Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6913 del 11/03/2021

Cassazione civile sez. lav., 11/03/2021, (ud. 15/10/2020, dep. 11/03/2021), n.6913

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Presidente –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1645-2015 proposto da:

S.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA

56, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO FIOCCA, rappresentato e

difeso dall’avvocato ANTONIO SASSI;

– ricorrente –

contro

UFFICIO SCOLASTICO PROVINCIALE DI NAPOLI, DIREZIONE SCOLASTICA

REGIONALE PER LA CAMPANIA;

– Intimati –

nonchè contro

M.I.U.R. MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA,

in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso il cui Ufficio domicilia

ope legis, in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 4462/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 02/07/2014 R.G.N. 8390/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/10/2020 dal Consigliere Dott. ROBERTO BELLE’.

 

Fatto

RITENUTO

CHE:

la Corte d’appello di Napoli ha respinto l’appello di S.G., dirigente scolastico, avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato la domanda di risarcimento del danno da mobbing proposta dal medesimo nei confronti del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (di seguito MIUR), nonchè dell’Ufficio Provinciale Scolastico di Napoli e della Direzione Scolastica Regionale per la Campania;

la Corte ha premesso che analoghe domande erano state già proposte in relazione a condotte relative all’arco temporale (OMISSIS), con domande che erano già state respinte in un primo giudizio;

essa ha quindi escluso che il giudice di primo grado dovesse motivare su tutti gli episodi denunciati ed ha rilevato che non era stata provata la volontà persecutoria del datore di lavoro, la quale risultava viceversa evidentemente smentita dal gran numero di soggetti asseritamente coinvolti nella condotta mobbizzante;

S.G. ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi;

il MIUR ha depositato soltanto atto di costituzione.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

con il primo motivo il ricorrente afferma l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5) oggetto di discussione tra le parti;

il ricorrente dapprima trascrive la sentenza di appello resa in altra causa contro la medesima Amministrazione, raffrontandola con quella qui impugnata, al fine di farne constare pressochè totale identità;

egli quindi lamenta il mancato esame di più fatti decisivi per il giudizio, consistenti in plurime condotte delle controparti debitamente elencate, affermando che, in sostanza, la Corte d’Appello avrebbe omesso di esaminare tutti i fatti concreti oggetto di discussione nel giudizio;

anche il secondo motivo è rubricato come omesso esame di un fatto decisivo (art. 360 c.p.c., n. 5) e si articola nella considerazione per cui la corte territoriale avrebbe dapprima enunciato quattro elementi costitutivi della fattispecie di mobbing, per poi esaminarne solo uno (l’intento vessatorio) per escluderlo sulla base dell’affermazione dell’impossibilità di ravvisarlo, per inverosimiglianza, nella condotta protratta nel tempo da una gran numero di persone, senza curarsi di individuare di quante e quali persone si trattasse, così omettendo di apprezzare il fatto che i comportamenti risalivano solo a tre persone ed a chi si trovava in posizione di subordinazione gerarchica rispetto a loro;

i motivi possono esser esaminati congiuntamente, stante la loro connessione, e sono inammissibili;

deve intanto premettersi che non intercetta alcun vizio della sentenza il fatto che la motivazione di essa sia uguale a quella di altra pronuncia tra le stesse parti e per vicende del tutto analoghe, in quanto ciò che conta è l’esistenza o meno di concreti difetti motivazionali o giuridici rispetto al caso deciso;

ciò posto, la Corte territoriale non ha esaminato i singoli fatti addotti come mobbizzanti per la ragione, da essa spiegata, che, trattandosi di vicende manifestatesi nel corso di vari anni e poste in essere – secondo quanto da essa ritenuto – da un gran numero di soggetti, si sarebbe dovuto ipotizzare, per riconoscere la ricorrenza di una condotta volontariamente lesiva nei riguardi del S., l’esistenza di una stabile organizzazione creatasi all’interno dell’Amministrazione scolastica con l’unico fine di perseguitare il ricorrente, il che era da essa ritenuto inverosimile;

si tratta di ragionamento motivazionale in sè non implausibile, rispetto al quale non può avere rilievo la mera elencazione, operata dal ricorrente, dei plurimi fatti da lui addotti come persecutori, in quanto il loro determinarsi non è in sè in contrasto con le conclusioni tratte dalla sentenza impugnata, sicchè il motivo risulta disallineato rispetto alla ratio decidendi ed è inidoneo ad inficiarla con la necessaria decisività;

d’altra parte, è evidente che gli elementi del mobbing diversi dall’intento persecutorio non sono stati analizzati in dettaglio, proprio perchè la Corte territoriale ha escluso la ricorrenza della fattispecie per mancanza dell’elemento, individuato come costitutivo, dell’intento persecutorio e dannoso;

quanto poi al fatto che le persone che avrebbero posto in essere le persecuzioni non fossero un “gran numero”, secondo l’espressione utilizzata dalla sentenza impugnata, lo stesso ricorrente, nel secondo motivo, fa riferimento a tre autori degli atti a suo danno, cui aggiunge altri firmatari di documenti il cui operato sarebbe stato influenzato, per la superiorità gerarchica, da quei tre principali protagonisti;

anche in tal caso il motivo propone una ricostruzione in sè neppure contrastante con l’affermazione della Corte territoriale, in quanto da essa non ne resta escluso che l’intera vicenda fosse opera di più autori (i tre protagonisti principale ed altri loro sottoposti), sicchè il giudizio di inverosimiglianza di un operato rispetto al quale non vi siano stati dissensi o dissociazioni resta sostanzialmente intatto, a riprova, anche in questo caso, della non decisività;

i motivi, oltre alle più specifiche inidoneità impugnatorie sopra evidenziate, si caratterizzano nel loro insieme come proposizione di un genericamente diverso apprezzamento dei dati di merito, sicuramente inammissibile in sede di legittimità (Cass. 4 agosto 2017, n. 19547; Cass., S.U., 25 ottobre 2013, n. 24148; Cass. 9 agosto 2007, n. 17477);

l’inammissibilità dei primi due motivi evidenzia l’inconferenza poi anche del terzo, con il quale, ancora ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 il S. lamenta l’omesso esame di tutte le problematiche relative al nesso di causalità ed alla identificazione del danno risarcibile;

è infatti evidente che, non risultando inficiata la pronuncia in merito all’insussistenza dell’illegittimità delle condotte datoriali, è superfluo ogni esame sul nesso di causalità o sui danni di cui si asserisce il verificarsi, perchè evidentemente il datore di lavoro non potrebbe esser chiamato a rispondere di ciò che non costituisce un illecito ad esso riferibile;

nulla sulle spese in quanto il Ministero si è soltanto costituito senza svolgere reali difese, mentre le altre due controparti sono rimaste intimate.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 15 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2021

 

 

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