Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6910 del 08/04/2016


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Civile Sent. Sez. L Num. 6910 Anno 2016
Presidente: MACIOCE LUIGI
Relatore: PATTI ADRIANO PIERGIOVANNI

pagamento, in proprio favore, di differenze retributive per il ricalcolo di alcuni istituti
contrattuali indiretti successive al luglio 2007, sulla base della sentenza del Tribunale di
Livorno confermata dalla sentenza della Corte fiorentina oggetto del primo ricorso per
cassazione sopra illustrato.
La seconda sentenza ricorsa riteneva la fondatezza del decreto ingiuntivo opposto,
emesso sulla prova scritta del credito rappresentato dalla condanna generica contenuta
nelle sentenze suindicate ed utilizzando i medesimi criteri di calcolo impiegati dal
Tribunale di Livorno nella causa originaria; nel resto ribadendo la motivazione della
propria precedente sentenza.

MOTIVI DELLA DECISIONE
In entrambi i giudizi (Il primo rubricato R.G. 14156/11 ed il secondo R.G. 8816/13) con il
primo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2099 c.c.,
414 c.p.c. e 2697 c.c. e contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360, primo
comma, n. 3 e n. 5 c.p.c., per non corretta allegazione e difetto di prova degli elementi
costitutivi della domanda dei lavoratori, in assenza di specifica indicazione e di
produzione del CCNL fonte degli istituti indiretti in cui non computate le voci, sostitutive
per pari importo complessivo dell’assegno ad personam, mensilmente corrisposte in busta
paga, nonché per la conferma della sentenza di primo grado di condanna al ricalcolo di
istituti contrattuali e al tempo stesso la sua limitazione ad una pronuncia dichiarativa
clell’an

debeatur,

per impossibilità di identificazione degli istituti contrattuali da

ricalcolare, senza consentire l’individuazione del procedimento logico-giuridico fondante
la decisione.

Data pubblicazione: 08/04/2016

R.G. 14156/11, R.G. 8816/13
Con il secondo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2099 c.c.,
414 c.p.c. e 1362 ss. c.c. e contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360, primo
comma, n. 3 e n. 5 c.p.c., per erronea interpretazione della lettera di assunzione tra le
parti, senza alcun obbligo in essa della datrice al computo dell’importo dell’assegno

ad

personam negli istituti indiretti, per cui le medesime parti avevano invece espressamente

trattamento economico deteriore ai lavoratori in base a C.t.u. qualificata come
esplorativa e inattendibile per la mancata individuazione dei singoli istituti retributivi,
deduzione e produzione delle norme contrattuali di loro disciplina.
Con il terzo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2113 e 1362
ss. c.c. e contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5
c.p.c., per erronea esclusione della volontà abdicativa dei lavoratori alle pretese
(tardivamente) avanzate, sulla base di plurimi e inequivoci elementi, non valorizzati dalla
Corte territoriale,

deponenti per una totale carenza di contestazione

pienamente

consapevole ed informata per quattro anni, nonché per insanabile contrasto della ritenuta
inconsapevolezza dei lavoratori, in riferimento alla progressiva gradualità, mensilmente
parcellizzata nel minor importo di una serie di istituti contrattuali indiretti in busta paga,
con la loro mancata individuazione e ritenuta

impossibilità di determinazione delle

differenze retributive in favore dei lavoratori.
Nel ricorso rubricato R.G. 8816/13 con il quarto, la ricorrente deduce violazione e falsa
applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per
omessa pronuncia sull’insussistenza dei presupposti per l’emissione del decreto ingiuntivo

oggetto dell’opposizione decisa con la sentenza del Tribunale di Livorno n. 183/11, per
relationem alla sentenza dello stesso Tribunale n. 6/08, priva, secondo la sentenza di
conferma della stessa Corte territoriale n. 114 del 28 gennaio 2011 (impugnata davanti a
questa Corte con ricorso rubricato R.G. 14156/2011), di ogni determinazione specificativa
per una condanna alla riliquidazione degli istituti contrattuali indiretti con l’inserimento

delle voci “indennità di reperibilità”, “flessibilità oraria turno” e “indennità pioggia
forfait”,

sostitutive dell’assegno

ad personam

à

e, in subordine, vizio di omessa o

contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., per
ritenuta insufficienza, nella sentenza richiamata, dei conteggi incorporati nel ricorso
introduttivo, invece assunti a base del rigetto dell’opposizione a decreto ingiuntivo nella

sentenza qui impugnata.
In via preliminare, questa Corte procede alla riunione al ricorso

