Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6910 del 02/03/2022

Cassazione civile sez. un., 02/03/2022, (ud. 22/02/2022, dep. 02/03/2022), n.6910

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CASSANO Margherita – Presidente Aggiunto –

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente di Sez. –

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente di Sez. –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al N.R.G. 22672/2021 proposto da:

Dott.ssa C.M.V., rappresentata e difesa dall’Avvocato

Carlo Bonzano, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo

in Roma, via delle Tre Madonne, n. 18;

– ricorrente –

contro

MINISTRO DELLA GIUSTIZIA, rappresentato e difeso dall’Avvocatura

generale dello Stato e presso gli Uffici di questa domiciliato in

Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– resistente –

per la cassazione della sentenza della Sezione disciplinare del

Consiglio superiore della magistratura, n. 84/2021, pronunciata il

15 aprile 2021 e depositata in segreteria il 14 luglio 2021.

Udita la relazione della causa svolta nella udienza pubblica del 22

febbraio 2022 dal Consigliere Dott. Alberto Giusti;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

uditi l’Avvocato Carlo Bonzano, per la ricorrente, e l’Avvocato dello

Stato Giorgio Santini, per il Ministro resistente.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Nei confronti della Dott.ssa C.M.V. – all’epoca dei fatti magistrato fuori ruolo, in servizio con funzioni di magistrato segretario presso il Consiglio superiore della magistratura – è stata promossa, dal Ministro della giustizia, azione disciplinare per gli illeciti disciplinari di cui del D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 1, comma 1 e art. 2, comma 1, lett. d) e u).

E’ stato contestato alla Dott.ssa C. di avere tenuto – nella sua qualità di magistrato segretario assegnato alla Quinta Commissione del CSM, ove era incaricata, tra l’altro, di compilare i profili di alcuni candidati all’ufficio direttivo di Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma (tra cui anche quello del Dott. V.M.) – un comportamento gravemente scorretto nei confronti dei magistrati consiglieri componenti della Commissione predetta, competente per il conferimento degli incarichi direttivi, in particolare divulgando, in violazione dei doveri di correttezza, riserbo ed equilibrio, notizie coperte da segreto e comunque non suscettibili di divulgazione pubblica. Secondo il capo di incolpazione, la comunicazione dei dati riservati (relativa ai lavori della Commissione consiliare) – posta in essere in violazione degli artt. 33 e 34 del regolamento interno del CSM – aveva luogo nei confronti e a vantaggio del Dott. P.L., nel corso di un colloquio telefonico (datato (OMISSIS)) oggetto di intercettazione, nei termini risultanti dal progr. 157, pag. 212 ss. dell’informativa della Guardia di finanza. In tale colloquio la Dott.ssa C. riferiva l’andamento dei lavori relativi alla procedura di nomina del Procuratore della Repubblica di Roma, i contenuti delle posizioni espresse da ciascuno dei consiglieri nel corso delle sedute della Commissione, le intenzioni di voto da costoro anticipate, anche in ordine alla proposta di procedere prima del voto alla audizione dei candidati aspiranti all’incarico, ed i commenti espressi nel corso della riunione in momenti di particolare tensione.

2. – La Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, con sentenza n. 84/2021 pronunciata il 15 aprile 2021 e depositata in segreteria il 14 luglio 2021, ha dichiarato la Dott.ssa C. responsabile dell’illecito di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. d), nonché dell’illecito di cui all’art. 2, comma 1, lett. n), dello stesso D.Lgs., così riqualificato il fatto contestato come violazione dell’art. 2, comma 1, lett. u), e le ha inflitto la sanzione disciplinare della censura.

2.1. – La Sezione disciplinare, riconosciuta la piena utilizzabilità delle intercettazioni sulla base delle quali è stata formulata la contestazione, ha ritenuto che la condotta dell’incolpata, disvelatrice di un compito di monitoraggio, sorveglianza e rivelazione ad essa affidato, integra l’illecito di grave scorrettezza funzionale, in quanto pregiudica in massimo grado l’interesse accuratamente protetto dalle previsioni regolamentari (e diretto ad assicurare la più piena e incondizionata libertà di determinazione dei singoli consiglieri).

Secondo la Sezione del CSM, le rivelazioni indebite della Dott.ssa C. si sono poste altresì in contrasto con la previsione che presuppone la necessità del rispetto, da parte del magistrato, dei propri doveri di servizio, sotto il profilo della grave inosservanza delle norme regolamentari. A fronte del dettato dell’art. 34, comma 5, del regolamento interno del CSM, la rivelazione a terzi di quanto riguarda i lavori della Commissione integra la violazione di una specifica previsione regolamentare intesa a disciplinare l’attività di servizio del magistrato segretario.

3. – Per la cassazione della sentenza della Sezione disciplinare la Dott.ssa C.M.V. ha proposto ricorso, con atto depositato il 10 settembre 2021, sulla base di tre motivi.

Il Ministro della giustizia ha depositato una memoria con la quale ha chiesto il rigetto del ricorso.

