Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6913 del 08/04/2016


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Civile Sent. Sez. L Num. 6913 Anno 2016
Presidente: MACIOCE LUIGI
Relatore: BLASUTTO DANIELA

SENTENZA
sul ricorso 14388-2012 proposto da:

BATTAGLIA ANTONINO C.E.

BTTNNN53M26G273Z,

GIOVANNI C.E. CRSGNN57E01G273X,

2016
237

CARUSO

CASINO LEONARDO C.F.
GIOVANNI

C.F.

CSNLRO50E17G273A,

LEONE

LNEGNN5OT27G273G,

LOMBARDO

LMBPTR55M28G2730,

LUCIDO

LCIINGL58H21G273N,

MANGIAPANE

FRANCESCO

C.E.

MNGEN056T595273B,

RICCOBONO

SALVATORE

C.F.

RGCSVT56R23L837S, ROMANO LUIGI

PIETRO

ANGELO

C.F.
C.E.

C.E. RMNLGV55LO2F246M,

SABATO RITA C.F. 53TRTI62L51G273N, già elettivamente
domiciliati in ROMA, VIA NIZZA

59, presso lo studio

Data pubblicazione: 08/04/2016

dell’avvocato CARDINALE MARCO, e da ultimo in ROMA,
PIAllA CAVOUR, presso la cancelleria della Corte di
O Cassazione, rappresentati e difesi dall’avvocato
LAURA MORREALE, giusta delega in atti;
– ricorrenti –

PRESIDENZA REGIONE SICTLIANA C.E. 80012000826, in
persona del legale rappresentante pro tempore,
ASSESSORATO BENI CULTURALI AMHTENTALT C.E.
80012000826, in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso L’ AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che li rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente nonchè contro

BENI CULTURALI GESTIONI & SERVIZI S.P.A.;
– intimata –

Nonché da:
BENI CULTURALI GESTIONI

& SERVIZI S.P.A.

P.I.

04567910825, in persona dei legale rappresentante pro
tempore, gia’ elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
CRESCENZIO 9, presso lo studio dell’avvocato LUCIO
STILE, rappresentata e difesa dall’avvocato TULLIO
FORTUNA, giusta delega in atti e da ultimo
domiciliata presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA
DI CASSAZIONE;

contro

- controricorrente

e ricorrente incidentale –

contro

ROMANO LUIGI RMNLGV551,02E246M, PRESIDENZA REGIONE
SICILIANA , ASSESSORATO BENI CULTURALI AMBIENTALI,
BATTAGLIA ANTONINO BTTNNN53M26G273Z, RIOCOBONO

SETRTI62L51G273N, CASINO LEONARDO CSNLRD50E17G273A,
CARUSO GIOVANNI CRSGNN57E01G273X, LOMBARDO PIETRO
LMBPTR55M2852730, MANGIAPANE FRANCESCO
MNGENC56T590273B, LUCIDO ANGELO LCUNGL58H210273N,
LEONE GIOVANNI LNEGNN50T27G273G;

avverso la

sentenza n.

2059/2011

intimati

della

CORTE

D’APPELLO dì PALERMO, depositata il 18/01/2012 R.G.N.
2266/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 21/01/2016 dal Consigliere Dott. DANIELA
BLASUTTO;

udito l’Avvocato

VITO MASSIMILIANO

per delega

avvocato MORREALE LAURA;
udite l’Avvocato TULLIO FORTUNA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RITA SANLORENZO che ha concluso per il
rigetto del ricorso principale e incidentale.

SALVATORE RGCSVT56R23L837S, SABATO RITA

RG.14388/2012
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. La Corte di appello di Palermo, con sentenza depositata il 18 gennaio 2012, ha
confermato la sentenza di primo grado con cui erano stati revocati i decreti
Ingiuntivi emessi nei confronti della società Beni Culturali s.p.a. Gestioni & Servizi
per il pagamento di somme rivendicate dai lavoratori a titolo di indennità di
vacanza contrattuale.
2. La vicenda aveva tratto origine dalla contestata applicazione di accordi
sindacali conclusi tra la società, ente di diritto privato a capitale pubblico delegato

pagamento di una indennità di vacanza contrattuale nelle more dell’applicazione
del nuovo CCNL di settore.
3. Il Tribunale adito, esteso il contraddittorio nei confronti della Presidenza della
Regione Siciliana e dell’Assessorato Regionale Beni Culturali ed Identità Siciliana,
chiamati in garanzia dalla opponente, riteneva che l’accordo stipulato In data 7

