Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6908 del 02/03/2022

Cassazione civile sez. VI, 02/03/2022, (ud. 01/03/2022, dep. 02/03/2022), n.6908

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – rel. Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso proposto da:

D.C.M. e S.A., il primo dei quali si

difende in proprio e l’altro rappr. e difeso dall’avv. Marco De

Cristofaro (marco.decristofaro.ordineavvocatipadova.it), elett. dom.

in Roma, Viale G. Mazzini n. 145, presso lo studio dell’avv.

Giuseppe Tepedino, avvocato.pec.tepedino.it, come da procura a

margine dell’atto;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) S.R.L., in persona del curatore p.t., rappr. e

dif. dagli avv.ti Filippo Lo Presti, (filippo.lopresti.

ordineavvocatipadova.it), elett. dom. presso lo studio dell’avv.

Tommaso Manferoce, in Roma, Piazza Vescovio n. 21,

tommasomanferoce.ordineavvocatiroma.org, come da procura in calce

all’atto;

– controricorrente –

per la cassazione dell’ordinanza del TRIBUNALE DI PADOVA n. 2/2019 in

R.G. 2089/2018, depositato il 02/01/2019;

viste le memorie delle parti;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 1 marzo 2022 dal Presidente Relatore MASSIMO FERRO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Gli avvocati D.C.M. e S.A. impugnano il decreto TRIBUNALE DI PADOVA n. 2/2019 in R.G. 2089/2018, depositato il 02/01/2019 con cui veniva respinta la loro opposizione L. Fall., ex art. 98, avverso il decreto di esecutività dello stato passivo del Fallimento (OMISSIS) s.r.l. con cui, pur ammesso in privilegio ex art. 2751 bis c.c., n. 2, e come richiesto il credito derivante dall’attività di assistenza espletata in favore della fallita in una serie di procedure giudiziali, veniva loro negato lo stesso rango al credito di rivalsa IVA e previdenziale, così negando portata retroattiva alla norma modificatrice sul punto della citata disposizione civilistica;

2. il tribunale ha ritenuto che: a) l’accoglimento della pretesa, fondata sulla applicazione alla fattispecie della legge di stabilità del 2018 (L. n. 205 del 2017, art. 1, comma 474), che ha in effetti esteso il privilegio generale mobiliare ai crediti riguardanti “le retribuzioni dei professionisti, compreso il contributo integrativo da versare alla rispettiva cassa di previdenza ed assistenza e il credito di rivalsa per l’imposta sul valore aggiunto”, non poteva essere disposto, stante la natura non processuale delle disposizioni attributive di privilegi (che, in quanto tali, risponderebbero al canone tempus regit actum) bensì sostanziale; b) secondo l’insegnamento delle stesse SS.UU (Cass. 5685/2015), tale natura – non smentita dalla mera loro proiezione processuale – non fa soggiacere il credito al citato principio, con conseguente impossibilità di applicazione della nuova norma a prestazioni poste in essere prima della sua entrata in vigere; c) diversamente, la ipotizzabile lesione che subirebbero le aspettative di tutela dei creditori ammessi allo stato passivo ove si facesse applicazione retroattiva della disposizione, integra il diniego, rilevando il momento in cui il credito sorge e non quello in cui viene fatto valere, dato che, in relazione al credito di rivalsa IVA di un professionista, il fatto generatore corrisponde alla conclusione della prestazione professionale e non all’atto del pagamento del corrispettivo, il quale rileva esclusivamente ai fini dell’individuazione del momento in cui l’operazione è assoggettabile ad imposta e può, di conseguenza, essere emessa fattura ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6;

3. ricorrono congiuntamente i due avvocati, sottoponendo al Collegio un motivo di ricorso, cui resiste il fallimento con controricorso; le parti hanno entrambe depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. con il motivo, i ricorrenti lamentano la violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 2751 bis c.c., n. 2, per avere l’organo giudicante applicato tale disposizione nella versione antecedente la sua modifica introdotta dalla L. n. 205 del 2017, art. 1, comma 474, errando, dunque, nel disconoscere la natura processuale di tale disposizione e nel discostarsi dalle pronunce della Corte Cost. (n. 176/2017 e n. 170/2013) secondo le quali le norme introduttive o modificative di privilegi devono trovare immediata applicazione da parte del giudice delegato, avendo riguardo al momento in cui il credito viene fatto valere; nella specie, trattasi proprio di crediti che, seppur connessi a prestazioni compiute prima della data di entrata in vigore della L. – 1 gennaio 2018 -, sono stati azionati in un momento successivo; ne sarebbe dovuta derivare l’applicazione dell’orientamento costituzionale che tiene conto, ai fini del riconoscimento del privilegio, del momento in cui il credito viene fatto valere, con conseguente riconoscimento della prelazione introdotta nell’art. 2751 bis c.c., n. 2, ai crediti previdenziali e da rivalsa IVA vantati, secondo un indirizzo interpretativo che supera il valore di mero obiter dictum che ne ha dato il tribunale, stante la molteplicità di volte in cui la Consulta si è pronunciata in questi termini (n. 325/1983, n. 176/2017 e n. 170/2013) e contrastando l’afferenza al caso di specie della pronuncia delle Sezioni Unite di Cassazione (n. 5685/2015) posta invece a fondamento della decisione ora impugnata;