Anche il Procuratore Generale della Corte di cassazione ha presentato una memoria in prossimità dell’udienza, concludendo per il rigetto del ricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo (violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. c, in relazione agli artt. 191 e 271 citato codice e del D.Lgs. n. 109 del 2006, artt. 16 e 18 la ricorrente si duole che sia stata affermata l’utilizzabilità della intercettazione disposta nel procedimento penale a carico del Dott. P.L., in insanabile violazione dell’obbligo di controllo giurisdizionale e del diritto di difesa dell’incolpata di esercitare nel procedimento disciplinare un efficace ed effettivo controllo sulla medesima intercettazione. Ad avviso della ricorrente, la semplice visione del fascicolo disciplinare evidenzierebbe l’assoluta mancanza dei supporti audio, dei provvedimenti autorizzativi e delle trascrizioni, eventualmente disposte nelle forme di legge nell’ambito del procedimento penale, delle conversazioni in questione, potendosi invece esclusivamente rinvenire stralci di brogliacci delle medesime conversazioni, “discrezionalmente e incontrollabilmente trasfuse” dalla polizia giudiziaria in alcune informative, prive di qualsivoglia crisma di validità probatoria. Non sarebbe stato dato seguito – si sostiene – alla richiesta tempestivamente avanzata dall’incolpata sin dalla fase delle indagini. Sarebbe mancata la possibilità di controllo ad opera dell’incolpata, la quale in data 19 novembre 2019 formulava al Procuratore Generale istanza di accesso agli atti sottesi alla incolpazione e consistenti nelle intercettazioni dei colloqui intercorsi con il Dott. P. al fine di potersi compiutamente difendere, ricevendone tuttavia risposta negativa. La ricorrente richiama inoltre, al riguardo, la memoria depositata in prossimità dell’udienza dibattimentale del 15 aprile 2021, nella quale, invocandosi la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, si sosteneva la inutilizzabilità per la decisione di ciò che sia stato illegittimamente acquisito oltre che non verificato quanto al suo contenuto.

1.1. – La censura è infondata.

1.2. – Dal testo della sentenza impugnata risulta che la prova delle rivelazioni effettuate dall’incolpata è stata raggiunta attraverso l’intercettazione della conversazione (del (OMISSIS)) avvenuta con il Dott. P.L..

Dalla sentenza impugnata risulta altresì che:

nella memoria depositata in data 27 novembre 2020 il difensore dell’incolpata eccepiva che la prova del dialogo sarebbe stata inutilizzabile nello stesso procedimento penale pendente a carico del Dott. P., sicché la stessa doveva considerarsi a maggior ragione inutilizzabile nel procedimento disciplinare istruito nei confronti dell’incolpata;

nella successiva memoria del 1 aprile 2021 il difensore della Dott.ssa C. ribadiva l’eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni, richiamando una decisione della Corte di giustizia (la sentenza della Grande Sezione 2 marzo 2021, nella causa C746/18);

nell’udienza del 15 aprile 2021 il medesimo difensore deduceva che la inutilizzabilità delle intercettazioni era da ricollegarsi alla loro illegittima acquisizione nella sede penale.

La Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura ha disatteso le eccezioni sollevate dalla difesa dell’incolpata, ritenendo utilizzabili le intercettazioni acquisite in atti.

Al riguardo, la Sezione disciplinare ha evidenziato che nel procedimento disciplinare riguardante i magistrati sono utilizzabili le intercettazioni effettuate in un procedimento penale, anteriormente al 1 gennaio 2020, con captatore informatico (cd. trojan horse) su dispositivo mobile, nella vigenza ed in conformità della disciplina introdotta dal D.Lgs. n. 216 del 2017, art. 6 (che ha parzialmente esteso ai procedimenti per i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, la disciplina delle intercettazioni prevista per i delitti di criminalità organizzata dal D.L. n. 152 del 1991, art. 13, conv., con modif., dalla L. n. 203 del 1991 ed integrato con D.L. n. 306 del 1992, conv., con modif., dalla L. n. 356 del 1992) e dalla L. n. 3 del 2019, art. 1, comma 3 (la quale, abrogando del citato D.Lgs. n. 216 del 2017, art. 6, comma 2, ha eliminato la restrizione dell’uso del captatore informatico nei luoghi indicati dall’art. 614 c.p., così consentendo l’intercettazione in tali luoghi anche se non vi è motivo di ritenere che vi si stia svolgendo attività criminosa), atteso che la prima di tali norme, non rientrando tra quelle per le quali del medesimo D.Lgs. n. 216 del 2017, art. 9, ha disposto il differimento dell’entrata in vigore, è efficace dal 26 gennaio 2018, mentre la seconda (a differenza di altre disposizioni della medesima legge per le quali il legislatore ha differito l’entrata in vigore al 1 gennaio 2020) è efficace dal decimoquinto giorno dalla pubblicazione della legge sulla Gazzetta Ufficiale, avvenuta il 16 gennaio 2019.