novembre 2005, sul quale si fondava la pretesa dei lavoratori, non fosse divenuto
efficace per mancato avveramento della condizione sospensiva cui era sottoposto,
consistente nella erogazione del finanziamento regionale, non più liquidato.
4. La Corte di appello ha condiviso tale soluzione interpretativa, ritenendo che
con il predetto accordo il rappresentante aziendale avesse subordinato
l’erogazione della una tantum di Euro 100,00 mensili di cui alle precedenti intese
del 31 gennaio 2005 e del 19 maggio 2005 alla condizione sospensiva della
previsione di spesa da parte della Regione Sicilia, da ritenere condizione non
meramente potestativa, in quanto l’evento dedotto in condizione riguardava il
concorso finanziario dell’ente pubblico, soggetto terzo rispetto all’accordo in
questione.
4.1. Ha ritenuto altresì che dalla partecipazione del funzionario regionale, quale
delegato dell’Assessorato, al verbale di accordo non potesse scaturire
l’assunzione di un ruolo di garanzia dell’ente pubblico, atteso che non vi era stata
spendita di poteri rappresentativi tali da accreditare Il predetto quale emissario
dell’organo regionale invece che mero osservatore per conto della Regione, socio
di controllo.
4.2. Ha rilevato infine che sottratto al controllo del giudice ordinario era l’atto di
annullamento in autotutela dei decreti dirigenziali aventi ad oggetto gli impegni di
spesa per il pagamento dell’indennità in questione, trattandosi di operato
rientrante nell’alveo della discrezionalità amministrativa.

alla gestione dei servizi museali nella Regione Sicilia, e le 00.55. in ordine al

RG.14388/2012
4.3. In ordine alle spese, la Corte di appello ha ritenuto di compensarle tra le
parti in ragione dei “concreto atteggiarsi del comportamento, in qualche misura
enato di ambiguità, di tutte le parti in causa”.
• Tale sentenza è impugnata in via principale dai lavoratori, sulla base di cinque

motivi.
6. Beni Culturali s.p.a., Gestione & Servizi, già Arte Vita s.p.a., resiste al ricorso e
propone, a sua volta, ricorso incidentale avente ad oggetto il capo relativo alla
compensazione delle spese di lite, nonché ricorso incidentale condizionato

7.

Resistono con controricorso la Presidenza della Regione Siciliana e

l’Assessorato dei Beni Culturali ed Ambientali della Regione Siciliana, che
eccepiscono l’inammissibilità del ricorso principale proposto nei loro confronti,
non essendovi impugnazione avverso il capo della sentenza che li ha estromessi
dal giudizio.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con li primo motivo dei ricorso principale si denuncia violazione e falsa
applicazione dell’ad. 1372 c.c. in relazione all’art. 360 n 3 c.p.c., con riferimento
all’interpretazione del contenuto dell’accordo sindacale del 7 novembre 2005, per

non avere la Corte di appello correttamente interpretato il comportamento di
parte datoriale tenuto in occasione del suddetto accordo, da qualificare quale
forma surrettizia di recesso ad nutum dalle pattuizioni sindacali già intervenute e
perfezionatesi in occasione delle precedenti adunanze del 31 gennaio e del 19
maggio 2005.
1.1. Deduce parte ricorrente che, in occasione del primo incontro, il Presidente
della società manifestò la propria disponibilità a chiudere la vertenza in atto,
proponendo alle 00.55. la liquidazione della una tantum così come richiesta e
pari alla somma di C 2.000,00 pro capite per il periodo di vacanza contrattuale, a
chiusura del periodo pregresso e, nel secondo incontra, le parti presenti
accettarono la misura convenuta; che soltanto in occasione della riunione
sindacale del 7.11.2005 il Presidente della società Beni Culturali ebbe a
verbalizzare una nuova volontà intendendo condizionare l’erogazione delle
somme come convenute al verificarsi della disponibilità finanziaria; che l’inciso
inserito nella dichiarazione negoziale costituiva violazione dell’art. 1372 c.c., alla
cui stregua non è consentito il recesso unilaterale di una delle parti da accordi già
perfezionati in difetto delle cause di scioglimento previste dalla legge.

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sull’interpretazione degli accordi.