2. il ricorso è infondato, ritenendo il Collegio di dover dare continuità alla giurisprudenza già espressa nella sua massima espressione nomofilattica ai sensi della quale “le norme sui privilegi sono disposizioni di diritto civile che attengono alla qualità di alcuni crediti, consistente nella loro prelazione rispetto ad altri, per cui trova applicazione, salvo espressa deroga normativa, il principio generale di cui all’art. 11 preleggi, secondo cui le leggi non sono retroattive. Ne consegue che la modifica legislativa, che abbia introdotto un nuovo privilegio o abbia introdotto modifiche ad uno già esistente, si applica solo se il credito sia sorto nello stesso giorno o in un giorno successivo rispetto al momento in cui la legge entra in vigore e pertanto la gradazione dei crediti si individua avendo riguardo al momento in cui il credito sorge e non quando viene fatto valere. In tal senso, è appena il caso di soggiungere, che, non trattandosi nel caso di specie di norme processuali, le stesse non sono suscettibili di applicazione come ius superveniens ai giudizi in corso” (Cass. s.u. n. 5685/2015); né l’analisi dei precedenti della stessa Corte costituzionale, nessuno in termini, conduce a diverse conclusioni;

3. va premesso che la norma invocata, cioè l’art. 2751 bis c.c., n. 2, è stata modificata dal legislatore della legge di bilancio per l’anno finanziario 2018, (L. n. 205 del 2017), ora prevedendo, con l’art. 1, comma 474, che “(a)ll’art. 2751-bis c.c., n. 2), dopo le parole: “le retribuzioni dei professionisti” sono inserite le seguenti: “, compresi il contributo integrativo da versare alla rispettiva cassa di previdenza ed assistenza e il credito di rivalsa per l’imposta sul valore aggiunto””; essa non si è accompagnata ad alcuna disposizione di diritto transitorio e, come tale, è stata ritenuta inapplicabile, per il favor innovativo espresso a vantaggio dei professionisti ricorrenti, dal decreto impugnato;

4. nella specie, il tribunale – negando il privilegio speciale – ha nella sostanza escluso quella portata più indifferenziata della causa di prelazione che la novella ha introdotto con vigenza dal 1.1.2018 nella norma civilistica, così rimuovendo ostacoli di fatto spesso nella pratica incontrati dai professionisti nel conseguimento satisfattivo, nel contesto esecutivo, del credito per la rivalsa IVA e il versamento alla rispettiva cassa di previdenza, data la diffusa incapienza dei beni oggetto della prelazione speciale e dunque la rispettiva degradazione a crediti trattati in chirografo (non estrinsecandosi altrimenti il privilegio);

5. la questione tematizzata nel ricorso potrebbe tuttavia, secondo il ricorso, conseguire la medesima soluzione ove si attribuisse, in generale, alle norme istitutive delle cause di prelazione valenza processuale e non sostanziale; la tesi ha incontrato sinora il dissenso di questa Corte, ricostruito anche a dispetto dei riferimenti all’istituto, declinato in tale versione, nell’ambito di alcuni precedenti della stessa Corte Cost.;

