Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6913 del 25/03/2011

Cassazione civile sez. trib., 25/03/2011, (ud. 04/01/2011, dep. 25/03/2011), n.6913

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ALONZO Michele – Presidente –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – rel. Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 3938/2006 proposto da:

FALLIMENTO IMPRESA PAGANO COSTRUZIONI DI PAGANO CLAUDIO &

VINCENZO

SNC in persona del curatore pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA VIA CIVITAVECCHIA 7, presso lo studio dell’avvocato BAGNASCO

PIERPAOLO, rappresentato e difeso dall’avvocato CIARAMELLA GIUSEPPE,

giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE, AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 129/2004 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI,

depositata il 29/12/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/01/2011 dal Consigliere Dott. CARLO PARMEGGIANI;

udito per il ricorrente l’Avvocato CIARAMELLA, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CICCOLO Pasquale Paolo Maria, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Ufficio IVA di Caserta notificava il 20 luglio 1995 al curatore del Fallimento della Impresa Pagano Costruzioni di Pagano Claudio e Vincenzo s.n.c. avviso di accertamento relativo all’anno 1990, in cui la società era operativa, rettificando in aumento il volume di affari ed accertando presunte operazioni imponibili evase per L. 1.070.550.000, cui conseguivano maggiori imposte IVA per L. 188.952.000 e sanzioni per L. 506.991.000.

L’avviso era impugnato dal curatore innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Caserta, sostenendo la carenza di motivazione dell’atto e la infondatezza della pretesa impositiva per carenza di prova.

La Commissione accoglieva il ricorso, ritenendo che l’avviso fosse adeguatamente motivato, ma altresì che il mero riferimento alla base della motivazione a valori medi di settore in ordine alle percentuali di ricarico non fosse prova sufficiente a giustificare l’accertamento.

Appellava l’Ufficio e la Commissione Tributaria Regionale della Campania con sentenza n. 129 in data 23-6-2004 depositata il 29-12- 2004 accoglieva il gravame, sul rilievo che l’accertamento in oggetto era adeguatamente motivato e che traeva origine da un diverso accertamento relativo alle imposte sui redditi per lo stesso anno divenuto definitivo.

Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione il Fallimento con tre motivi.

La Agenzia delle Entrate non svolge attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il Fallimento deduce violazione della L. Fall., artt. 31 e 42, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, nonchè difetto di motivazione ed omesso esame di punti decisivi della controversia ex art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5.

Osserva che la Commissione Regionale ha ritenuto che l’accertamento in oggetto traeva origine da un accertamento di maggior reddito a fini imposte dirette relativo all’anno 1990, regolarmente notificato e divenuto definitivo per mancata impugnazione e che pertanto l’accertamento di cui e causa era legittimo ed efficace.

In ordine a tale asserzione deduce in primo luogo che la affermazione di regolarità della notifica del precedente accertamento era errata, essendo stata effettuata nei confronti del fallito anzichè del curatore; in secondo luogo, che la considerazione di validità ed efficacia dell’accertamento ai fini IVA quale derivante in via necessaria e sufficiente dalla definitività di quello precedente ai fini delle imposte sui redditi era errata sul piano giuridico ed inconsistente sul piano logico.

Difatti parifica il fatto che un accertamento sia divenuto definitivo, il che può avvenire per le più varie ragioni, ad un giudicato esterno sulla medesima questione, in specie inesistente, con violazione di ogni principio di diritto amministrativo e processuale, ivi compreso il precetto costituzionale di cui all’art. 24 Cost..

Con il secondo motivo deduce illogica motivazione della sentenza, omesso esame in ordine ad un punto decisivo della controversia, violazione dell’art. 100 c.p.c., dell’art. 324 c.p.c., dell’art. 2909 c.c.; del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 51, 52 e 54, nonchè degli artt. 2727, 2729 e 2697 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5.