RG.14388/2012
2. Con il secondo motivo si censura la sentenza per violazione e falsa
applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366, 1367 e 1355 c.c. in relazione all’art.
360 n. 3 c.p.c.. Si assume che la Corte di appello non avrebbe correttamente
interpretato le clausole dei due verbali di accordo in coordinamento tra loro, dalla
cui lettura complessiva sarebbe stato possibile desumere il perfezionamento
dell’accordo nel senso dell’assunzione di un impegno incondizionato della società
di corrispondere l’importo convenuto; che il successivo mutamento di avviso
operato unilateralmente dalla parte datoriale mediante l’apposizIone della pretesa

nulla al sensi dell’art. 1355 c.c. in quanto meramente potestativa.
3. Con Il terzo motivo si denuncia violazione dell’art. 2078 c.c., in relazione
all’art. 360 n. 3 c.p.c.. La Corte di appello, nel dare atto che nelle more della
definizione degli accordi Beni Culturali s.p.a. aveva provveduto al pagamento
dell’indennità richiesta per il periodo 1.1.2003-30.6.2005 per poi sospendere
unilateralmente tale pagamento, non aveva attribuito al primo comportamento
valenza di uso aziendale, il quale opera come fonte eteronoma di regolamento del
rapporto di lavoro con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale.
4. Il quarto motivo denuncia violazione dell’art. 28 Stat. Lav. In relazione all’art.

360 n. 3 c.p.c., atteso che la violazione di accordi raggiunti con le 00.55. integra
un comportamento antisindacale.
5. Con il quinto motivo si lamenta vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 n.5
c.p.c. per avere la sentenza, da un lato, riferito di un impegno incondizionato
assunto dai rappresentanti della società e, dall’altro, ritenuto legittimo che “i
termini dell’intesa” fossero poi “sostanzialmente mutati”. Pertanto, se un’intesa
era stata raggiunta, ossia un accordo si era perfezionato, non poteva ritenersi
legittima la successiva modifica unilaterale.
6. Il ricorso è infondato in tutte le sue articolazioni.
7. Preliminarmente, deve rilevarsi un profilo di inammissibilità che inficia il primo
e il secondo motivo. L’esame delle censure ivi formulate, ossia la denuncia di
vizio interpretativo per violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale di cui
agli artt. 1362 e segg. c.c., e quella di errata mancata qualificazione del
comportamento datoriale in termini di illegittimo recesso unilaterale in violazione
del principio generale di cui all’art. 1372 c.c. secondo cui il contratto ha forza di
legge tra le parti, onde non può essere sciolto se non per concorde volontà delle
parti stesse o per cause ammesse dalla legge, postulano che questa Corte sia
posta in grado di esaminare il contenuto dei verbali del 31 gennaio 2005 e del 19

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condizione sospensiva era dunque viziato da nullità; che la condizione era inoltre

RG.14388/2012

maggio 2005 e dell’accordo sindacale del 7 novembre 2005. Tuttavia, tali atti non
sono riportati nel ricorso, che ne reca soltanto una lacunosa trascrizione
mediante Isolati frammenti, del tutto inidonei a far comprendere il complessivo
tenore della volontà negoziale manifestata dalle parti sociali in tali occasioni. Non
sono neppure riprodotti i relativi documenti, dei quali non è comunque indicata la
sede processuale della relativa originaria allegazione. Tali carenze violano le
prescrizioni di indicazione e di allegazione di cui agli artt, 366,primo comma, n. 6
c.p.c. e 369, secondo comma n. 4, c.p.c..

Un. n. 28547 del 2008; Cass. n. 22302 del 2008, n. 4220 del 2012, n. 8569 del
2013 n. 14784 del 2015 e, tra le più recenti, Cass. n. 6556 del 14 marzo 2013, n.
16900 del 2015) che, in tema di ricorso per cessazione, a seguito della riforma ad
opera del D.Lgs. n. 40 del 2006, il novellato art. 366 c.p.c., primo comma, n. 6,
oltre a richiedere la “specifica” indicazione degli atti e documenti posti a
fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il
documento, pur individuato In ricorso, risulti prodotto. Tale specifica indicazione,
quando riguardi un documento prodotto in giudizio, postula che si individui dove
sia stato prodotto nelle fasi di merito, e, in ragione dell’art. 369 c.p.c., secondo
comma, n. 4, anche che esso sia prodotto in sede di legittimità. In altri termini, il
ricorrente per cessazione, ove intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione
di un documento da parte del giudice di merito, ha il duplice onere di produrlo
agli atti e di indicarne il contenuto. Il primo onere va adempiuto indicando
esattamente nel ricorso in quale fase processuale e in quale fascicolo di parte si
trovi il documento in questione; il secondo deve essere adempiuto trascrivendo o
riassumendo nel ricorso il contenuto del documento. La violazione anche di uno
soltanto di tali oneri rende il ricorso inammissibile.
8. La prospettata violazione del canoni di ermeneutica negoziale di cui alla
rubrica del secondo motivo è inammissibile anche per altra ragione. Come
chiarito da questa Corte (Cass. n. 2465 del 2015), in tema di interpretazione del
contratto, il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in
sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma
afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della
coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di
ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito
che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi
esaminati.