R.G. 14156/2011 di

quello R.G. n. 8816/13, a norma dell’art. 335 c.p.c., per coerente assimilazione con

rinviato alla contrattazione collettiva e per l’assunto della corresponsione di un

R.G. 14156/11, R.G. 8816/13
l’ipotesi di riunione delle impugnazioni aventi ad oggetto sentenza non definitiva e
definitiva del medesimo giudizio.
Si reputa, infatti, che il giudice possa disporre la riunione di impugnazioni proposte
separatamente, anche al di fuori delle ipotesi nelle quali la riunione sia imposta

concreto, elementi di connessione tali da rendere conveniente, per ragioni di economia
processuale, l’esame congiunto: così nell’ipotesi, ravvisata ammissibile, della riunione di
impugnazioni proposte avverso sentenza non definitiva sull’an e sentenza definitiva sul
quantum, pronunciate nel medesimo giudizio (Cass. 9 luglio 2014, n. 15708; Cass. 17
febbraio 2003, n. 2357). E così pure si deve ritenere nel caso di specie, ancorchè relativo
a due diversi giudizi, tra i quali intercorre tuttavia il medesimo rapporto di
consequenzialità logico – giuridica: costituendo la sentenza della Corte d’appello di
Firenze del 28 gennaio 2011 (impugnata con il primo ricorso) il presupposto (per
accertamento dell’an debeatur) di emissione del decreto ingiuntivo opposto, oggetto della
sentenza della stessa Corte dell’8 gennaio 2013 (impugnata con il secondo ricorso),
relativa appunto al

quantum debeatur.

Quest’ultima è chiarissima al riguardo,

affermando che la prima propria sentenza sia “titolo su cui si fonda il decreto ingiuntivo”
opposto, trattandosi nel proprio giudizio “in definitiva, di ricalcolare gli istituti indiretti
tenendo conto anche della voce retributiva oggetto di giudizio, sulla base di un pregresso
giudizio di accertamento che ha enunciato la regola” (così a pg. 1). Sicchè, appunto, tra
le due sentenze, sia pure rese a definizione di autonomi e diversi giudizi, intercorre quel
rapporto di connessione (per la statuizione della prima sull’an e della seconda sul
quantum) che ne rende conveniente, per ragioni di economia processuale e previa la
riunione disposta, l’esame congiunto.
Entrambi i ricorsi sono fondati.
Quanto al primo (R.G. 14156/11), i primi due motivi (violazione e falsa applicazione degli
artt. 2099 c.c., 414 c.p.c. e 2697 c.c., per non corretta allegazione e difetto di prova degli
elementi costitutivi della domanda del lavoratore e contraddittoria motivazione: primo;
violazione e falsa applicazione degli artt. 2099 c.c., 414 c.p.c. e 1362 ss. C.C. e
contraddittoria motivazione, per erronea interpretazione della lettera di assunzione tra le
parti e per la ritenuta corresponsione di un trattamento economico deteriore al lavoratore
in base a C.t.u. qualificata come esplorativa e inattendibile: secondo) possono essere
congiuntamente esaminati per la loro stretta connessione.

espressamente dalla legge, tutte le volte in cui fra le stesse impugnazioni si ravvisino, in

