Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6908 del 08/04/2016


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Civile Sent. Sez. L Num. 6908 Anno 2016
Presidente: MAMMONE GIOVANNI
Relatore: DORONZO ADRIANA

SENTENZA

sul ricorso 15108-2014 proposto da:
CALABRO’

MARIA

elettivamente

EUFEMIA

C.F.

CLBMFM46R48I753C,

domiciliata in ROMA, VIA VITTORIA

COLONNA 32, presso lo

studio dell’avvocato

EUGENIA

BARONE ADESI, rappresentata e difesa dall’avvocato

ANTONIO MARIO LABATE, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2016
contro

173

INPS – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE C.F.
80078750587,

in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato

in

ROMA, VIA

Data pubblicazione: 08/04/2016

CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale
dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati
CLEMENTINA PULLI, MAURO RICCI, EMANUELA CAPANNOLO,
giusta delega in atti;

1217/2012 della CORTE

D’APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata

il

21/05/2013 R.G.N. 1385/2004;
udita la relazione della causa svelta nella pubblica
udienza del 14/01/2016 dal Consigliere Dott. ADRIANA
DORONZO;
udito l’Avvocato PULLI CLEMENTINA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. MARCELLO MATERA che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

avverso la sentenza n.

controricorrente-

Udienza del 14 gennaio 2016
R.G. N. 1510B/2014
Calabrò INPS

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.- Con ricorso al Tribunale di Palmi depositato il 31 ottobre 2002, Maria
Eufemia Celebrò espose di essere titolare di assegno ordinario di invalidità, ai
sensi dell’art. 1 della legge 12 giugno 1984 n. 222, accertato con sentenza
dello stesso Tribunale del 3/6/1999, passata in giudicato, e revocato dall’INPS

ripristino della provvidenza.
2.- Il Tribunale rigettò la domanda e la Corte d’appello di Reggio Calabria,
dopo aver rinnovato la consulenza tecnica di ufficio già disposta in prime cure,
con sentenza depositata in data 21/5/2013 ha rigettato l’appello della
Celebrò, rilevando che le patologie riscontrate, secondo il giudizio di entrambi
consulenti, non riducevano la capacità di lavoro dell’assicurata nei limiti di
legge in occupazioni confacenti le sue attitudini (bracciante agricola).
3. – Propone ricorso per cessazione la Celebrò sulla base di due motivi.
Risponde l’INPS con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.

1.1.

La ricorrente deduce due motivi di ricorso.

La violazione e falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 1 e 9 I.

n. 222/1984 e 2909 cod.civ., nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per
il giudizio oggetto di discussione tra le parti. Premette che il diritto all’assegno
ordinario di invalidità le era stato riconosciuto con sentenza passata in
giudicato, sicché la revoca per poter essere legittima imponeva un accertato
miglioramento delle malattie invalidanti. Nel caso di specie tanto la c.t.u.
disposta nel primo grado del giudizio quanto la prima relazione redatta dal
dottor De Salvo, nominato c.t.u. dalla Corte d’appello, non avevano operato
alcun raffronto tra le malattie accertate con la sentenza passata In giudicato e
quelle attuali. Solo nella seconda c.t.u. eseguita ad integrazione della prima e
su esplicita richiesta del giudice, il dottor De Salvo aveva comparato lo stato
attuale di essa ricorrente con quello accertato nella sentenza passata in
giudicato mantenendo ferme le sue conclusioni circa l’insussistenza di uno
stato Invalidante, ma nel contempo sottolineando l’insuscettibilità di
miglioramenti delle patologie osteoarticolari. Diverse, pertanto, e opposte
avrebbero dovuto essere le conclusioni del giudice in ordine al suo diritto al
ripristino, giacché escludendosi ogni miglioramento la provvidenza non poteva
essere revocata se non violando il giudicato e i principi inerenti all’onere della
prova.
1

a far tempo dal 1 0 /2/2000. Chiese che il giudice dichiarasse il suo diritto al

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Calabrò c/ INAS

La violazione e la falsa applicazione dell’art. 1 della legge

12/6/1984, n. 222, nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il
giudizio. Lamenta la ricorrente che Corte non ha tenuto conto della sua
attività di bracciante agricola o di altre occupazioni confacenti alle sue
attitudini, con ciò falsandosi l’accertamento del requisito sanitario.

infondati.
Giova qui richiamare i principi già espressi in materia da questa Corte (per
tutte, v. Cass., 15 ottobre 2015, n. 20834).

L’art. 1 della legge 12 giugno 1984, n. 222, dopo aver previsto che
l’assegno di Invalidità è riconosciuto per un periodo di tre anni ed è
confermabile per periodi della stessa durata qualora permangano le condizioni
che hanno consentito la liquidazione della prestazione (comma 79, stabilisce
che “dopo tre riconoscimenti consecutivi, l’assegno di invalidità è confermato
automaticamente, ferme restando le facoltà di revisione di cui al successivo
articolo 9” (comma 8°). Tali disposizioni coordinano

il regime di limitata

stabilità dell’assegno di invalidità con il potere di revisione dell’INPS, regolato
dal richiamato art. 9, che riconosce all’Istituto la facoltà di sottoporre il
titolare delle prestazione “ad accertamenti sanitari per la revisione dello stato
di invalidità o di inabilità” (comma 1°) e di revocare la prestazione ove ne

siano cessati i requisiti (comma
Nel caso che la prestazione sia stata riconosciuta in sede giudiziale e che
l’INPS abbia esercitato II potere di revisione, la giurisprudenza della Corte di
cessazione ritiene che la sentenza che accerta il diritto all’assegno ordinario di
invalidità esplica efficacia di giudicato sull’esistenza di tutti i presupposti di
legge (requisito contributivo e assicurativo e stato invalidante) e che, ove
permangano immutati gli elementi di fatto e di diritto preesistenti, la
situazione già accertata non può essere rimessa in discussione. Ove venga in
questione la legittimità della revoca dell’assegno disposta dall’INPS, ritiene
ancora detta giurisprudenza, deve procedersi “al raffronto tra la situazione
esistente all’epoca dei precedente accertamento giudiziale e quella ricorrente
al momento della revoca per verificare se vi sia stato un effettivo
miglioramento nello stato di salute dell’assicurato, o comunque un recupero
della sua capacità di guadagno derivante da un proficuo e non usurante
riadattamento lavorativo in attività confacenti alle sue personali attitudini”

2

3. — Entrambi motivi, che si affrontano in un unico contesto, sono

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Calabrò 0119125

(Cass., 7 novembre 2011, n. 23082, Cass., 13 giugno 2008, n. 16058, Cass.,
12 marzo 2004, n. 5151; e, da ultimo, Cass., n. 20834/2015, cit.).
L’esistenza del giudicato, quindi, non impedisce il potere di revisione
dell’INPS, ma ne regolamenta l’esercizio, imponendo quale termine iniziale di
raffronto l’accertamento giudiziale precedentemente compiuto.

che tanto la consulenza tecnica d’ufficio svolta In primo grado, tanto quella
disposta in sede di appello, quanto infine Il supplemento disposto in quella
stessa sede hanno accertato che, con riferimento alla patologia più importante
da cui è affetta la ricorrente, ossia quella osteo-articolare, le condizioni di
salute sono complessivamente migliorate, con la conseguenza che l’entità del
danno anatorno-funzionale in atto riscontrata, consistendo in una moderata
limitazione della funzionalità dei tratto cervicale e lombare, non determina
quello stato invalidante necessario per riconoscere la riduzione in modo
permanente a meno di un terzo della capacità lavorativa della Calabrò in
occupazioni confacenti le sue attitudini.
Il miglioramento è stato ravvisato rispetto al 1997, data In cui è stato
riconosciuto alla Celebro l’assegno di invalidità. In proposito, la Corte ha
rilevato che il giudizio espresso dal c.t.u. nominato in appello nel supplemento
alla sua consulenza – secondo cui le alterazioni osteoarticolari non sono
suscettibili di miglioramento – non è adeguatamente confortato da dati
statistici ed epldemiologici, e che, per contro, è sempre possibile
un’evoluzione in senso positivo della patologia, come dimostrato dal caso di
specie. Si è in presenza di un giudizio coerente, sostenuto da adeguata
motivazione e in linea con i principi di diritto enunciati da questa Corte e
sopra riportati. Non esiste, dunque, alcun vizio ove peraltro si abbia riguardo
alla nuova formulazione dell’art. 360, comma 1°, n. 5, cod.proc.civ., il quale
prevede che la sentenza può essere impugnata per cassazione “per omesso
esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione
tra le parti”, ed è applicabile alla controversia in esame per effetto della

disposizione transitoria contenuta nell’art. 54, comma 3°, d.i. 22 giugno 2012,
n. 83, convertito con modificazioni nella legge 7 agosto 2012, n. 134,
trattandosi di sentenza di appello pubblicata dopo 11 settembre 2012.
In proposito, le Sezioni Unite di questa Corte ( Sez. Un. 7 aprile 2014, nn.
8053, 8054) hanno statuito che a seguito della modifica dell’ad. 360, comma
1°, n. 5, c.p.c., il vizio di motivazione si restringe a quello di violazione di
3

Il giudice della sentenza impugnata si è attenuto a tali principi, rilevando

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CaPabrò ci INP5

legge e, cioè, dell’art. 132 c.p.c., che impone al giudice di indicare nella
sentenza “la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della
decisione”, secondo quello che è stato definito II “minimo costituzionale” della

motivazione. Ed infatti perché la violazione sussista si deve essere in presenza
di un vizio “così radicale da comportare con riferimento a quanto previsto

motivazione’, fattispecie che si verifica quando la motivazione manchi del

tutto, oppure formalmente esista come parte del documento, ma le
argomentazioni siano svolte in modo “talmente contraddittorio da non
permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del
decisum”. Pertanto, a seguito della riforma del 2012 scompare il controllo
sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il
controllo sulla esistenza (sotto il profilo della assoluta omissione o della mera
apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà
e dell’illogicità manifesta). Inoltre, il vizio può attenere solo alla quaestio facti
(in ordine alle quaestiones juris non è configurabile un vizio di motivazione) e
deve essere testuale, deve, cioè, attenere alla motivazione in sé, a
prescindere dal confronto con le risultanze processuali, In altri termini,
l’omesso esame deve riguardare un fatto storico, principale o secondario, la
cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia
costituito oggetto di discussione e che abbia carattere decisivo (vale a dire
che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia).
Nel caso di specie, la ricorrente non indica quale sarebbe il fatto non preso in
esame dal giudice del merito, che, ove esaminato, avrebbe condotto ad un
diverso esito della controversia, non denuncia alcuna palese devianza dei
c.t.u. dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, né
alcuna omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette
nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi: in
sostanze, le critiche si risolvono in un mero dissenso diagnostico, ossia in
un’inammissibile critica del convincimento del giudice (Cass., 3 febbraio 2012,
n. 1652).
4.- In conclusione, il ricorso è Infondato e deve essere rigettato. Poiché -et
ricorso introduttivo del giudizio è stato depositato prima della riforma del
regime delle spese del giudizio per prestazioni previdenziali introdotta dal d.l.
30 settembre 2003, n. 269, convertito in legge 24 novembre 2003 n. 326,

non va adottato alcun provvedimento sulle spese, non apparendo la lite
4

dall’art. 132, n. 4, c.p.c. la nullità della sentenza per mancanza di

manifestamente infondata e temeraria. Tuttavia poiché il ricorso per
cessazione è stato notificato in data successiva al 31 gennaio 2013,
sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il
ricorso principe:19, a norma dell’art. 13, comma 1, del d.p.r. 115/2002. In
tema di impugnazioni, il presupposto di insorgenza dell’obbligo del
versamento, per li ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo
unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P,R. 30 maggio 2002, n.
115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n.
228, non è collegato alla condanna alle spese, ma ai fatto oggettivo del rigetto
integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame
(Cass., ord.13 maggio 2014 n. 10306).
RQ.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese. Ai sensi dell’art. 13, comma 1,

quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1

bis, dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 14 gennaio 2016
Il Presidente

A

Udienza del 14 gennaio 21316
R.G.N. 15108/2014
Calabrò c/ INPI

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