La sentenza della Sezione disciplinare ha quindi escluso che l’utilizzabilità delle intercettazioni in una sede diversa da quella penale (segnatamente: quella disciplinare) possa dirsi incompatibile con l’art. 15 Cost. e art. 8 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, sotto il profilo del carattere particolarmente “intrusivo” dello strumento di indagine considerato.

Secondo la Sezione del CSM, nel procedimento disciplinare riguardante i magistrati sono pienamente utilizzabili le intercettazioni telefoniche o ambientali effettuate in un procedimento penale, purché siano state legittimamente disposte nel rispetto delle norme costituzionali e procedimentali, non ostandovi i limiti di cui all’art. 270 c.p.p., riferibili ai soli procedimenti deputati all’accertamento delle responsabilità penali, nei quali si giustificano limitazioni più stringenti in ordine all’acquisizione della prova, in deroga al principio fondamentale della ricerca della verità materiale. E ciò in quanto la disposizione legislativa (art. 270 c.p.p.) che limita l’utilizzabilità delle intercettazioni in procedimenti diversi da quello in cui sono state legittimamente acquisite viene costantemente interpretata come riferita ai soli procedimenti penali altri, e non già a procedimenti tipologicamente diversi da quello penale: con la conseguenza che è proprio il sistema positivo interno, così come costantemente interpretato e applicato dai giudici nazionali, a consentire l’utilizzazione delle intercettazioni legittimamente disposte in procedimenti (non penali) diversi da quello in cui sono state disposte, al fine di dare attuazione al fondamentale principio processuale di ricerca della verità materiale (il quale ultimo solo in sede penale – e in ragione degli interessi, in quella sede, in gioco – può soffrire eccezioni).

La Sezione disciplinare ha poi osservato che in senso contrario alla utilizzabilità delle intercettazioni non potrebbe militare la sentenza della Corte di giustizia 2 marzo 2021. Invero – evidenzia il Giudice disciplinare – la situazione normativa considerata in quel contesto riguardava una disciplina che autorizza l’accesso a una banca dati di comunicazioni telefoniche (data retention) per estrarne, ex post, elementi utili a determinate indagini. Nel caso di specie, non si è fatto (alcun) accesso (successivo) ad una banca dati relativa a comunicazioni di telefonia (banca dati inesistente nel caso in considerazione); ma, al contrario, è stata preventivamente disposta, nel corso di un procedimento penale per il quale tale strumento era espressamente consentito dall’ordinamento giuridico, in relazione a reati di particolare gravità, una specifica intercettazione, (come tale, dunque) legittimamente acquisita in sede penale. Osserva la sentenza che tale intercettazione, in quanto legittimamente acquista in sede penale, è stata utilizzata nell’ambito del procedimento disciplinare a carico della Dott.ssa C..

1.3. – Poste tali premesse, il Collegio delle Sezioni Unite osserva che, con il motivo di ricorso per cassazione, la Dott.ssa C. non avanza rilievi in ordine al profilo della sussistenza di una base legale per la utilizzabilità delle intercettazioni delle conversazioni, disposte nel corso del procedimento penale a carico del Dott. P., nell’ambito di quello disciplinare nei confronti della ricorrente. Lamenta, piuttosto, ed in questo si appunta la censura, che non vi sia stata la “possibilità di esercitare un effettivo controllo nell’ambito del giudizio ad quem (quello disciplinare) sulle intercettazioni disposte nel procedimento a quo ed in particolare sui supporti audio”. A tale riguardo, la ricorrente invoca il proprio diritto di chiedere ed ottenere “copia dei supporti magnetici (bobine, dischetti, supporti informatici) delle intercettazioni poste a fondamento del capo di incolpazione”. E deduce che, nonostante la richiesta avanzata dall’incolpata fin dalla fase delle indagini, non sarebbe stata disposta l’acquisizione dei supporti audio, dei provvedimenti autorizzativi e delle trascrizioni delle intercettazioni compiute attraverso l’utilizzo del sistema informativo trojan nell’ambito del procedimento penale pendente a Perugia nei confronti del Dott. P.L.. Ciò avrebbe determinato l’assenza di qualsivoglia possibilità di controllo anzitutto ad opera del Giudice disciplinare che, ad avviso della ricorrente, può e deve procedere a rilevare anche di ufficio, ai sensi del combinato disposto degli artt. 191 e 271 c.p.p., ogni ipotesi di violazione normativa integrante l’inutilizzabilità. Ad avviso della ricorrente, risulterebbe inoltre mancante la possibilità di qualsivoglia controllo ad opera dell’incolpata.

1.4. – Tale essendo la censura articolata, il Collegio ritiene che essa non sia meritevole di seguito.

1.5. – Il principio di diritto già enunciato da queste Sezioni Unite (Cass., Sez. Un., 8 aprile 2021, n. 9390) – che il Collegio intende ribadire – è che nel procedimento disciplinare a carico di magistrati, sono inutilizzabili i risultati delle intercettazioni di conversazioni e comunicazioni disposte nel procedimento penale, i cui supporti materiali, nonostante la specifica e tempestiva richiesta del magistrato incolpato, non siano stati acquisiti agli atti del procedimento e resi ascoltabili da parte dell’incolpato stesso.