6. così, da ultimo, Cass. n. 36755/2021 ha chiarito, proprio sulla linea di Cass. s.u. n. 5685/2015, che si era espressa con riguardo al privilegio generale sui mobili – e cioè l’art. 2751 bis c.c., comma 1, n. 5, come sostituito dal D.L. 9 febbraio 2012, n. 5, art. 36, convertito dalla L. 4 aprile 2012, n. 35, laddove accorda il privilegio ai crediti dell’impresa artigiana “definita ai sensi delle disposizioni legislative vigenti” – che i crediti di Equitalia per dazi doganali (nella specie risalenti al 2003, epoca in cui erano assistiti dal mero privilegio speciale), non possono fruire del trattamento migliorativo introdotto solo con il D.L. n. 16 del 2012, (conv. nella L. n. 44 del 2012), con l’art. 2873 ter c.c., che aveva equiparato i crediti dello Stato attinenti alle risorse proprie tradizionali di cui alla decisione del Consiglio 7 giugno 2007, n. 2007/436/CE/Euratom, art. 2, par. 1, lett. a), ai crediti dello Stato per IVA; nella pronuncia si è chiarito che viene fugato “l’equivoco, ospitato anche nel ricorso, per cui la estrinsecazione della tutela privilegiata nella fase esecutiva ne permetterebbe l’assimilazione alle norme processuali, ben evidenziando invece che la precisazione fa solo riferimento al momento realizzativo del credito, ove operano le regole della graduazione e dunque della disciplina di concorso fra creditori, mentre il fondamento della causa di prelazione, di natura sostanziale, è una qualità del credito, propria della sua causa; ciò non consente che una inevitabile proiezione processuale muti in propriamente processuale la natura del diritto di credito”;

7. d’altro canto, è stato affermato, anche da ultimo, che “il privilegio, quale eccezione alla par condicio creditorum, riconosce una preferenza ad alcuni creditori e su certi beni, nasce fuori e prima del processo esecutivo, ha natura sostanziale e si trova in rapporto di accessorietà con il credito garantito poiché ne suppone l’esistenza” (Cass. n. 15724/2019); può cioè confermarsi che la norma attributiva del privilegio configura, dettando la regola volta a dirimere il conflitto con altri creditori, un peculiare statuto di preferenzialità soggettiva la cui estrinsecazione nella sede processuale volge all’affermazione esterna proprio di quel diritto che già appartiene al suo titolare e di cui questi può disporre, omettendo – se crede – di farlo valere; tant’e’ che, ad esempio, per la partecipazione utile allo stato passivo, la L. Fall., art. 93 comma 3 n. 4, prescrive al creditore di indicare un titolo di prelazione, somministrando una regola che, dettata per l’accesso al concorso, presuppone una qualità del credito che andrà autonomamente accertata dal giudice solo se investito della domanda così qualificata, non bastando che il credito astrattamente rientri tra quelli privilegiati; così come è ampiamente possibile che il medesimo accertamento sia invocato, in una sede extraconcorsuale, dal creditore cui tale posizione soggettiva sia disconosciuta nel concordato preventivo; e, parimenti, di essa dovrà tener conto anche il liquidatore ai sensi dell’art. 2495 c.c., per quanto non sia processuale il contesto ripartitorio dell’attivo, vigendo ivi il principio per cui egli “ha il dovere di procedere a un’ordinata liquidazione del patrimonio sociale, pagando i debiti secondo il principio della “par condicio creditorum”, pur nel rispetto dei diritti di precedenza dei creditori aventi una causa di prelazione” (Cass. n. 521/2020);

8. pari non decisività, come anticipato, assumono i richiami ad un passo di Corte Cost. n. 170/2013, la cui non pertinenza è stata ripetuta da Cass. n. 36755/2021 ove ha osservato che, dichiarando l’incostituzionalità del D.L. n. 98 del 2011, art. 23, comma 37, ultimo periodo, che estendeva retroattivamente l’applicabilità del regime dei privilegi erariali di cui al novellato art. 2752 c.c., anche nelle procedure fallimentari in cui lo stato passivo esecutivo fosse già divenuto definitivo, la pronuncia si è infatti occupata esclusivamente della citata previsione (“la disposizione si osserva anche per i crediti sorti anteriormente all’entrata in vigore del presente decreto”) e, appunto, del comma 40, nella parte in cui faceva retroagire estensivamente il privilegio ai crediti erariali derivanti dall’IRES (imposta sui redditi delle società) e da sanzioni tributarie relative a determinate imposte dirette; ad avviso della Corte costituzionale, “secondo i principi generali delle procedure fallimentari, l’introduzione di un nuovo privilegio da parte del legislatore deve sempre ricevere immediata applicazione da parte del giudice delegato, dal momento che le norme processuali sulla gradazione dei crediti si individuano avendo riguardo al momento in cui il credito viene fatto valere. Dunque, una previsione come quella contenuta nel comma 37, non può avere altro significato che quello di estendere retroattivamente l’applicabilità della nuova regola, oltre ai casi consentiti in base ai principi generali e cioè a quelli in cui lo stato passivo esecutivo è già definitivo”; si tratta di osservazione ripresa poi nella più recente Corte Cost. n. 176/2017, che ha a sua volta ulteriormente delimitato – per violazione dell’art. 117 Cost., comma 1, in relazione all’art. 6 CEDU, – la portata retroattiva del D.L. n. 98 del 2011, art. 23, comma 39, ultimo periodo, (conv., con modif., nella L. n. 111 del 2011), in forza del quale il privilegio sussidiario sul prezzo degli immobili del debitore esecutato, attribuito ai crediti dello Stato per imposte dirette dall’art. 2776 c.c., comma 3, come modificato dallo stesso art. 23, comma 39, è destinato a ricevere immediata applicazione da parte del giudice procedente anche con riguardo a crediti che – sorti anteriormente alla data di entrata in vigore del D.L. n. 98 del 2011, disciplinante quel privilegio – vengano fatti valere, in concorso con altri – ed ancora una volta in un momento successivo; l’intervento correttivo è omologo e di completamento delimitativo della portata retroattiva della disciplina del privilegio, al pari della pronuncia n. 170 del 2013, entrambe versando in tema di trattamento e graduazione prelatizia espressamente investite però dal legislatore – diversamente dal caso qui in esame – di efficacia retroattiva e tutte e due censurate per illegittimità costituzionale;

