Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6915 del 17/03/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 17/03/2017, (ud. 22/02/2017, dep.17/03/2017),  n. 6915

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – rel. Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17940/2013 proposto da:

BERCAT SRL, elettivamente domiciliato in ROMA VIA VOLTERRA 15, presso

lo studio dell’avvocato ROSARIO TARSIA, rappresentato e difeso

dall’avvocato GIUSEPPE DURANTE;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) SPA, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DELLE QUATTRO

FONTANE 161, presso io studio dell’avvocato ANGELO ANGLANI,

rappresentato e difeso dagli avvocati GIOVANNI LUCIO SMALDONE,

TOMMASO ROMITO;

– controricorrente –

e contro

FALLIMENTO (OMISSIS) SPA, elettivamente domiciliato in ROMA VIA

JACOPO DA PONTE 49, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO

DONATIVI, che lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 10/2013 della COMM.TRIB.REC. di BARI,

depositata il 08/01/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/02/2017 dal Consigliere Dott. LIANA MARIA TERESA ZOSO.

Fatto

ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. La società Bercat S.r.l. impugnava cinque avvisi di accertamento a mezzo dei quali la società (OMISSIS) S.p.A., concessionario della riscossione per il Comune di Casamassima, aveva richiesto il pagamento dell’imposta comunale sulla pubblicità relativamente agli anni dal 2006 al 2010 sul presupposto che erano state esposte targhe pubblicitarie in corrispondenza dell’esercizio commerciale posto all’interno del centro commerciale all’ingrosso denominato “(OMISSIS)”. La commissione tributaria provinciale di Bari accoglieva parzialmente il ricorso annullando gli avvisi di accertamento per gli anni 2006, 2007 e 2008. Proposto appello da parte della Bercat S.r.l., la commissione tributaria regionale della Puglia lo rigettava sul rilievo che sussisteva il presupposto per l’imposizione del tributo a norma del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 5, poichè era fuor di dubbio che il centro commerciale all’ingrosso “(OMISSIS)” era un luogo privato aperto al pubblico con particolari condizioni di accesso stabilite dalla proprietà.

2. Avverso la sentenza della CTR propone ricorso per cassazione la società Bercat S.r.l. affidato a due motivi. Si è costituita in giudizio con controricorso la società (OMISSIS) S.p.A.. Il Fallimento (OMISSIS) s.p.a., dichiarato nelle more del giudizio, si è costituito depositando memoria difensiva.

3. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 5, comma 1, in quanto la CTR ha errato nel ritenere sussistente il presupposto dell’imposta. Ciò in quanto l’art. 5, citato prevede che la diffusione di messaggi pubblicitari possa essere tassata solo se effettuata in luoghi pubblici o aperti al pubblico e, nel caso di specie, il centro commerciale (OMISSIS) non era luogo aperto al pubblico poichè ad esso potevano accedere solo persone titolari di partita Iva previamente identificate al centro di guardiania.

4. Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, poichè la CTR non ha esposto le ragioni per le quali il centro commerciale “(OMISSIS)” aveva le caratteristiche per essere qualificato come luogo aperto al pubblico, dato che si trattava, invece, di luogo privato.

5. Osserva la Corte che il primo motivo di ricorso è inammissibile. Invero la ricorrente censura sotto il profilo della violazione di legge l’accertamento in fatto compiuto dalla CTR circa la natura di luogo aperto al pubblico del centro commerciale ” (OMISSIS) “. La valutazione in fatto compiuta dalla CTR avrebbe potuto essere censurata solo sotto il profilo del vizio di motivazione perchè, per consolidata giurisprudenza, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge ed attiene alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato, in modo evidente, dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. Sez. U, Sentenza n. 10313 del 05/05/2006; Cass. n.195 del 11/1/2016; Cass. n. 26110 del 30/12/2015; Cass. n. 16698 del 16/7/2010; Cass. n. 7394 del 26/3/2010). Al lume di tale principio è dato rilevare come la motivazione della sentenza impugnata non contiene un’errata valutazione in diritto del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 5, bensì accerta in concreto la natura di luogo aperto al pubblico del centro commerciale.

6. Il secondo motivo è parimenti infondato. Invero la ricorrente sostiene (pagina 7 del ricorso) che l’accesso all’interno dell’area interclusa che delimita il centro commerciale all’ingrosso “(OMISSIS)” è limitato ai possessori di partita Iva ed ai titolari di partita Iva che devono svolgere attività commerciale al dettaglio attinente alla partita Iva di cui risultano titolari sicchè è esclusa la vendita al dettaglio delle merci in considerazione della destinazione specifica settoriale del centro commerciale denominato “centro commerciale all’ingrosso”. Ciò evidenzierebbe, secondo la ricorrente, che l’area è privata poichè l’ingresso al centro commerciale è subordinato a un’attività discriminante, finalizzata a verificare in capo a colui che vuole farvi accesso la sussistenza alla coesistenza di determinate condizioni. Dopodichè la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata difetta di motivazione in quanto la CTR ha apoditticamente affermato che era fuor di dubbio che il centro commerciale all’ingrosso “(OMISSIS)” era un luogo privato aperto al pubblico con particolari condizioni di accesso stabilite dalla proprietà. Ora, va considerato che, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111 Cost., comma 2, nonchè di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c., ispirata a tali principi, una volta verificato il difetto di motivazione su un motivo di appello, la Corte di cassazione può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione posta con il suddetto motivo risulti infondata, di modo che la pronuncia da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto (Cass. n. 2313 del 01/02/2010).

Ciò posto, il pur sussistente vizio di motivazione non può dare luogo alla cassazione con rinvio perchè è stato più volte affermato dalla Corte di legittimità il principio secondo il quale, in tema di imposta sulla pubblicità, luogo aperto al pubblico deve essere considerato quello comunque accessibile, sia pure nel rispetto di determinate condizioni, a chiunque si adegui al regolamento che disciplina l’ingresso. Ciò in quanto il presupposto impositivo deve essere individuato nell’astratta possibilità del messaggio, in rapporto all’ubicazione del mezzo, di avere un numero indeterminato di destinatari, che diventano tali solo perchè vengono a trovarsi in quel luogo determinato (con riguardo allo spazio interno della stazione ferroviaria il cui accesso sia consentito ai soggetti muniti di biglietto di viaggio, si veda Cass. n. 27497 del 30/12/2014; con riguardo alla targa indicativa di uno studio di un avvocato esposta in un cortile che, pur privato, era aperto al pubblico si veda Cass. n. 22572 del 8/9/2008).

Ne deriva che anche lo spazio destinato a centro commerciale che, come affermato dalla stessa ricorrente, è accessibile a tutti i possessori di partita IVA, è per ciò solo definibile, ai fini dell’imposta, area aperta al pubblico.

7. Il ricorso va, dunque, rigettato e le spese processuali, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è respinto, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto l’art. 13, comma 1 quater, al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione integralmente rigettata.

PQM

La corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere al resistente le spese processuali che liquida in Euro 700,00 oltre al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% ed oltre agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 22 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 17 marzo 2017

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