiede che vada cassata, non essendovi i presupposti per la conversione del rapporto, in ragione della legittimità del termine, la statuizione relativa al risarcimento del danno disposto in favore del lavoratore ai sensi della L. n. 183 del 2010, art. 32.

8. Il motivo è infondato, atteso che, pur non sussistendo le condizioni per la conversione del rapporto, la legittimità del termine è stata esclusa, e che la Corte d’Appello, atteso che non erano stati proposti motivi specifici ed autonomi concernenti la decisione sul punto, ha confermato la quantificazione operata dal Tribunale in quanto effettuata in ragione della durata complessiva del rapporto di lavoro concretamente intercorso tra le parti, circa dieci anni, e delle dimensioni dell’azienda.

9. La cassazione della statuizione relativa alla domanda di conversione del rapporto implica la pronuncia nel merito sulla stessa ex art. 384 c.p.c., comma 2, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto. Tale domanda va rigettata per le ragioni già esposte nei paragrafi che precedono.

10. Consigliano la compensazione delle spese di lite dell’intero processo l’accoglimento solo parziale della domanda originaria nonché il consolidarsi, in epoca successiva all’introduzione del giudizio, della giurisprudenza di legittimità in ordine ad altre questioni qui esaminate (fra cui quella relativa all’interpretazione della L.R. Sicilia n. 4 del 2003, art. 106, comma 1).

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso. Rigetta tutti gli altri motivi. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di conversione del rapporto. Compensa tra le parti le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2022

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