9. ed infatti, non per la prima volta il legislatore ha fissato la regola della retroattività delle norme attributive di privilegi, come nella L. 29 luglio 1975, n. 426, che ha introdotto l’art. 2751 bis c.c., la quale stabilì all’art. 15, che “Le disposizioni dei precedenti articoli si osservano anche per i crediti sorti anteriormente all’entrata in vigore della presente legge. Esse si applicano altresì se il privilegio è stato fatto valere anteriormente qualora la procedura sia ancora in corso al momento dell’entrata in vigore della legge stessa”; proprio tale ultimo accorgimento ha consentito così di mediare tra la retroattività (sorta non in via interpretativa, ma per esplicita e selettiva scelta del legislatore) e il limite delle situazioni soggettive già tutelate dal giudicato (protette ove la domanda non fosse stata coltivata e pendente al momento della nuova vigenza espansiva); non casualmente, il meccanismo di esercizio del diritto nuovo e di corrispondente autoprotezione dei diritti di credito già ammessi nelle sedi esecutive ha rinvenuto la stessa regola di composizione nel D.L. n. 98 del 2011, quale sopravvissuta alle citate pronunce di incostituzionalità; così Cass. 24587/2019 ha potuto chiarire che “il privilegio generale sui mobili per i crediti erariali deve essere riconosciuto anche per il periodo antecedente alla novella dell’art. 2752 c.c., comma 1, introdotta dal D.L. n. 98 del 2011, art. 23, comma 37, conv. con modif. dalla L. n. 111 del 2011, purché sia ancora in corso il procedimento di accertamento del passivo e il creditore istante abbia formulato tempestivamente – dopo l’entrata in vigore della riforma (6 luglio 2011) – la relativa domanda di riconoscimento del rango privilegiato”;

10. ed allora, ai fini di entrambe le pronunce della Consulta che hanno rimosso il travolgimento del giudicato endofallimentare ovvero la parificazione coattiva dello Stato con altri creditori pregressi privilegiati, la sopra citata considerazione non ha assunto decisività, come vorrebbe anche in tal sede il ricorrente, in primo luogo perché ciò che è stato rimosso dall’ordinamento è appunto un effetto espansivo estremo di una regola di espressa retroattività senza che il riferimento, meramente ricognitivo del diritto vivente in tema di operatività delle cause di prelazione, fosse stato investito in quanto tale dal giudice remittente; né, peraltro, il riferimento ai “principi generali del diritto fallimentare”, proprio perché non corrispondente ad un sicuro o comunque attuale formante proprio della giurisprudenza di legittimità, può assumere in quanto tale, per come singolarmente cristallizzato, vincolatività piena e diretta nella ricognizione interpretativa di una norma, come quella istitutiva del privilegio dell’art. 2783 ter c.c., nuova e diversa da altra meramente ridisciplinante il posizionamento graduativo di un credito già di per sé assistito dal medesimo privilegio (nel caso, generale mobiliare); la vicenda è analoga a quanto innovato con la L. n. 205 del 2017, art. 1, comma 474, che ha istituito il privilegio generale mobiliare anche per i crediti IVA e il contributo integrativo alla cassa previdenziale;