Invero, la clausola di compatibilità contenuta del D.Lgs. n. 109 del 2006, artt. 16 e 18, mentre preclude che nei rapporti tra procedimento disciplinare e procedimento penale operi il divieto, di cui all’art. 270 c.p.p., di utilizzazione dei risultati delle captazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali le stesse siano state autorizzate, non impedisce, per contro, che anche nel procedimento disciplinare debbano ritenersi inutilizzabili intercettazioni non legalmente disposte ed effettuate nel giudizio a quo.

Dunque:

gli esiti delle operazioni di captazione non possono essere utilizzati in sede disciplinare nel caso di mancata acquisizione dei decreti autorizzativi delle intercettazioni da parte del pubblico ministero, sempreché tale acquisizione abbia formato oggetto di una specifica e tempestiva richiesta dell’incolpato;

allo stesso modo, i suddetti esiti non possono essere utilizzati in sede disciplinare nemmeno nel caso di mancata acquisizione dei supporti materiali delle intercettazioni, sempreché, anche in questo caso, tale acquisizione abbia formato oggetto di una specifica e tempestiva richiesta dell’incolpato finalizzata all’ascolto delle stesse.

Una volta che siano stati versati agli atti del giudizio disciplinare i brogliacci o le trascrizioni delle intercettazioni disposte in sede penale, l’incolpato ha diritto di chiedere copia dei relativi supporti materiali (bobine, dischetti, supporti informatici), ma l’acquisizione di tali supporti è condizionata dall’onere, posto a carico dell’interessato, di una specifica e tempestiva richiesta. E’, infatti, rimesso alla parte che intende contestare gli esiti delle operazioni di captazione, chiedere di essere posta in condizione di verificarne il meccanismo acquisitivo come pure la corrispondenza dei brogliacci o delle trascrizioni ai supporti audio, instando, nella idonea sede dibattimentale, per la produzione dei files audio.

In altri termini, nel procedimento disciplinare a carico di magistrati sono inutilizzabili i risultati delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni disposte nel procedimento penale, i cui supporti materiali, nonostante la specifica e tempestiva richiesta del magistrato incolpato, non siano stati acquisiti agli atti del procedimento e resi ascoltabili da parte dell’incolpato stesso.

1.6. – Nella specie, di tale specifica e tempestiva richiesta, da parte dell’incolpata o del suo difensore, non vi è traccia né negli atti del procedimento svoltosi dinanzi alla Sezione disciplinare del CSM, né nello stesso ricorso.

Invero, dalla memoria del 27 novembre 2020 risulta che il difensore della Dott.ssa C. – dopo aver premesso che la prova dell’illecito disciplinare “sarebbe costituita dal verbale delle intercettazioni del colloquio telefonico intercorso, il (OMISSIS), tra l’incolpata ed il Dott. P.L.” e che “tale materiale probatorio risulta acquisito agli atti di un procedimento penale, pendente dinanzi alla Procura della Repubblica di Perugia, a carico dello stesso Dott. P.” – ha avanzato “serissimi dubbi circa l’utilizzabilità di detto materiale nel procedimento penale a carico del Dott. P.”, prospettando la conclusione che “la quasi certa inutilizzabilità dei risultati della sopra menzionata intercettazione telefonica nel procedimento penale dovrebbe parimenti valere anche nel presente procedimento disciplinare”.

Nell’udienza tenutasi dinanzi alla Sezione disciplinare l’11 dicembre 2020, il difensore dell’incolpata, dopo aver distinto tra illegittimità della acquisizione e inutilizzabilità in sede disciplinare, ha dichiarato di confidare in una evoluzione della giurisprudenza “nel senso di garantire al procedimento disciplinare le stesse guarentigie difensive che vengono garantite all’imputato nel processo penale”.

Nella memoria del 1 aprile 2021, la difesa della Dott.ssa C. si è appellata alla sentenza della Corte di giustizia in data 2 marzo 2021 e al principio, in essa richiamato, secondo il quale i dati relativi al traffico telefonico o telematico, anche quelli relativi agli strumenti captativi delle comunicazioni private, possono essere utilizzati soltanto per reati gravi ed esclusivamente per quanto necessario ai fini dell’indagine.

Nell’udienza del 15 aprile 2021, il difensore dell’incolpata ha evidenziato che “il problema è la legittimità di quegli atti in quel processo penale”, sottolineando che “se non c’e’ quella tu non è che puoi acquisire tutto”.

1.7. – Risulta dunque per tabulas che, nel processo disciplinare, non è stata presentata al Giudice disciplinare nessuna specifica richiesta finalizzata all’ascolto delle intercettazioni o al controllo della corrispondenza delle conversazioni oggetto di incolpazione al contenuto delle registrazioni.

