Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6911 del 22/03/2010

Cassazione civile sez. I, 22/03/2010, (ud. 18/02/2010, dep. 22/03/2010), n.6911

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 1680/2009 proposto da:

G.B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIULIA DI

COLLOREDO 46-48, presso lo studio dell’avvocato DE PAOLA Gabriele,

che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 215/07 R.G.V.G. della CORTE D’APPELLO di

TRIESTE del 21/11/07, depositato il 26/11/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/02/2010 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO DIDONE;

è presente l’Avvocato Generale in persona del Dott. DOMENICO

IANNELLI.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

p.1.- La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è del seguente tenore: ” G.B. adiva la Corte d’appello di Trieste, allo scopo di ottenere l’equa riparazione ex L. n. 89 del 2001, in riferimento al giudizio promosso innanzi alla Corte dei conti, con ricorso del 4.7.00, avente ad oggetto il trattamento di pensione, definito con sentenza di rigetto dell’11.6.2007.

La Corte d’appello, con decreto del 26.11.2007, fissato il termine di ragionevole durata del giudizio in anni due, liquidava, a titolo di equa riparazione per il danno non patrimoniale, per il periodo eccedente detto termine (anni 4, mesi 11), Euro 50,00 al mese per il periodo di ritardo, quindi complessivi Euro 2.950,00, tenuto conto della opinabile interpretazione posta a base della domanda – che era stata rigettata – della mancata precisazione dell’importo dell’incremento pensionistico richiesto e della mancata deduzione di elementi idonei a far ritenere la particolare penosità dell’attesa.

Per la cassazione di questo decreto ha proposto ricorso G. B., affidato a tre motivi; ha resistito con controricorso il Ministero dell’economia e delle finanze.

Osserva:

1.- Il primo motivo denuncia violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2; art. 6, par. 1 e art. 41 CEDU e art. 2697 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3), nella parte in cui il decreto ha stabilito il risarcimento per il danno non patrimoniale discostandosi dal parametro della Corte EDU (Euro 1.000,00 ad anno), in considerazione dell’esito del giudizio presupposto e dell’entità della posta in gioco, non dimostrata dal ricorrente e che, a suo avviso, dovrebbe ritenersi normale, in mancanza di prova contraria da parte dell’amministrazione. Il mezzo si chiude con quesito di diritto concernente i presupposti del discostamento dal parametro della Corte EDU, l’onere della prova in ordine agli elementi incidenti sull’entità del risarcimento e la valorizzabilità dell’esito del giudizio presupposto.

Il secondo motivo denuncia difetto di motivazione su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5), nella parte in cui il decreto ha motivato la quantificazione del risarcimento facendo riferimento alla posta in gioco, senza procedere ad una valutazione del caso specifico ed all’esito del giudizio presupposto.

Il terzo motivo denuncia violazione del D.M. n. 127 del 2004, e dei minimi di tariffa in tema di spese del giudizio e si conclude con quesito diretto ad affermare che nei giudizi di equa riparazione le spese vanno liquidate in base alle voci previste per i giudizi ordinari, non a quelle concernenti la volontaria giurisdizione e neppure in via equitativa.

2.- I primi due motivi, da esaminare congiuntamente, in quanto giuridicamente e logicamente connessi, sembrano soltanto in parte manifestamente fondati, entro i limiti e nei termini di seguito precisati.

Alle questioni poste con i motivi va data soluzione ribadendo i seguenti principi, consolidati nella giurisprudenza di questa Corte, in virtù dei quali:

i criteri di determinazione del quantum della riparazione applicati dalla Corte europea non possono essere ignorati dal giudice nazionale, che deve riferirsi alle liquidazioni effettuate in casi simili dalla Corte di Strasburgo, con la facoltà di apportare le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda (quali: l’entità della posta in gioco, il numero dei tribunali che hanno esaminato il caso in tutta la durata del procedimento ed il comportamento della parte istante; per tutte, Cass. n. 4572 e n. 3515 del 2009; n. 1630 del 2006), purchè motivate e non irragionevoli (tra le molte, a quelle da ultimo richiamate, aggiungi Cass. n. 6039 del 2009; n. 6898 del 2008); la posta in gioco è una componente valutabile al fine della quantificazione del risarcimento, costituendo regola di comune esperienza che la sofferenza per il mancato conseguimento del bene della vita cui la parte aspira varia in relazione al valore ed all’importanza del medesimo. La misura dell’interesse patrimoniale in gioco condiziona, all’evidenza, l’entità del risarcimento, poichè l’aspettativa della parte, e la tensione per la mancata risoluzione della vicenda processuale, è ovviamente condizionata, ed è direttamente proporzionale, in primo luogo, agli effetti patrimoniali che ella mira a conseguire; in secondo luogo, alla ragionevolezza della aspettativa della medesima.

Dunque, sebbene l’infondatezza della domanda non possa, da sola, fare escludere il danno, anche siffatto elemento rileva ai fini dell’apprezzamento della tensione e dello stress della parte, evidentemente graduabile anche in correlazione al convincimento, suffragato da oggettivi elementi, in ordine alla probabilità di accoglimento della domanda;

la circostanza che il danno non patrimoniale, di regola, deve ritenersi presunto, non esclude che la parte sia tenuta ad un onere di allegazione di tutti gli elementi imprescindibili per adeguare il risarcimento al danno effettivamente subito, che peraltro sono nella sua disponibilità (riferibili anche alla propria situazione economico-patrimoniale, che costituisce dato per apprezzare l’importanza della posta in gioco per la parte), anche allo scopo di evitare che la domanda di indennizzo sottenda, e realizzi, un inammissibile intento lucrativo, in luogo di quello satisfattivo e di dare concretezza ad una liquidazione che, pur se ispirata a criteri equitativi, va ancorata ad elementi concreti, in grado di evidenziare il danno effettivo, per evitare che la discrezionalità del giudice divenga arbitrio e che la domanda sconfini dai limiti del legittimo risarcimento;

la proposizione di un ricorso in forma collettiva e indifferenziata non equivale a trasferire sul gruppo, come entità amorfa, e quindi a neutralizzare situazioni di angoscia o patema d’animo riferibili specificamente a ciascun singolo consorte in lite (Cass. n. 27610 del 2008) e non consente, in carenza di ulteriori argomenti, un irragionevole discostamento dal parametro della Corte EDU;

la precettività, per il giudice nazionale, della giurisprudenza del giudice europeo non concerne anche il profilo relativo al moltiplicatore della base di calcolo per l’equa riparazione, essendo rilevante soltanto il periodo eccedente la durata ragionevole (per tutte, Cass. n. 4572 del 2009; n. 11566 e n. 1354 del 2008; n. 23844 del 2007). Relativamente alla misura dell’indennizzo, una serie di sentenze della Grande Camera della Corte EDU del 29 marzo 2006 (rese sui ricorsi n. 64699/01, n. 64705/01, n. 64886/01, n. 64890/01, n. 64897/01, n. 65075/01) hanno, tra l’altro, sottolineato:

in primo luogo, che, quando uno Stato ha compiuto un passo significativo introducendo un rimedio risarcitorio, la Corte deve lasciare allo Stato un margine di valutazione più ampio per consentirgli di organizzare il rimedio in un modo coerente con il proprio ordinamento giuridico e con le proprie tradizioni, e conforme al tenore di vita nel paese interessato, così che sarà più facile per i giudici nazionali far riferimento agli importi concessi a livello interno per altri tipi di danno – ad esempio, lesione personale, danno derivante dal decesso di un familiare o danno per diffamazione – e basarsi sul proprio intimo convincimento, anche se ciò si traduce in concessioni di importi inferiori rispetto a quelli fissati dalla Corte in casi simili (in particolare, par. 78, sentenza 29 marzo 2006, sul ricorso 64890/01);

