Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6906 del 11/03/2019

Cassazione civile sez. II, 11/03/2019, (ud. 23/11/2018, dep. 11/03/2019), n.6906

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi – Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6119-2015 proposto da:

C.S. S.R.L., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO BETOLONI

44/46, presso lo studio dell’avvocato XAVIER SANTIAPICHI, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

COMUNE VITERBO in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e

difeso dall’avvocato CHIARA TRAPANI;

M.S., + ALTRI OMESSI, elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA ANASTASIO II N. 79, presso lo studio dell’avvocato MARCO

SABATINI, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

e contro

SOCIETA’ ALTO 2 A RL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 4751/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 15/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/11/2018 dal Consigliere ANTONINO SCALISI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

S.I., + ALTRI OMESSI, con atto notificato il 6/5/2005, convenivano in giudizio, davanti al Tribunale di Viterbo, la srl C.S., esponendo che dal salumificio di quest’ultima pervenivano nelle loro abitazioni, site nell’edificio condominiale di (OMISSIS), dei rumori intollerabili provocati dagli impianti di ventilazione/refrigerazione collocati lungo il muro perimetrale dello stabilimento.

Chiedevano al giudice adito di voler ordinare la cessazione delle immissioni ovvero l’adozione delle misure idonee a mantenerle nei limiti della normale tollerabilità, condannando in ogni caso la convenuta al risarcimento di tutti i danni subiti.

Si è costituita la srl C.S., contestando l’intollerabilità delle immissioni, a proposito delle quali ha comunque precisato che l’opificio preesisteva al condominio e che prima di edificarlo, la società costruttrice Alto 2 avrebbe dovuto presentare una valutazione previsionale del clima acustico, che in caso d’inerzia dell’obbligata avrebbe dovuto essere predisposta in sua vece dal Comune di Viterbo. Poichè nè l’uno nè l’altro vi avevano invece provveduto e poichè sì trattava di un adempimento finalizzato ad “adottare, nel licenziando immobile, tutte le misure necessarie ad insonorizzare lo stabile”, pertanto richiedeva l’autorizzazione a chiamarli in causa, onde essere da loro manlevata nella denegata ipotesi di accoglimento della domanda attrice.

Il giudice ha provveduto in conformità e si sono costituiti sia il Comune che la srl Alto 2, negando entrambi qualsiasi responsabilità.

Nel frattempo, provvedendo su ricorso ex art. 700 c.p.c. degli attori, il giudice adito aveva nominato CTU, affidando l’incarico all’esperto Ma.Fr.. Costui dava atto che la società C. aveva effettuato alcuni lavori al fine di modificare le emissioni di rumore e dava dato corso alle misurazioni e dopo averle ripetute in data 17/10/2005 ha concluso affermando che nel periodo notturno, il rumore prodotto dal funzionamento degli impiantì a servizio della C.S. superava il valore limite assoluto di immissione stabilito per le zone Q dal D.P.C.M. 1 marzo 1991, art. 6, comma 1.

Lo stesso CTU su richiesta del Giudice provvedeva ad indicare le opere necessarie per ricondurre le immissioni nei limiti di tollerabilità stabiliti dall’anzidetta normativa. Successivamente dopo ulteriori rilievi dovuti a lavori effettuati dalla società C. il CTU specificava che applicando il criterio della normale tollerabilità (che prevedeva il confronto del rumore prodotto dalla sorgente indagata con il rumore di fondo), le immissioni superavano il valore limite per tutti gli ambienti campionati sia nel periodo diurno che in quello notturno (salvo la camera da letto dell’appartamento Quinto in periodo diurno ed a finestre aperte).

Esaurita la fase istruttoria il Tribunale di Viterbo, con sentenza n. 4 del 2010, accoglieva le domande attoree.

Avverso tale sentenza interponeva appello la società C.S. srl, veniva disposto ulteriore accertamento tecnico.

Esaurita la fase istruttoria la Corte di Appello di Roma con sentenza n. 4751 del 2014 rigettava l’appello e condannava l’appellante al pagamento delle spese del giudizio. Secondo la Corte territoriale accertato che i rumori di cui si dice superano la normale tollerabili vanno rimossi quale che sia la tecnica che si voglia porre in essere o intervenendo direttamente sul fabbricato o eliminando le stesse fonti del rumori anche interrompendo il processo lavorativo. Il risarcimento del danno determinato dal Tribunale non era eccesivo tenuto conto della natura delle molestie nonchè alle conseguenze e alla durate delle stesse.

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta dalla società C.S. srl con ricorso affidato a sei motivi. S.I., + ALTRI OMESSI hanno resistito con controricorso. Ha resistito con autonomo controricorso il Comune di Viterbo. La ricorrente ed il Comune di Viterbo hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.= la società C.S. lamenta:

a) Con il primo motivo di ricorso, la violazione e falsa applicazione dell’art. 844 c.c. in combinato disposto con al L. n. 447 del 1995, travisamento dei fatti sotto altro profilo. Difetto di motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). In particolare, la ricorrente lamenta l’esclusione dell’applicabilità della L. n. 447 del 1992 perchè la stessa perseguirebbe interessi pubblici e non quelli tra privati e, ad un tempo, che si stata ritenuta esente da responsabilità l’Amministrazione ed altresì perchè è stata, comunque, applicato al caso di specie il D.P.C.M. 1 marzo 1991 che fissa i limiti di tollerabilità delle immissioni.