L’onere della specifica (e tempestiva) richiesta di acquisizione agli atti del procedimento dei supporti materiali delle intercettazioni non è soddisfatto dalla istanza – presentata in data 19 novembre 2019 al Procuratore Generale nella fase delle indagini disciplinari – di accesso agli atti sottesi alla incolpazione, “consistenti nelle intercettazioni dei colloqui intercorsi con il Dott. P. in data (OMISSIS) alle ore 15.59 (progr. 157 – pag. 212 e ss. dell’informativa della Guardia di finanza) al fine di potersi compiutamente difendere”.

L’istanza di accesso agli atti rivolta al Procuratore Generale nella fase delle indagini è stata diretta, infatti, a rendere possibile l’esercizio della facoltà, da parte dell’interessata, di prendere visione ed estrarre copia, sin da subito, dell’informativa della Guardia di finanza recante la trascrizione della intercettazione del colloquio intercorso con il Dott. P. alle ore 15.59 del (OMISSIS), informativa richiamata nel capo di incolpazione comunicato alla Dott.ssa C.. Con quella istanza di accesso agli atti l’incolpata non ha chiesto affatto di verificare ex post la legittimità del procedimento seguito per disporre ed eseguire la captazione né di controllare il reale contenuto delle tracce sonore registrate.

Neppure con la istanza rivolta al Procuratore Generale, pertanto, l’interessata ha domandato l’acquisizione delle registrazioni foniche o delle bobine costituenti il presupposto della trascrizione.

In conclusione, non risultano vizi del provvedimento con cui le intercettazioni sono state autorizzate ed effettuate in sede penale. In difetto di richiesta, da parte della Dott.ssa C., dei supporti audio di tali intercettazioni, in mancanza cioè della richiesta di accedere alla prova diretta allo scopo di verificare la valenza probatoria della rappresentazione in forma grafica del contenuto di prove già acquisite mediante registrazione fonica, neppure emergono difformità dei brogliacci rispetto alle intercettazioni. In questo contesto, è meramente assertiva la deduzione che il Giudice disciplinare avrebbe dovuto rilevare anche d’ufficio “ogni ipotesi di violazione normativa integrante l’inutilizzabilità”.

Era rimessa all’incolpata in sede disciplinare la possibilità di dedurre eventuali vizi dei provvedimenti con cui le intercettazioni sono state autorizzate ed effettuate in sede penale e di richiedere i supporti audio di tali intercettazioni, per ascoltarli e far riscontrare la loro eventuale difformità rispetto al contenuto dei brogliacci o delle trascrizioni acquisite agli atti del procedimento disciplinare (Cass., Sez. Un., 8 aprile 2021, n. 8391).

Di questa facoltà la Dott.ssa C. non si è avvalsa.

Va ribadito che nel procedimento disciplinare a carico del magistrato è utilizzabile anche la documentazione che dia conto sinteticamente del contenuto delle comunicazioni intercettate nell’ambito di un procedimento penale, sempre che non emerga – a seguito di specifica contestazione dell’incolpato che abbia richiesto una verifica in tal senso mettendo in dubbio l’affidabilità della indicazione per sunto la sussistenza di una qualche difformità della trascrizione riassuntiva rispetto ai relativi supporti audio (bobine o cassette) (Cass., Sez. Un., 12 giugno 2017, n. 14552).

2. – Con il secondo motivo la ricorrente censura la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b), in relazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, lett. d), n) e u), per avere la sentenza impugnata erroneamente interpretato la fattispecie disciplinare, procedendo alla creazione di una nuova fattispecie normativamente non sussistente. Quanto alla fattispecie di cui alla lettera d), ad avviso della ricorrente sarebbe contraddittoria l’argomentazione in forza della quale la Sezione disciplinare è giunta alla conclusione di ritenere gravemente scorretta la condotta della Dott.ssa C., consistita nell’avere rivelato dettagli relativi allo svolgimento di sedute della Quinta Commissione, e ciò avendo la stessa sentenza impugnata ammesso che non è stata violata la segretezza oggettiva dei dati e che non sono stati compromessi diritti altrui di riservatezza. La violazione del dovere di riserbo, imposto al magistrato segretario dall’art. 34 del regolamento interno del CSM, sarebbe stata ritenuta di per sé grave, prescindendo da ogni altro elemento valutativo. Analoghe considerazioni varrebbero, ad avviso della ricorrente, per l’illecito di cui alla lett. n), non contestato ma ritenuto in sentenza. La sentenza impugnata si deduce nel ricorso – non dedicherebbe una sola frase alla gravità della violazione, gravità che andrebbe logicamente desunta dalle conseguenze della stessa.

2.1. – Il motivo è infondato.

2.2. – La doglianza articolata dalla ricorrente muove dal presupposto che la Sezione disciplinare abbia applicato alla vicenda posta al suo esame non già la previsione tipizzata di cui all’art. 2, comma 1, lett. d), ma una diversa fattispecie di sua creazione che sanziona qualunque comportamento scorretto senza necessità che sussistano in concreto gli elementi ulteriori della abitualità o della gravità. Secondo la ricorrente, un vizio analogo sarebbe riscontrabile con riguardo alla statuizione di cui alla lett. n), perché – si deduce – “il Giudice ha di fatto creato un nuovo illecito disciplinare forzando oltre i limiti di una interpretazione estensiva la fattispecie”.