R.G. 14156/11, R.G. 8816/13
Essi sono fondati.
Con essi la ricorrente si duole, infatti, dell’affermazione della funzione delle tre indennità
sostitutive dell’assegno ad personam (“indennità di reperibilità”, “flessibilità oraria turno”
e “indennità pioggia à forfait”) quale base di calcolo degli istituti indiretti, in assenza di

allegazione su quali fossero tali istituti e su quale fosse la previsione inclusiva del CCNL
Ora, è nota l’inesistenza, in tema di retribuzione dovuta al prestatore di lavoro ai fini dei
cc.dd. istituti indiretti (mensilità aggiuntive, ferie, malattia e infortunio), di un principio
generale ed inderogabile di omnicomprensività, individuabile soltanto nella previsione di
)

specifiche norme di legge o di contratto collettivo (Cass. 24 marzo 2015, n. 5918; Cass.
15 gennaio 2013, n. 813; Cass. 6 aprile 2012, n. 5591; Cass. 7 febbraio 2008, n. 2872;
Cass. 3 marzo 2004, n. 4341; Cass. 16 maggio 2003, n. 7707. Ed è parimenti acquisito il
principio per cui si ritiene l’infondatezza della domanda (con il suo conseguente rigetto),
qualora, in difetto di produzione in giudizio, dalla parte che ne invochi l’applicazione, di
un contratto collettivo post-corporativo, ne siano contestati dalla controparte l’esistenza o
il contenuto, per impossibilità di determinazione dell’an e del quantum della pretesa fatta
valere; non anche nell’ipotesi in cui la controparte si sia limitata a contestarne
l’applicabilità, sussistendo, per il giudice il potere-dovere, ai sensi dell’art. 421 c.p.c., di
acquisizione d’ufficio, attraverso consulenza tecnica, del contratto collettivo di cui l’attore,
pur eventualmente non indicando gli estremi, abbia tuttavia fornito idonei elementi di
identificazione (Cass. 7 luglio 2008, n. 18584; Cass. 12 aprile 2000, n. 4714).
Nel caso di specie, la Corte territoriale ha disatteso i superiori principi in materia di
necessaria previsione, ai fini della determinazione della base di calcolo delle voci
retributive da includere nei cc.dd. istituti indiretti, di specifiche norme (oltre che di legge)
di contratto collettivo. In proposito, dopo avere affermato

l’espresso richiamo” del

contratto individuale di assunzione dei lavoratori “al C.C.N.L. per le aziende del settore
imbarchi e sbarchi” sostituito “subito dopo l’instaurazione del rapporto inter partes” dal
“nuovo contratto unico dei porti … concretamente applicato dalla società”, ha infatti

rilevato “la mancata specifica indicazione delle norme contrattuali” in esso disciplinanti “i
vari istituti contrattuali”,

così da non consentire “di andare al di là della pronuncia

dichiarativa del diritto al ricalco/o, di cui alla sentenza impugnata, presupponendo la
individuazione dei singoli istituti e la quantificazione delle relative differenze” (così a pgg.

3 e 4 della sentenza impugnata).
La Corte fiorentina ha quindi individuato la causa petendi delle domande dei lavoratori

nei suddetti contratti individuali (integralmente trascritto quello di Morlacchi a pg. 39 del

applicabile.

R.G. 14156/11, R.G. 8816/13
ricorso), ben sindacabili nella presente sede di legittimità, in quanto il secondo mezzo di
doglianza afferisce (non già al risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei
giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma) alla verifica del rispetto dei canoni legali
di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta (Cass. 10 febbraio
2015, n. 2465), con esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante

del modo e delle considerazioni con cui il giudice del merito si sia discostato dai canoni
legali assunti come violati, pure applicati in base ad argomentazioni illogiche e
contraddittorie (Cass. 15 aprile 2013, n. 9054).
Ma essi si limitano alla previsione, nel novero delle voci retributive, dell’assegno

ad

personam con indicazione del relativo importo, senza nulla dire sul suo regime di