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7.1. E’ orientamento costante di questa Corte (confronta, tra le altre, Cass. Sez.

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8.1. Poiché l’interpretazione di un negozio giuridico costituisce un accertamento
di fatto istituzionalmente riservato al giudice di merito, qualora il ricorso per
assazione deduca l’erroneità di tale interpretazione per violazione dei canoni
rmeneutici, è onere del ricorrente indicare non solo la regola interpretativa
violata, ma anche in qual modo il ragionamento del giudice si sia da essa
discostato, non potendo la relativa censura limitarsi ad un generico richiamo alla
violazione di uno o più criteri astrattamente intesi ovvero ad una mera
prospettazione di un risultato interpretativo diverso da quello accolto nella

sentenza (cfr. ex plurimis, Cass. nn. 1893/2009, 29322/2008, 18661/2006,
12786/2006, 3015/2006, 696/2006, 8293/2005).
8.2. Certo quanto sopra, non controverso – ancora – che per sottrarsi al sindacato
di legittimità, quella data del giudice del merito al contratto non deve essere
l’unica Interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e
plausibili interpretazioni, si che quando di una clausola contrattuale siano possibili
due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto la
interpretazione poi disattesa dal giudice del merito, dolersi in sede di legittimità
che sia stata privilegiata l’altra (Cass. n. 24539 del 2009, n. 16254 del 2012, n.
6125 del 2014; cfr. pure Cass. n. 15604 e n. 4178 del 2007; Cass. n. 17248 del
2003).
8.3. Nel caso di specie, si elencano le norme che si assumono violate e si oppone
una diversa interpretazione dei contenuto dei verbali, onde pervenire ad un
diverso risultato interpretativo. In tal modo, parte ricorrente si limita ad opporre,
alla interpretazione dei verbali preliminari e dell’accordo conclusivo data dai
giudici del merito, la propria soggettiva lettura degli stessi atti, incorrendo nelle
preclusioni suddette.
9. Quanto poi al vizio di motivazione – censura introdotta con il quinto motivo,
ma strettamente correlabile al vizio di cui al secondo motivo -, deve rilevarsi che
il giudice di merito, nell’interpretare gli atti allegati da parte ricorrente, ha
attribuito agli stessi il significato dell’insussistenza di un vincolo contrattuale
assunto dalla società con i verbali di intesa del 30 gennaio e del 19 maggio 2005,
i quali avevano registrato lo svolgimento di trattative (in tal senso dovendo
intendersi l’espressione “intese” di cui alla sentenza impugnata, interpretata nel
significato derivante dalla lettura complessiva della decisione), ma non il
perfezionamento di un accordo negoziale nel senso dell’assunzione di un impegno
immediato ed incondizionato, da parte della società, di erogare la somma di euro
2.000,00 pro capite a definizione del contenzioso in corso. La sentenza ha

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,

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espresso, in modo non equivoco, né viziato da contraddittorietà, l’avviso che non
si fosse perfezionato alcun vincolo negoziale anteriormente all’accordo
sottoscritto il 7 novembre 2005, restando così valida ed efficace l’apposizione in
quella sede della condizione sospensiva afferente al previo finanziamento da
parte dei competenti organi regionali.
9.1. La Corte territoriale, nell’interpretare i verbali di intesa, ha espresso un
giudizio valutativo immune da vizi logici e adeguato a sorreggere la decisione,
dovendo altresì osservarsi che il controllo di logicità del giudizio di fatto,

“ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito
ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile
revisione, in realtà, non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe
sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione
assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità.
9.2. Nella specie, il dedotti vizi di motivazione non corrispondono al modello
enucleabile negli esposti termini dal n. 5 del citato art. 360 cod. proc., poiché, si
sostanziano nel ripercorrere criticamente il ragionamento decisorio svolto dal
giudice di appello e Incidono sull’intrinseco delle opzioni nelle quali propriamente
si concreta il giudizio di merito, risultando per ciò stesso estranee all’ambito
meramente estrinseco entro il quale è circoscritto il giudizio di legittimità.
10. E’ altresì infondata la censura che investe la clausola apposta all’accordo
negoziale del 7 novembre 2005, avendo la Corte di appello correttamente escluso
che si vertesse in un’ipotesi di condizione “meramente potestativa”, la quale
consiste in un fatto volontario il cui compimento o la cui omissione non dipende
da seri o apprezzabili motivi, ma dal mero arbitrio della parte, mentre è
“potestativa” quando la volontà del debitore dipende da un complesso di motivi
connessi ad apprezzabili interessi che, pur essendo rimessi all’esclusiva
valutazione di una parte, agiscano sulla sua volontà determinandola in un certo
senso (Cass. 18239 del 2014, n. 11774 del 2007, n. 8390 del 2000).
10.1. Nella specie, l’evento dedotto in condizione era collegato al concorso di
fattori estrinseci alla volontà dei contraenti, idonei ad integrare i presupposti della
condizione sospensiva. Al riguardo, la Corte di appello ha correttamente
argomentato che l’inserimento nell’assetto negoziale di un evento esterno al
potere dispositivo delle parti, consistente nel finanziamento dal parte della
Regione, circostanza la cui verificazione era incerta, integrava i presupposti della
condizione sospensiva e di conseguenza doveva escludersi la sussistenza di una

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consentito dall’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., non equivale alla revisione del

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obbligazione efficace a carico della società per il pagamento dell’ulteriore vacanza
contrattuale.
1. Il terzo motivo introduce la questione dell’esistenza di un uso aziendale, che
assume discendere dal comportamento tenuto dalla società la quale, dopo
ere erogato l’indennità di vacanza contrattuale dal gennaio 2003 al giugno
005, aveva sospeso tali pagamenti.
11.1. Il motivo è inammissibile. Secondo giurisprudenza consolidata di questa
Corte, qualora una determinata questione giuridica – come nella specie quella

il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di
evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non
solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito,
ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar
modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di
esaminare nel merito la questione stessa (v. Cass, n. 23675 del 2013, Cass.
Cass. n. 20518 del 2008).
11.2. Nella specie, manca l’allegazione di avere introdotto la questione in primo
grado e di averla riproposta davanti alla Corte d’Appello potendosi ravvisare, solo
in tale ipotesi, un’omessa pronuncia,da denunciarsi peraltro ai sensi dell’ad 360 n
4 c.p.c.. Né potrebbe ritenersi che il tema sia stato introdotto in giudizio per
essere un dato pacifico l’intervenuto pagamento dell’indennità per un certo
periodo. L’uso aziendale, quale fonte di un obbligo unilaterale di carattere
collettivo che agisce sul piano dei rapporti individuali con la stessa efficacia di un
contratto collettivo aziendale, presuppone non già una semplice reiterazione di
comportamenti, ma uno specifico intento negoziale di regolare anche per il futuro
determinanti aspetti del rapporto lavorativo; nella individuazione di tale intento
negoziale non può prescindersi dalla rilevanza dell’assetto normativo positivo in
cui esso si è manifestato, secondo una valutazione rimessa al giudice di merito e
incensurabile in sede di legittimità se non per violazione di criteri legali di
ermeneutica contrattuale e per vizi di motivazione (Cass. n. 15984 del 2007, v.
pure n. 5882 del 2010). Nel caso in esame, manca qualsiasi allegazione circa i
tempi e i modi della introduzione in giudizio del tema relativo all’esistenza di tale
ulteriore fonte di obblighi datoriali, con riferimento a tutti i presupposti costitutivi
della fattispecie dell’uso aziendale.
12. Il quarto motivo è palesemente inammissibile. Non solo non risulta essere
stata proposta un’azione ex art. 28 Stat. Lav., ma, ove il motivo alluda (peraltro

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dell’esistenza di un uso aziendale – non risulti trattata nella sentenza impugnata,