2.3. – Il presupposto da cui prende le mosse la censura è erroneo.

Lungi dal procedere ad una applicazione analogica delle norme incolpatrici, la Sezione disciplinare ha correttamente interpretato la portata della fattispecie astratta delineata dal legislatore, accertando poi in concreto che la condotta posta in essere integra tutti gli elementi costitutivi dell’illecito disciplinare come configurato dal legislatore.

2.4. – Invero, la previsione di cui del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. d) – la quale dà rilievo come illecito disciplinare ai “comportamenti abitualmente e gravemente scorretti” tenuti nei confronti, tra i diversi soggetti menzionati, anche “di altri magistrati” – deve essere interpretata nel senso che tali comportamenti non debbono necessariamente essere direttamente collegati all’esercizio delle funzioni giurisdizionali, ben potendo considerarsi scorrettezze funzionali anche le condotte poste in essere in violazione dei doveri relativi allo status di magistrato che permangono in caso di collocamento fuori ruolo per lo svolgimento di funzioni diverse da quelle giurisdizionali.

Ne deriva che tali comportamenti possono investire anche i rapporti che si instaurano con altri magistrati in ragione delle funzioni assegnate al magistrato segretario del Consiglio superiore della magistratura: e poiché il magistrato segretario ha, per regolamento consiliare (art. 34, comma 5, del regolamento interno), il dovere di segretezza su quanto riguarda i lavori delle Commissioni alle quali partecipa, è configurabile la scorrettezza grave allorché la violazione del dovere di riserbo sia suscettibile di pregiudicare in elevato grado, anche eventualmente attraverso un particolare modus agendi, l’interesse alla piena e incondizionata libertà di determinazione di ciascun componente dell’Organo di governo autonomo.

2.5. – Si tratta di un principio coerente con la giurisprudenza di questa Corte, nella quale, con riguardo all’illecito disciplinare di cui del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. d), già si è dato rilievo allo status di appartenenza del magistrato all’Ordine giudiziario, che non viene meno per il fatto che gli siano state conferite funzioni amministrative (Cass., Sez. Un., 23 dicembre 2009, n. 27292), e si sono sottolineati la natura funzionale dell’illecito (Cass., Sez. Un., 9 novembre 2018, n. 28653; Cass., Sez. Un., 14 luglio 2021, n. 20042) e il carattere elastico della nozione di grave scorrettezza (Cass., Sez. Un., 30 dicembre 2020, n. 29823).

2.6. – A questo principio si è attenuta la Sezione disciplinare.

Infatti, la sentenza impugnata – dopo avere premesso che la particolare posizione fuori ruolo della Dott.ssa C. all’epoca dei fatti non fa venir meno la connotazione funzionale dei doveri facenti capo all’incolpata e dopo aver precisato che, secondo l’assetto regolamentare specificamente riferibile allo status di magistrato segretario del Consiglio superiore della magistratura, una connotazione tipica e caratteristica della sua attività è quella (dell’obbligo) della segretezza rispetto al contenuto dei lavori ai quali il magistrato ha diritto di assistere (art. 34, comma 5, del regolamento interno del CSM) – ha evidenziato come la maliziosa violazione di questo dovere di condotta, in quanto idonea a tradire radicalmente l’affidamento fiduciario dei componenti del Consiglio, costituisce una grave scorrettezza, pregiudicando in massimo grado l’interesse volto ad assicurare la più piena e incondizionata libertà di determinazione dei singoli consiglieri.

La grave scorrettezza è stata altresì ritenuta sussistente in concreto, anche per le modalità con cui la condotta è stata posta in essere. Non si è trattato – secondo il motivato apprezzamento della Sezione disciplinare – di una mera “leggerezza” nell’esercizio delle funzioni, ma di un’assidua opera di monitoraggio e sorveglianza, con piena complicità di intenti con il proprio interlocutore. Si e’, in altri termini, di fronte ad una condotta disvelatrice di un compito di moni-toraggio, sorveglianza e rivelazione affidato all’incolpata all’interno del Consiglio: “quasi una sorta di grande fratello orwelliano”.

Nello specifico, il Giudice disciplinare non ha mancato di evidenziare la situazione complessiva nella quale le rivelazioni fatte dall’incolpata si collocano. Ha sottolineato la Sezione del CSM che il Dott. P. (allora in servizio quale sostituto procuratore presso lo stesso Ufficio giudiziario della cui funzione dirigenziale si decideva, nonché, al contempo, concorrente per l’assegnazione delle funzioni di Procuratore aggiunto presso il medesimo Ufficio) ha preso parte ad un’azione concertata, unitamente ad alcuni consiglieri in carica del CSM, al fine di poter esprimere direttamente, in modo strategicamente concordato e ragionevolmente efficace, la propria indicazione sulle scelte costituzionalmente riservate al Consiglio superiore. In questo contesto, le informazioni fornite dall’incolpata, anche di propria iniziativa, e relative, tra l’altro, anche a possibili sensazioni di orientamento di singoli componenti della Commissione, erano necessarie al Dott. P. per consentirgli di verificare l’affidabilità dei componenti del Consiglio superiore con i quali si rapportava.