Osserva che il giudice di prime cure aveva ritenuto adeguatamente motivato l’accertamento, essendo stato fondato dall’Ufficio su una rilevata incongruità delle percentuali di ricarico applicate dalla impresa, ma aveva ritenuto che non costituisse valida prova il ricorso da parte dell’Ufficio alla applicazione di una percentuale di ricarico lordo logicamente presumibile per il settore, in quanto tale dato non rientrava tra quelli legalmente utilizzabili dall’Ufficio e non era idoneo a fondare un valida presunzione a favore dell’accertamento.

Su tale base, la asserzione della Commissione Regionale sulla adeguata motivazione dell’avviso era inconferente, in quanto non toccava il punto centrale dell’assunto di primo grado, ovvero la inidoneità delle “medie di settore” a fungere da valido strumento di prova.

La stessa mancanza affliggeva, ad avviso del Fallimento l’appello dell’Ufficio, che pertanto doveva essere dichiarato inammissibile;

peraltro, la percentuale media applicata dall’Ufficio non era tratta da alcun atto verificabile, allegato agli atti del giudizio, ed in ogni caso, ove lo fosse stato, sarebbe stata ugualmente carente dei requisiti di gravità precisione e concordanza richiesti per la validità della presunzione.

Con il terzo motivo deduce omesso esame di un punto decisivo della controversia rilevabile d’ufficio; violazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, artt. 3, 5 e 25, con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Rileva infatti che le sanzioni non possono essere irrogate nei confronti di una amministrazione fallimentare in quanto gli organi della stessa non sono responsabili, a titolo di colpa o di dolo, delle violazioni commesse dalla società poi fallita quando era “in bonis”.

Il primo motivo, nella seconda parte, è fondato.

Invero, la Commissione Regionale fa discendere la legittimità ed efficacia dell’accertamento di cui è causa dal mero fatto dell’asserita definitività di un diverso atto di accertamento per le imposte dirette effettuato in relazione al medesimo anno in ordine al quale non era stata proposta impugnazione.

L’assunto costituisce macroscopica erroneità di motivazione in quanto per il principio della autonomia degli atti di accertamento per imposte diverse la intervenuta definitività di uno di essi per mancanza di opposizione è irrilevante in ordine alla fondatezza o meno dell’altro, non essendo tale caratteristica equiparabile ad un giudicato, anche parziale e limitato ad un presupposto di fatto comune ad entrambi.

E’ invece ovvio che elementi probatori e presuntivi tratti da un accertamento possano essere richiamati in un accertamento diverso, ma in questo valgono in quanto gli elementi richiamati siano concretamente idonei a svolgere anche in tale sede valore di prova;

in tal caso, tuttavia, detti elementi, ove giudizialmente contestati, devono essere paratamente esaminati e criticamente valutati sotto tale profilo dal giudice del merito.

Valutazione che manca in modo assoluto nella sentenza impugnata.

Il secondo motivo rimane assorbito e le relative questioni (tra cui la idoneità dei criteri seguiti dall’Ufficio per determinare il volume di affari evaso, fondati su medie di settore, a costituire elemento presuntivo dotato della caratteristiche di gravità, precisione e concordanza necessarie per fare da supporto al convincimento del giudice) sono devolute all’esame del giudice di merito in sede di rinvio.

Il terzo motivo è inammissibile, in quanto proposto per la prima volta in questa sede. Non sussiste motivo alcuno per ritenere che la questione sia rilevabile di ufficio. La giurisprudenza citata, concernente la diretta applicabilità del “ius superveniens” da cui derivi la abrogazione della fattispecie sanzionatoria oggetto del giudizio, è del tutto estranea alla fattispecie, in cui legittimamente è confluita nella procedura fallimentare la obbligazione sorta in capo agli organi sociali in dipendenza delle infrazioni contestate.

La sentenza deve quindi essere cassata in relazione al motivo accolto e rinviata per nuovo esame a diversa sezione della Commissione Tributaria Regionale della Campania, che provvederà anche sulle spese di questa fase di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo, rigetta il terzo.

Cassa in relazione al motivo accolto la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese a diversa sezione della Commissione Tributaria Regionale della Campania.

Così deciso in Roma, il 4 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2011

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