in secondo luogo, che gli importi concessi dal giudice nazionale possono essere inferiori a quelli da essa liquidati, purchè non irragionevoli, a condizione che le decisioni pertinenti siano coerenti con la tradizione giuridica e con il tenore di vita del paese interessato (così par. 95, sentenza 29 marzo 2006, sul ricorso 64890/01, ma analogamente le altre pronunce), evidenziando, peraltro, l’impossibilità e l’impraticabilità del tentativo di fornire un elenco di spiegazioni dettagliate che comprenda ogni eventualità, al fine di enunciare criteri certi ed applicabili automaticamente per la liquidazione dell’indennizzo (par. 136, sentenza 29 marzo 2006, sul ricorso n. 64705/01);

in terzo luogo, come vi sia una forte ma confutabile presunzione che un procedimento eccessivamente lungo causi un danno non patrimoniale, ammettendo nondimeno che, in alcuni casi, la durata del procedimento possa causare solo un minimo danno non patrimoniale o anche nessun danno non patrimoniale (par. 93, sentenza 29 marzo 2006, sul ricorso 64890/01 e le altre sentenze sopra richiamate), mentre è certo che l’esigua entità della posta in gioco può avere un effetto riduttivo dell’entità dell’indennizzo, sebbene non totalmente esclusivo dello stesso (par. 6, sentenza 29 marzo 2006, sul ricorso n. 64705/01);

in quarto luogo, che è anche irrilevante la circostanza che il metodo di computo previsto dal diritto interno non corrisponda esattamente ai criteri stabiliti da essa stabiliti, qualora consenta di concedere importi che non siano irragionevoli (par. 104, sentenza 29 marzo 2 006, sul ricorso n. 64705/01); infine, in una serie di casi nei quali il risarcimento riconosciuto dal giudice italiano era inferiore alla somma che essa avrebbe riconosciuto, la Corte EDU ha concesso una ulteriore somma, ma sino ad una soglia pari a circa il 45% del risarcimento che essa avrebbe attribuito (sentenze 29 marzo 2006, sul ricorso 64890/01, nonchè sul ricorso n. 62361/00, n. 64705 del 2001).

Pertanto, la più recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo rende possibile affermare che, ferma la presunzione di sussistenza del danno non patrimoniale -salvo che non ricorrano circostanze che permettano di escluderlo-, qualora la parte non abbia allegato, comunque non emergano, elementi concreti in grado di far apprezzare la peculiare rilevanza di detto danno (costituiti, tra gli altri, dal valore della controversia, dalla natura della medesima, da apprezzare in riferimento alla situazione economico-patrimoniale dell’istante, dalla durata del ritardo, dalle aspettative desumibili anche dalla probabilità di accoglimento della domanda), l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa, alla luce delle quantificazioni operate dal giudice nazionale nel caso di lesione di diritti diversi da quello in esame, imponga una quantificazione che, nell’osservanza della giurisprudenza della Corte EDU, deve essere, di regola, non inferiore ad Euro 750,00, per anno di ritardo. La fissazione di detta soglia si impone, alla luce delle sentenze sopra richiamate del giudice europeo, in quanto occorre tenere conto del criterio di computo adottato da detta Corte (riferito all’intera durata del giudizio) e di quello stabilito dalla L. n. 89 del 2001 (che ha riguardo soltanto agli anni eccedenti il termine di ragionevole durata), nonchè dell’esigenza di offrire di quest’ultima un’interpretazione idonea a garantire che la diversità di calcolo non incida negativamente sulla complessiva attitudine di detta L. n. 89 del 2001, ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, evitando il possibile profilarsi di un contrasto della medesima con la norma della CEDU, come interpretata dalla Corte di Strasburgo.

In applicazione di tali principi, che vanno formulati in relazione ai quesiti di diritto proposti, le censure meritano accoglimento, in quanto il giudice del merito ha liquidato per il danno non patrimoniale circa Euro 600,00 per anno di ritardo, discostandosi in modo irragionevole dal parametro del giudice europeo, facendo solo riferimento alla mancata precisazione dell’importo dell’incremento pensionistico richiesto ed alla mancata deduzione di elementi idonei a far ritenere la particolare penosità dell’attesa, nonchè al rigetto della domanda, fondata su di una opinabile interpretazione.

In relazione alle censure accolte – assorbito il terzo motivo, occorrendo procedere alla riliquidazione delle spese del giudizio-, il decreto deve essere cassato e la causa potrà essere decisa nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto.

La circostanza che il ricorso è affidato ad argomenti stereotipati, non avendo neppure in questa sede l’istante indicato quali sarebbero stati gli effetti concreti della domanda, in caso di accoglimento e quale la sua situazione economico-patrimoniale, e neppure specificamente censurato il giudizio in ordine alla estrema opinabilità della prospettazione posta a base della domanda (che non esclude il danno, ma certo incide sullo stress subito), rende peraltro palese che in applicazione dello standard minimo CEDU per il risarcimento del danno non patrimoniale – che nessun argomento del ricorso impone e consente di derogare in melius – da quantificare per le ragioni sopra svolte in Euro 750,00 per ciascun anno di ritardo, stante l’assoluta carenza di elementi addotti dalla parte per apprezzare la sussistenza di un più elevato danno, potrebbe essere riconosciuta all’istante la somma di Euro 3.682,00, in relazione agli anni eccedenti il triennio, come incensurabilmente accertato dal giudice del merito (anni 5 e mesi 11), oltre interessi legali dalla domanda al saldo.

Le spese, liquidate come in dispositivo, potrebbero seguire la soccombenza, per la fase di merito e per questa fase, per la metà, dichiarando compensate la residua parte, essendo il ricorso solo in parte fondato.

Pertanto, il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, ricorrendone i presupposti di legge”.

La difesa del ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c., con la quale manifesta adesione alle conclusioni della relazione.

p.2.- Il Collegio condivide e fa proprie le conclusioni della relazione e le argomentazioni sulle quali esse si fondano e che conducono all’accoglimento del ricorso, con le seguenti precisazioni.

Relativamente alla misura dell’equa riparazione per il danno non patrimoniale, va osservato che, secondo la più recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo, qualora non emergano elementi concreti in grado di farne apprezzare la peculiare rilevanza, l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa, alla luce di quelle operate dal giudice nazionale nel caso di lesione di diritti diversi da quello in esame, impone di stabilirla, di regola, nell’importo non inferiore ad Euro 750,00, per anno di ritardo, in virtù degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n. 16086 del 2009, i cui principi vanno qui confermati, con la precisazione che tale parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo aversi riguardo, per quelli successivi, al parametro di Euro 1.000,00, per anno di ritardo, dato che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno.

In relazione alle censure accolte, cassato il decreto, ben può procedersi alla decisione nel merito del ricorso, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto.

Pertanto, per le ragioni indicate nella relazione il Ministero resistente deve essere condannato al pagamento in favore del ricorrente della somma di Euro 4.166,00, oltre interessi legali dalla domanda nonchè al rimborso delle spese processuali del grado di merito, liquidate in dispositivo, nonchè, nella misura di 1/2 di quelle di legittimità, compensate per il resto alla luce del limitato accoglimento del ricorso.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna l’Amministrazione a corrispondere alla parte ricorrente la somma di Euro 4.166,00 per indennizzo, gli interessi legali su detta somma dalla domanda e le spese del giudizio:

che determina per il giudizio di merito nella somma di Euro 50,00 per esborsi, Euro 378,00 per diritti e Euro 445,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore del difensore antistatario; che compensa in misura di 1/2 per il giudizio di legittimità, gravando l’Amministrazione del residuo 1/2 e che determina per l’intero in Euro 525,00 di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore del difensore antistatario.

Così deciso in Roma, il 18 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2010

 

 

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