2.7. – Le conclusioni cui, sul punto, è pervenuta la sentenza impugnata non sono in contraddizione con la parte della motivazione (con riferimento al contestato illecito di cui alla lett. u) che ha escluso di poter ravvisare nella condotta della Dott.ssa C. la violazione della segretezza oggettiva dei dati, riconoscendo per altro verso che non sono stati compromessi diritti altrui di riservatezza.

La sentenza impugnata si dà cura di precisare, infatti, la differenza di regime tra il consigliere e il magistrato segretario in ordine al riserbo relativo ai lavori della Commissione, e in questa prospettiva osserva che la possibilità che, entro certi limiti, dati relativi allo svolgimento dei lavori della Commissione siano rivelati dai singoli consiglieri rende quei dati, oggettivamente, non coperti da segreto in senso stretto.

Ma altro è la segretezza oggettiva del dato, altro il dovere soggettivo di riserbo e segretezza che al magistrato segretario è imposto dal regolamento interno. La mancanza del primo elemento non fa venir meno la rilevanza giuridica dell’obbligo di condotta. Il secondo elemento – ossia l’esistenza di un dovere soggettivo di riserbo – a giusto titolo può considerarsi sussistente pur in difetto di predicabilità della segretezza oggettiva del dato, intesa alla stregua di una qualità giuridica di esso.

Parimenti, è da escludere la denunciata argomentazione contraddittoria con riferimento alla ritenuta non sussistenza dell’altro elemento alternativamente necessario ai fini dell’illecito contestato (di cui alla lett. u). Difatti, la sentenza chiarisce espressamente (a pag. 27) che la ragione del dovere di riserbo imposto al magistrato segretario non si fonda sulla protezione di una esigenza di riservatezza, in senso proprio, dei consiglieri, ma è posta a presidio della più piena libertà di esercizio della funzione consiliare ad essi attribuita.

2.8. – Allo stesso modo, anche per quanto riguarda l’illecito disciplinare di cui all’art. 2, comma 1, lett. n), (la grave inosservanza o, alternativamente, la reiterata inosservanza – delle norme regolamentari o delle disposizioni sul servizio giudiziario o sui servizi organizzativi e informatici adottate dagli organi competenti), così riqualificato l’illecito contestato di cui alla lett. u), la Sezione disciplinare ha operato entro il perimetro della fattispecie legale normativamente descritta, senza incorrere in un allargamento per via interpretativa dello spettro applicativo dell’illecito configurato dal codice disciplinare e senza creare di fatto una nuova figura di illecito, ulteriore rispetto a quella codificata. Ed anche qui, la sentenza impugnata ha motivato circa il requisito della gravità dell’inosservanza della norma regolamentare.

2.9. – L’illecito disciplinare che si realizza nella “reiterata o grave inosservanza delle norme regolamentari o delle disposizioni sul servizio giudiziario o sui servizi organizzativi e informatici adottate dagli organi competenti” riceve tipizzazione concreta in forza del contenuto della norma regolamentare o della disposizione di servizio violata, che definisce il comportamento sanzionabile.

2.10. – L’art. 34, comma 5, del regolamento interno del CSM impone ai soggetti, diversi dai consiglieri, ammessi a partecipare ai lavori di Commissione unicamente in ragione delle funzioni strumentali all’efficacia dell’azione di alta amministrazione consiliare, un vincolo di segretezza “su quanto riguarda i lavori della Commissione”.

Tra i soggetti tenuti al dovere di segretezza rientrano i magistrati segretari.

L’art. 34, comma 5, citato, dunque, reca una previsione regolamentare intesa a disciplinare l’attività di servizio del magistrato segretario.

2.11. – Ne deriva che la rivelazione a terzi, da parte del magistrato segretario addetto al CSM, di quanto riguarda i lavori della Commissione, integra una inosservanza di una norma regolamentare: e tale inosservanza ben può, tenuto conto di tutte le circostanze del caso concreto, essere ritenuta grave dalla Sezione disciplinare, venendo in rilievo la violazione di una prescrizione regolamentare che attiene all’essenza stessa della professionalità minima indispensabile richiesta al magistrato segretario.

2.12. – A tale principio si è conformato il Giudice disciplinare, il quale ha reputato sussistente la grave inosservanza, quale elemento costitutivo dell’illecito di cui alla lett. n), sia avendo riguardo alla condotta posta in essere in violazione del precetto (una condotta intenzionalmente e preordinatamente consumata, e non posta in essere a causa di mera “leggerezza”), sia in considerazione del significato della prescrizione violata, volta ad esprimere un requisito coessenziale all’attività del magistrato segretario.