RG.14388/2012
in modo criptico) ad una ipotetica legittimazione del singolo lavoratore a dolersi
del comportamento antisindacale del proprio datore di lavoro, giova ricordare che
soltanto il sindacato è legittimato a proporre siffatta azione avverso i
comportamenti antisindacali del datore di lavoro c.d. plurioffensivi. I lavoratori
sono legittimati a proporre un intervento ad adiuvandurn nel giudizio promosso
dall’O.S., a sostegno delle ragioni del sindacato, ma non sono legittimati a
proporre un’azione diretta o un intervento autonomo (v. Cass. n. 9950 del 2005,
n. 3545 del 2012).
13, Il ricorso principale proposto nei confronti della soc. Beni Culturali è dunque
infondato, restando assorbito nel rigetto di tale impugnazione principale l’esame
del ricorso incidentale condizionato.
14. Il ricorso principale proposto nei confronti della Presidenza della Regione
Siciliana e dell’Assessorato Regionale Beni Culturali ed Identità Siciliana è invece
inammissibile, essendo tale parte stata già estromessa dal giudizio e non
essendovi specifici motivi di gravame aventi ad oggetto tale capo della pronuncia.
15. Con il ricorso incidentale la Beni Culturali s.p.a. ha impugnato la statuizione
di compensazione delle spese, denunciando violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c.,
omessa e/o insufficiente motivazione (art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c.), per avere la
Corte di appello affermato l’esistenza di una presunta “ambiguità di
comportamento” della Beni Culturali, senza individuarne i connotati e quindi
violando il disposto secondo cui la compensazione delle spese richiede
l’esplicitazione dei giusti motivi.
15.1. Anche tale impugnazione è infondata. Preliminarmente, va osservato,
quanto alle regole dettate dall’art. 92 c.p.c., che nei giudizi instaurati – come il
presente – nella vigenza della disciplina introdotta dalla legge 28 dicembre 2005,
n. 263 (prima delle modifiche apportate dall’art. 45, comma 11 della legge 18
giugno 2009, n. 69 e poi nuovamente dall’art. 13, comma 1, del d.l. 12
settembre 2014, n 132, conv., con mod. nella L. 10 novembre 2014, n. 162) il
giudice può procedere a compensazione parziale o totale tra le parti in mancanza
di soccombenza reciproca solo se ricorrono “altri giusti motivi, esplicitamente
indicati nella motivazione”, atteso il tenore dell’art. 92, secondo comrna, cod.
proc. civ., come modificato dall’art. 2, comma primo, lett. a), della legge citata
(Cass. n. 13460 del 2012).
15.2. Nei caso di specie, la motivazione è stata esplicitata ed è consistita nella
valorizzazione dei comportamento tenuto dalle parti (la società e l’ente pubblico)

nel corso della vicenda, nei termini specificamente desumibili dalla narrativa della

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RG.14388/2012
vicenda. La riferita “ambiguità” allude all’idoneità del comportamento medesimo

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di rendere plausibile il formarsi del convincimento (erroneo), nei lavoratori, circa
il perfezionamento di un accordo privo di condizioni e dunque la fondatezza del

)(- proprio diritto.
15.3. Trattasi di motivazione non illogica e come tale sottratta al sindacato di
legittimità, essendo principio costante che in tema di regolamento delle spese
processuali il sindacato della Corte di cassazione è limitato alla violazione del
principio secondo cui le spese non possono essere poste a carico della parte
totalmente vittoriosa ed esula da tale sindacato e rientra invece nei poteri
discrezionali del giudice del merito, la valutazione dell’opportunità della
compensazione, totale o parziale, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in
quella di sussistenza di altri giusti motivi, salva la censurabilità della relativa
motivazione ove a giustificazione della disposta compensazione siano addotte
ragioni illogiche od erronee.
16.

In conclusione, vanno rigettati il ricorso principale e quello incidentale,

restando assorbito l’incidentale condizionato.
17. Considerato il carattere del tutto marginale dell’impugnazione incidentale
della soc. Beni Culturali, ritiene il Collegio di porre l’onere delle spese – liquidate
come in dispositivo – integralmente a carico della parte ricorrente in via
principale.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale condizionato; rigetta il
ricorso incidentale; condanna i ricorrenti in via principale In solido al pagamento
delle spese, che liquida, in favore dei Beni Culturali s.p.a., in Euro 100,00 per
esborsi e in Euro 2.000,00 per compensi, oltre spese generali nella misura del
15% e accessori di legge, e, in favore della Presidenza della regione Siciliana e
dell’Assessorato Regionale Beni Culturali ed Identità Siciliana, in Euro 1.500,00
per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 21 gennaio 2016
Il Cons. est.

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Il Presici nte

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