11. in secondo luogo, la predetta ricognizione, in quanto funzionale ad un controllo di costituzionalità su una particolare intensa attitudine normativa della retroattività del diritto nuovo, non appare in ogni caso vincolante per l’interprete laddove ad essa ci si intenda rivolgere per uno scrutinio sulla portata solo eventualmente retroattiva di un altro diritto nuovo, esordito in disciplina del tutto e pacificamente priva di espressa previsione di diritto intertemporale siffatto, infatti insussistente con riguardo all’art. 2783 ter c.c., così come nel novellato art. 2751 bis c.c., n. 2; tanto più che, aggiunge il collegio, i principi di Cass. s.u. n. 5685/2015 depongono, in una con la natura sostanziale di ogni (anche nuovo) privilegio, per la relativa applicazione solo per il futuro, in difetto di una espressa deroga al canone dell’art. 11 preleggi, imponendosi essi in termini più persuasivi altresì rispetto alla ricognizione parziale operata nella successiva pronuncia di Corte Cost. n. 176/2017;

12. nessun argomento dirimente è poi recato dalla più recente Corte Cost. n. 1/2020, assimilabile ad una sentenza interpretativa di rigetto resa su una ordinanza di rimessione ripresa nella trattazione del ricorso; se è vero che in essa la ratio di “riallineamento” nella graduazione del credito IVA e di contribuzione previdenziale viene chiarita riguardo al credito principale del professionista con dilatazione, per effetto del richiamo alla precedente Corte Cost. 1 del 1998, a tutti i prestatori d’opera, dopo l’espunzione della limitazione alla attività intellettuale, l’unica osservazione accostabile alla presente controversia (p. 2 delle considerazioni in diritto) non esprime la medesima portata; la Corte infatti dà conto di ben conoscere l’orientamento della giurisprudenza di legittimità culminato nel precedente delle Sezioni Unite n. 5685/2015 e fermo nel riconoscere natura sostanziale alle norme sui privilegi, con conseguente applicazione ordinaria dell’art. 11 preleggi, salvo diversa norma, mentre all’opposto indirizzo fatto proprio dal giudice di merito remittente (e cioè l’estensione retroattiva del privilegio anche ai crediti sorti prima della disposizione istitutiva) ha solo assegnato il valore di una tesi “plausibile”, al limitato fine di riconoscere rilevanza alla questione (poi in realtà ritenuta infondata) e dunque iniziale ammissibilità;

13. né la Corte costituzionale poteva nel frangente operare una ricognizione cogente, oltre la vicenda trattata e i circoscritti scopi di scrutinio iniziale della ordinanza remittente, stante la non centralità della questione del diritto vivente in materia che, com’e’ noto, la stessa Consulta assegna primariamente alla descrizione consapevole di esso fattane proprio dalle Sezioni Unite; così, da ultimo, Corte Cost. n. 13/2022, ha ripetuto che “le pronunce delle Sezioni unite, investite dal primo presidente delle questioni di massima di particolare importanza e dei contrasti rimessi dalle sezioni semplici, costituiscono la forma più elevata e autorevole di esercizio della funzione nomofilattica demandata dal R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 65, (Ordinamento giudiziario) alla Corte di cassazione, alla quale tale norma assegna la missione di assicurare “l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge”, nonché “l’unità del diritto oggettivo nazionale” e quindi la certezza del diritto”;

14. trova conclusivamente applicazione l’orientamento, cristallizzato dalle Sezioni Unite nel 2015 relativamente alla novella inerente al privilegio artigiano, ripetuto in materia da Cass. n. 22593/2015, n. 13887/2017 e n. 28795/2018, nonché per il credito dell’art. 2783-ter c.c., da Cass. n. 36755/2021, per quello delle cooperative da Cass. n. 38363/2021 e che si ritiene possa avere applicazione generale, riscontrata l’identica assenza, nei casi considerati, di riferimenti espressi ad una diversa efficacia retroattiva fissata inequivocamente con la stessa norma istitutiva; ne consegue la corretta adozione, nel decreto impugnato, dell’indirizzo, più volte espresso da questa Corte (tra cui Cass. 1064/2017), circa la non configurabilità – ratione temporis – del privilegio speciale ai crediti di causa;

il ricorso è dunque infondato, con condanna del ricorrente alle spese del procedimento secondo le regole di soccombenza e del cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u. n. 4315/2020).

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento di legittimità, liquidate in Euro 7.500, oltre ad Euro 200 per rimborso, alla misura forfettaria del 15% sul compenso e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 1 marzo 2022.

Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2022

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