computabilità negli istituti retributivi indiretti: come è di norma, per la pertinenza di una
tale indicazione alla contrattazione collettiva di settore, in assenza nel caso di specie di
alcuna specifica allegazione ai riguardo (come sopra illustrato).
Ed infine, la Corte territoriale ha pure argomentato il proprio assunto, già in violazione
delle norme di diritto denunciate per le ragioni dette, in modo né corretto né congruo,

con ragionamento logicamente viziato e contraddittorio (tale da non permettere la
comprensione della

ratio decidendi

a fondamento del

decisum

adottato, con

la

conseguente sussistenza di incertezze sull’effettiva volontà del giudice: Cass. 30 giugno
2015, n. 13318; Cass. s.u. 22 dicembre 2010, n. 25984), avendo, come occorre ribadire
anche sotto il profilo del vizio motivo, testualmente affermato:

“La mancata produzione

in primo grado del C.C.N.L. e la mancata specifica indicazione delle norme contrattuali
che disciplinano i vari istituti contrattuali – non bastando a tal fine i conteggi incorporati
nel ricorso – non consentono di andare al di là della pronuncia dichiarativa del diritto al
ricalcolo, di cui alla sentenza impugnata, presupponendo la individuazione dei singoli
istituti e la quantificazione delle relative differenze, quelle doverose indicazioni che,
invece, difettavano nell’atto introduttivo e che non possono essere affidate ad una c.t.u. quella inizialmente disposta dal Tribunale – che finirebbe con l’avere un carattere
indubbiamente esplorativo” (come si legge a pg. 4 della sentenza), così in realtà
disattendendo le domande dei lavoratori, non già di mero accertamento del diritto, ma di
condanna alla corresponsione “di differenze retributive derivanti dall’errato calcolo di
istituti contrattuali a partire dal gennaio 2001 al giugno 2005” (come trascritte a pgg. 12
e 13 del ricorso e a pgg. da 7 a 9 del controricorso).
Dalle superiori argomentazioni discende allora coerente, in accoglimento dei due motivi
congiuntamente scrutinati (ed assorbito il terzo, relativo a violazione e falsa applicazione

specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti e

R.G. 14156/11, R.G. 8816/13
degli artt. 2113 e 1362 ss. c.c. e contraddittoria motivazione, per erronea esclusione
della volontà abdicativa dei lavoratori alle proprie pretese), la cassazione della sentenza
della Corte d’appello di Firenze del 28 gennaio 2011.
Da tale pronuncia discende, in accoglimento anche del ricorso riunito R.G. 8816/13, la

espansivo esterno, ai sensi dell’art. 336, secondo comma c.p.c., in quanto la seconda,
relativa al quantum, è i fondata su quella, di accertamento clell’an clebeatur, cassata per le
ragioni illustrate (Cass. 13 giugno 2014, n. 13492; 22 agosto 2003, n. 12364), con
assorbimento di ogni motivo di ricorso.
Sicchè, entrambe le sentenze impugnate con i ricorsi riuniti devono essere cassate, con
decisione nei merito, esclusa la necessità di ulteriori accertamenti in fatto a norma
dell’art. 384, secondo comma, ult. parte c.p.c., nel senso della reiezione della domanda
dei lavoratori e della revoca del decreto ingiuntivo opposto, con la liquidazione delle
spese del presente giudizio di legittimità secondo il regime di soccombenza e la
compensazione invece tra le parti di quelle dei due gradi di merito, tenuto conto del loro
andamento.

P.Q.M.
La Corte
riunisce al presente il ricorso R.G. 8816/13; accoglie i ricorsi; cassa le sentenze
impugnate e, decidendo nel merito, rigetta le domande di Alberto Brilli e Attilio Morlacchi
nei confronti di L.T.M. s.r.l. e revoca il decreto ingiuntivo opposto; compensate le spese
dei gradi di merito, condanna i lavoratori in solido alla rifusione, in favore di L.T.M. s.r.I.,
delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in C 100,00 per esborsi e C 3.500,00
per compenso professionale, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e
accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2016 —,
_

cassazione pure della sentenza della stessa Corte dell’8 gennaio 2013, quale effetto

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