3. – Con il terzo motivo la Dott.ssa C. si duole della violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e), in relazione all’art. 546 c.p.p., e del D.Lgs. n. 109 del 2006, artt. 19 e 24. La sentenza impugnata avrebbe affermato la sussistenza dell’illecito disciplinare concretato da grave scorrettezza “alla stregua di un’argomentazione apodittica, totalmente mancante della esplicitazione delle ragioni fattuali a sostegno della rassegnata conclusione cui si giunge anche in ragione di affermazioni manifestamente contraddittorie rispetto alle indicazioni contenute nel capo di incolpazione oltre che nella premessa relativa alle risultanze probatorie prese in considerazione ai fini della decisione”.

3.1. – Occorre premettere, in sintesi, in riferimento alla denuncia del vizio di mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), le tre forme nelle quali esso si può manifestare.

Come è stato di recente ribadito da queste Sezioni Unite (Cass., Sez. Un., 4 agosto 2021, n. 22302), la mancanza di motivazione si risolve nell’assenza di argomentazioni necessarie al fine di rendere evidente l’intero iter logico seguito dal giudice di merito, sì da non consentirne una verifica, ovvero nell’omesso esame del punto, decisivo, sottoposto all’analisi del giudice.

Nel più generale concetto di assenza di motivazione e’, poi, ricondotto il vizio di motivazione apparente della sentenza, ravvisabile soltanto quando l’argomentazione sia del tutto avulsa dalle risultanze processuali o si avvalga di affermazioni di puro genere o di asserzioni apodittiche o di proposizioni prive di efficacia dimostrativa. Si tratta dei casi in cui il ragionamento espresso dal giudice a sostegno della decisione adottata è soltanto fittizio e, perciò, sostanzialmente inesistente.

La motivazione carente si pone al di sotto del c.d. “minimo costituzionale” e, pertanto, dà luogo ad una violazione di legge costituzionalmente rilevante. Rientrano in tale categoria la “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, la “motivazione apparente”, il “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e la “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, non assumendo, invece, rilevanza alcuna il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

La motivazione e’, invece, manifestamente illogica nel caso in cui vi sia una frattura logica evidente tra una premessa, o più premesse, nel caso di sillogismo, e le conseguenze che se ne traggono.

E’ contraddittoria allorquando non siano conciliabili tra loro le considerazioni logico-giuridiche in ordine ad uno stesso fatto o ad un complesso di fatti o vi sia disarmonia tra la parte motiva e la parte dispositiva della sentenza, ovvero nella stessa si manifestino dubbi che non consentano di determinare quale delle due o più ipotesi formulate dal giudice conducenti ad esiti diversi siano state poste a base del suo convincimento.

I codificati vizi della motivazione devono cadere su aspetti essenziali, tali da imporre una diversa conclusione del processo, non potendo reputarsi ammissibili quelle censure che aggrediscono la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento.

3.2. – Poste tali premesse, il vizio denunciato dalla ricorrente non sussiste.

La valutazione di gravità della scorrettezza è affidata, nella sentenza impugnata, ad una motivazione ponderata, intrinsecamente coerente e priva di mende logiche e giuridiche.

Il Giudice disciplinare – prendendo in esame la conversazione intercettata del (OMISSIS) avvenuta tra la Dott.ssa C. e il Dott. P. (v. pag. 22 e 23 della sentenza), contestualizzando la situazione complessiva nella quale le rivelazioni fatte dall’incolpata si collocano (pag. 22 e pg. 23) e considerando il fatto che esse vertono su aspetti relativi allo svolgimento di sedute della Quinta Commissione del CSM aventi ad oggetto la nomina del Procuratore della Repubblica di Roma (pag. 14) – ha evidenziato che, per le modalità con cui la condotta si è concretizzata, essa disvela un compito di monitorag-gio, sorveglianza e rivelazione che all’incolpata risulta affidato, e ha sottolineato che dalla intensità, puntualità, accuratezza dei dialoghi con il Dott. P. risulta posta in essere, con piena complicità di intenti con il proprio interlocutore, una consapevole, intenzionale e preordinata direzione della condotta al fine illecito perseguito.

La ricorrente censura “la inammissibile apoditticità della ritenuta intensità e assiduità della condotta”, sul rilievo che difetterebbe “ogni pur minima indicazione di qualsivoglia colloquio diverso dall’unico (della durata di pochissimi minuti) intercorso tra la ricorrente e P. in data (OMISSIS)”.

In realtà, sotto la lente delle norme indicate in rubrica, la ricorrente finisce con il proporre una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata attraverso un nuovo e diverso parametro di ricostruzione e valutazione del colloquio telefonico intercettato: colloquio nel corso del quale la Dott.ssa C. ha riferito l’andamento dei lavori relativi alla procedura di nomina del Procuratore della Repubblica di Roma, i contenuti delle posizioni espresse da ciascuno dei consiglieri nel corso delle sedute della Commissione e le intenzioni di voto da costoro anticipate.

Dietro al difetto di motivazione, si profila una censura al merito della decisione, non consentita nel giudizio di legittimità, dove non vi è spazio per una rivalutazione del materiale probatorio.

4. – Il ricorso è rigettato.

5. – Le spese in favore del Ministro della giustizia resistente, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dal Ministro della giustizia, che liquida in complessivi Euro 4.000 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2022

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA