Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6907 del 25/03/2011

Cassazione civile sez. trib., 25/03/2011, (ud. 15/12/2010, dep. 25/03/2011), n.6907

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. FERRARA Ettore – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 13575/2006 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

Z.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 18/2005 della COMM. TRIB. REG. di VENEZIA,

depositata il 18/04/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/12/2010 dal Consigliere Dott. GIOVANNI GIACALONE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per l’accoglimento per quanto di

ragione.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

La controversia trae origine dall’impugnazione proposta dal contribuente avverso l’avviso di accertamento emesso per la rettifica dell’imponibile ai fini delle imposte dirette per i periodi d’imposta 1995, 1996 e 1997. In questa sede rileva, in particolare, la contestazione relativa alla mancata contabilizzazione di ricavi, conseguente alla rilevazione di prelevamenti da conti correnti non adeguatamente giustificati dal contribuente. L’adita C.T.P. accoglieva, sul punto, il ricorso. L’Ufficio proponeva appello incidentale, assumendo che il contribuente non aveva superato la presunzione posta dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, non avendo indicato i beneficiari dei prelievi, nè dimostrato che essi non fossero rilevanti ai fini reddituali.

La C.T.R., con la sentenza indicata in epigrafe, invece, ritenuto erroneo detto assunto, respingeva l’appello della parte erariale, reputando che il citato art. 32 “significa soltanto che occorre comunque tenere conto ai fini dell’accertamento dei prelievi e ciò è accaduto nella specie perchè, con la decisione impugnata, non si è tenuto conto dei prelievi ai fini di ridurre l’entità del reddito imponibile come dovrebbe essere senza la disposizione invocata”.

L’Agenzia delle entrate chiede la cassazione della sentenza sopra indicata, in forza di un unico articolato motivo; il contribuente non ha svolto attività difensiva.

L’Agenzia – deducendo plurima violazione e falsa applicazione di norme di legge (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, art. 2909 c.c. artt. 112, 115 e 116 c.p.c., D.P.R. n. 917 del 1986, art. 51, D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7), dei principi in materia di prova e di società, nonchè motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria su punto decisivo – lamenta che la C.T.R., confermando la sentenza di primo grado, avrebbe erroneamente affermato che gli importi di cui ai prelevamenti dai conti bancari, in mancanza del richiamato art. 32, comma 2, dovrebbero essere tout court considerati costi per acquisti, contrariamente a quanto risulta dalla lettera e dalla ratio di essa, secondo cui vengono presunti ulteriori ricavi (in aggiunta a quelli derivanti dai versamenti “non giustificati”), sicchè non avendo il contribuente fornito alcuna prova idonea a vincere detta presunzione, la C.T.R. avrebbe dovuto confermare l’atto impositivo in cui l’importo dei prelievi era stato incluso nel reddito imponibile, non avendo, peraltro, motivatamente accertato che il contribuente avesse fornito detta prova contraria.

La censura è fondata, nei termini di seguito precisati. Sussiste, infatti, la lamentata violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32.

La decisione impugnata ha violato le regole desumibili dalla disposizione normativa sopra indicata, sul valore da attribuire a tutti i dati – non solo versamenti, ma anche prelevamenti desunti dalla movimentazione di conti correnti bancari.

Va infatti ribadito che, nel processo tributario, nel caso in cui 1 ‘ accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, è onere del contribuente, a carico del quale si determina una inversione dell’onere della prova, dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non siano riferibili ad operazioni imponibili, mentre l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, per legge, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti (Cass. 26 febbraio 2009 n. 4589). Invero, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 come il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, impone di considerare ricavi sia i prelevamenti, sia i versamenti su conto corrente, salvo che il contribuente non provi che i versamenti sono registrati in contabilità e che i prelevamenti sono serviti per pagare determinati beneficiari, anzichè costituire acquisizione di utili; posto che, in materia, sussiste inversione dell’onere della prova, alla presunzione di legge (relativa) va contrapposta una prova, non un’altra presunzione semplice ovvero una mera affermazione di carattere generale (Cass. 5 dicembre 2007 n. 25365; 5 ottobre 2007 n. 20858; 27 luglio 2007 n. 16720; 13 giugno 2007 n. 13819; 21 marzo 2007 n. 6743;

8 settembre 2006 n. 19330; 23 giungo 2006 n. 14675; 9 settembre 2005 n. 18016; 7267/02; 9103/01).

Ne deriva che la C.T.R. ha impropriamente affermato che si sarebbe tenuto conto dei prelevamenti ai fini dell’accertamento solo perchè i prelevamenti stessi non sono stati considerati “ai fini di ridurre l’entità del reddito imponibile, come dovrebbe essere senza la disposizione invocata”. Prescindendo dalla non brillante espressività, i giudici di secondo grado hanno interpretato l’art. 32.2. D.P.R. cit. nel senso che, in mancanza d’idonea prova da parte del contribuente, i prelevamenti in questione non possono essere considerati quali “costi” deducibili dall’imponibile, mentre essi, lungi dallo svolgere una funzione solo “neutrale” nella determinazione dell’imponibile, sono – come si è visto – da considerare ricavi, come i versamenti, salvo che il contribuente non provi che siano serviti per pagare determinati beneficiari, anzichè costituire acquisizione di utili.

Non assume rilievo, invece, la questione dell’asserita violazione del giudicato interno, per avere la C.T.R. ritenuto l’imponibile rettificato come derivante da reddito di partecipazione, anzichè da reddito d’impresa individuale. La qualificazione del reddito come derivante dall’esercizio d’attività d’impresa sotto la forma di società di fatto non è di ostacolo all’estensione della presunzione di cui all’art. 32 cit. anche ai prelevamenti non giustificati sui conti riferibili alla società. Questa Corte ha avuto modo, infatti, di affermare che la lettera della norma non autorizza l’interpretazione restrittiva prospettata, sia pure in linea subordinata, dall’Agenzia, giacchè l’espressione “singoli dati ed elementi risultanti dai conti”, contenuta nel corpo di frase pacificamente riferibile sia alle imprese che ai lavoratori autonomi, comprende i prelevamenti (Cass. n. 11750/08, in motivazione). Nella specie, la rettifica ha utilizzato legittimamente, pertanto, la presunzione ricavabile dai risultati dell’indagine bancaria, che, secondo l’interpretazione letterale della norma in esame, consiste nella rilevazione dei dati e degli elementi reperibili nei conti (prelevamenti compresi); ferma restando la possibilità di prova contraria da parte del contribuente (v. giurisprudenza citata).

La fondatezza dei riferiti profili MATERIA TRIBUTARIA dell’articolato motivo assorbe ogni decisione in ordine agli altri aspetti della censura.

A seguito dell’accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, con il rigetto del ricorso introduttivo del contribuente.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo; mentre ricorrono giusti motivi, tenuto conto della peculiarità della fattispecie, per compensare integralmente tra le parti le spese delle fasi di merito.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente. Compensa le spese delle fasi di merito e condanna la parte contribuente al pagamento di quelle del presente giudizio, che liquida in Euro 10.000= (diecimila) oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2011

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