Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6918 del 11/03/2021

Cassazione civile sez. lav., 11/03/2021, (ud. 24/11/2020, dep. 11/03/2021), n.6918

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1153/2020 proposto da:

W.M., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato RICCARDO RUBBOLI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI BOLOGNA, in

persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia

ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 2157/2019 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 22/07/2019 R.G.N. 2469/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

24/11/2020 dal Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. La Corte di appello di Bologna, con la sentenza n. 2157 del 2019, ha respinto il gravame proposto da W.M., cittadino (OMISSIS) proveniente dalla regione del Punjab, avverso l’ordinanza del Tribunale della stessa sede che, confermando il provvedimento emesso dalla competente Commissione territoriale, aveva negato al richiedente il riconoscimento dello status di rifugiato nonchè della protezione sussidiaria ed umanitaria.

2. Il richiedente, di religione sunnita, in sintesi aveva dichiarato di essere stato costretto a fuggire dal paese di origine a causa delle minacce di morte contro di lui rivolte dai parenti, dall’imam del villaggio e dai suoi sostenitori, per avere sposato una ragazza di religione non musulmana e cioè kadiana “vale a dire ahmadi”; di essersi per questo trasferito nella città di (OMISSIS) da cui aveva deciso di fuggire mentre la moglie era rimasta ivi ospite di una cugina.

3. A fondamento della decisione la Corte territoriale ha rilevato, in primo luogo, che il narrato non era credibile in quanto connotato da una serie di contraddizioni, come per esempio: il fatto di avere sposato una donna di religione diversa in virtù di un permesso ottenuto in Tribunale, esibendo perfino le foto della cerimonia pubblica, e di essere, poi, stato costretto a scappare a causa di detto matrimonio: il tutto senza mai avere interessato le forze di Polizia del luogo solo perchè non lo avrebbero ascoltato; il fatto che, nonostante si fosse trasferito in una metropoli di 25 milioni di abitanti ((OMISSIS)), non si sarebbe sentito al sicuro dalle vendette sebbene fosse stato in possesso di una garanzia dello Stato in ordine al vincolo matrimoniale garantito dallo Stato. La Corte di merito ha precisato, inoltre, che correttamente dal primo giudice l’agente persecutore era stato individuato in un soggetto non statuale e che in Punjab, dalle fonti consultate, non emergeva una situazione di conflitto armato nell’accezione prevista dalla legge. Analogamente, in ordine alla richiesta di protezione umanitaria, i giudici di seconde cure hanno sottolineato che non sussistevano le condizioni di vulnerabilità che avrebbero consentito il rilascio di un permesso di soggiorno perchè, oltre ai profili ostativi della non credibilità del narrato: a) non era stato dimostrato un grado di integrazione in Italia; b) la patologia oculare (come documentata) per la quale era stato qui ricoverato poteva essere curata nel paese di origine, come risultava dalle COI del 2018 attraverso un sistema sanitario che, pur nel proliferare di istituzioni di carattere privato, forniva prestazione a tutti i livelli di assistenza, anche a carattere specialistico; c) il rientro nel paese di origine non lo avrebbe esposto ad una condizione di privazione dei fondamentali diritti della persona, atteso che proveniva da una famiglia benestante (il padre militare e i fratelli con un certo grado di istruzione e professionalmente affermati) e che, prima di partire, lavorava presso il panificio del suocero.

4. Avverso il provvedimento del Tribunale W.M. ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.

5. Il Ministero dell’Interno si è costituito al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione di legge, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 lett. c), ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere la Corte di appello riconosciuto la sussistenza di una minaccia grave alla vita del cittadino straniero derivante da una situazione di violenza indiscriminata così come meglio definita nella sentenza della Corte di Giustizia C-465/07.

3. Con il secondo motivo si censura la violazione di legge, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere la Corte territoriale riconosciuto la sussistenza di una minaccia grave alla vita del cittadino proveniente anche da soggetti non statali.

4. Con il terzo motivo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, ex art. 360 c.p.c., n. 3, perchè i giudici di merito hanno negato la protezione umanitaria, nonostante la grave patologia oculare che lo rendeva un soggetto vulnerabile, evidenziatasi nelle more del processo.

5. Con il quarto motivo il ricorrente si duole della violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere i giudici di merito negato valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, sforniti di valenza probatoria singolarmente considerati, non sarebbero stati in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi.

6. Il primo motivo non è fondato.

7. Va ribadito che, in merito alla previsione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale” deve essere interpretata in conformità alla fonte Eurounitaria di cui è attuazione (direttive 2004/83/CE e 2011/95/UE), in coerenza con le indicazioni ermeneutiche fornite dalla Corte di Giustizia UE (Grande Sezione 18 dicembre 2014 C-542/13 par. 36), secondo cui i rischi cui è esposta in generale la popolazione di un paese o di una parte di essa di norma non costituiscono di per sè una minaccia individuale da definirsi come danno grave (v. 26 Considerando della direttiva n. 2011/95/UE) sicchè “l’esistenza di un conflitto armato interno potrà portare alla concessione della protezione sussidiaria solamente nella misura in cui si ritenga eccezionalmente che gli scontri tra forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati o tra due o più gruppi armati siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria, ai sensi dell’art. 15 direttiva, lett. c), a motivo del fatto che il grado di violenza indiscriminata che caratterizza per ritenere che un civile rinviato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione, correrebbe, per la sola presenza nel territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia” (cfr. Corte di Giustizia UE 17.2.2009 Elgafaji C-465/07 e 30.1.2014, Diakitè C-285/12 nonchè Cass. n. 13858 del 2018 e Cass. n. 30105 del 2018).

8. In tal senso la valutazione del giudice di merito è stata compiuta in coerenza con i richiamati presupposti normativi e il motivo si sostanzia, quindi, in una inammissibile censura di fatto all’accertamento compiuto dalla Corte, del resto conforme ad altre pronunce di merito quanto alla situazione del Punjab (cfr. riferimenti in Cass. 19697 del 2000 e Cass. n. 12697 del 2020).

9. Il secondo motivo è inammissibile perchè non è pertinente con la ratio decidendi del gravato provvedimento.

10. Invero, la Corte di merito ha ritenuto insussistente l’intento persecutorio, in primo luogo, perchè il suo racconto non è risultato credibile e, in secondo luogo, perchè ha rilevato che, provenendo la persecuzione da soggetti non statuali, il richiedente avrebbe dovuto dimostrare di avere richiesto protezione all’autorità pakistana (o ad altro organismo a ciò deputato) e di non averla ottenuta: circostanza che, invece, era rimasta esclusa per ammissione dello stesso ricorrente.

11. La censura del ricorrente, invece, si limita a citare alcune fonti internazionali sulla blasfemia in Pakistan, ma non si confronta, nello specifico, nè con il giudizio di inattendibilità del narrato, peraltro congruamente motivato dalla Corte, nè con il fatto che esso richiedente non avesse chiesto protezione alle Autorità competenti.

12. Il terzo motivo è, invece, fondato.

13. Ai fini della verifica dei presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie la condizione di vulnerabilità per motivi di salute, normativamente tipizzata del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 11, lett. h) bis, come modificato dal D.Lgs. n. 145 del 2015, impone all’organo giudicante un’attenta e dettagliata disamina dei rischi eventualmente configurabili a carico del ricorrente in caso di rimpatrio (Cass. n. 15332 del 2020).

14. Ciò anche attraverso approfondimenti istruttori, se necessario officiosi, al fine di verificare la sussistenza di perduranti problematiche di salute (Cass. n. 14548 del 2020).

15. Anche la Corte di Giustizia (sent. 24.4.2018 causa C – 353/2016), sia pure in una fattispecie diversa, ha richiesto un accertamento più particolareggiato per il rilascio del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie che deve riguardare l’accertamento sulla gravità della patologia, la necessità ed urgenza di cure nonchè la presenza di gravi carenze del sistema sanitario del paese di provenienza.

16. Tali accertamenti, a parere di questa Corte, in relazione ad una patologia – si ribadisce – emersa nelle more della permanenza in Italia, non possono non riguardare anche la circostanza dell’eventuale erogazione della prestazione medica presso strutture pubbliche o private, e in questo ultimo caso, se la prestazione stessa sia o meno a carico dell’assistito, con un costo ragionevole e compatibile con la sua condizione socio-economica.

17. Nel caso in esame, la Corte territoriale ha affermato che, dalla consultazione delle fonti (COI del 2018), si evinceva che il ricorrente avrebbe potuto usufruire di prestazioni sanitari a tutti i livelli in relazione alla patologia oculare da cui era affetto (cfr. malattia di “eales3 che si era evidenziata nelle more del processo.

18. In ordine ai profili sopra esposti, la verifica della Corte territoriale appare, però, generica e non riscontrata con specifici elementi, sia in relazione alla gravità e durata della malattia, sia sulla circostanza se la prestazione medica in Pakistan fosse erogata effettivamente da strutture private a pagamento (e, in caso positivo, in che termini) o dal servizio sanitario pubblico.

19. Non essendo stata data, pertanto, corretta attuazione ai principi menzionati, la sentenza gravata va cassata in relazione al motivo accolto, rigettati i primi due ed assorbita la trattazione del quarto.

20. La causa va rinviata alla Corte di appello di Bologna, in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame e provvederà anche alla determinazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo, rigettati i primi due ed assorbito il quarto: Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Bologna, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 24 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2021

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