b) Con il secondo motivo, travisamento dei fatti, omessa valutazione della documentazione probatoria prodotta in giudizio. Difetto di motivazione. Illogicità (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). Sostiene la ricorrente la Corte distrettuale non avrebbe preso in considerazione e non avrebbe confutato le critiche mosse dalla C.S. srl alla CTU che, in difformità di quanto accertato dalla Arpa Lazio, aveva rilevato che le immissioni provenienti dai locali gestiti dalla società C.S. superavano quelli previsti dalla normativa di cui al D.P.C.M. 14 novembre 1997.

c) Con il terzo motivo, la violazione falsa applicazione della L. n. 447 del 1995, art. 8, comma 3 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Secondo la ricorrente la Corte distrettuale avrebbe errato nell’escludere l’applicazione della L. n. 477 del 1995, art. 8, comma 3. Piuttosto la sentenza sarebbe illegittima per non aver qualificato lo stabilimento di cui si dice come pubblico servizio e per non aver manlevato (a seguito dell’illegittima declaratoria di intollerabilità delle immissione la C.S. srl dai danni asseritamente patiti dagli attori in primo grado ed esclusivamente addebitabili al Comune di Viterbo ed alla Alto 2 srl per aver omesso la valutazione dell’impatto acustico.

d) Con il quarto motivo, la violazione falsa applicazione dell’art. 844 cod. civ. sotto altro profilo (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Secondo la ricorrente la Corte distrettuale non avrebbe effettuato, giusto il disposto di cui all’art. 844 c.c., comma 2 il contemperamento tra le ragioni della produzione con le ragioni della proprietà in riferimento alla sanzione individuata dal Giudice del merito quale applicabile al caso di specie. In particolare la ricorrente lamenta il fatto che la Corte distrettuale abbia scelto, come sanzione, l’inibitoria, cioè la cessione tout court delle immissioni rumorose e non invece l’esecuzione di opere strutturali sul fabbricato volte a ricondurre le immissioni rumorose entro i limiti della normale tollerabilità.

e) Con il quinto motivo, la violazione del principio del contraddittorio. Violazione dell’art. 111 Cost. Omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Secondo la ricorrente la Corte distrettuale nel decidere la controversia avrebbe fondato il proprio convincimento su una questione di diritto non affrontata dalle parti nè eccepita in giudizio. La questione cui si riferisce la ricorrente riguarda il titolo del rapporto se reale o personale che la C.S. avrebbe con l’immobile destinato alla trasformazione delle carni suine. Ed, in particolare, secondo la ricorrente, il Tribunale, avallato dalla Corte distrettuale, avrebbe sollevato la questione di ufficio rilevando che nessuna delle parti aveva dedotto che la C. fosse proprietaria del fabbricato ove si trova lo stabilimento traendo da questa emergenza istruttoria l’impossibilità di condannare la C.S. all’esecuzione di opere strutturali sul fabbricato posto che tale domanda andava proposta contro il proprietario.

f) Con il sesto motivo, la violazione di legge. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c.. Omessa pronuncia. Travisamento dei fatti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). In particolare, la ricorrente la menta la mancata considerazioni delle eccezioni formulate dall’appellante in ordine all’ammissione e alla liquidazione del risarcimento del danno, indiscriminatamente, in favore di tutti gli attori senza tener conto che per molti appartamenti non era stata effettuata alcuna rilevazione e, dunque, non era stato provato alcun danno, e per altri del mancato godimento dell’immobile. Il Tribunale di Viterbo ha illegittimamente equiparato tutte le posizioni riconoscendo a ciascuno dei 12 attori un risarcimento di Euro 7.500,00 per un importo complessivo di Euro 90.000,00. Piuttosto, secondo la ricorrente la Corte distrettuale avrebbe dovuto verificare la sussistenza del nesso causale tra il fatto dannoso e l’evento valutando tutti gli elementi utili a determinare la intollerabilità delle immissioni sonore e la loro concreta incidenza sul determinato evento.

1.1.a) Il primo ed il terzo motivo che per la loro innegabile connessione vanno esaminati congiuntamente sono infondati.

Questa S.C. ha avuto, più volte, occasione di affermare che le leggi ed i regolamenti che disciplinano le attività produttive e che fissano le modalità di rilevamento dei rumori ed i limiti massimi di tollerabilità in materia di immissioni perseguono interessi pubblici, disciplinando in via generale ed assoluta i livelli di accettabilità delle immissioni al fine di assicurare alla collettività il rispetto di livelli minimi (cfr. sent. Cass. 23754 del 2018, Cass. 2319 del 2011, Cass. n. 1151 del 2003). Ciò significa che il superamento di tali livelli è senz’altro illecito, mentre l’eventuale non superamento non può considerarsi senz’altro lecito, dovendo il giudizio sulla loro tollerabilità essere effettuato alla stregua dei principi stabiliti dall’art. 844 c.c..

La sentenza impugnata, ha, correttamente, seguito tali principi avendo specificato che “(….) alla materia delle immissioni sonore o da vibrazioni o scuotimenti atte a turbare il bene della tranquillità nel godimento degli immobili adibiti ad abitazione, non è applicabile la L. 26 ottobre 1995, n. 447, sull’inquinamento acustico, poichè tale normativa, come quella contenuta nei regolamenti locali, persegue interessi pubblici disciplinando, in via generale ed assoluta, e nei rapporti cd verticali fra privati e PA, i livelli di accettabilità delle immissioni sonore al fine di assicurare alla collettività il rispetto di livelli minimi di quiete. Nei rapporti fra privati, infatti, la disciplina delle immissioni moleste in alieno va rinvenuta nell’art. 844 c.c., alla stregua delle cui disposizioni, quand’anche dette immissioni non superino i limiti basati dalle norme d’interesse generale, il giudizio in ordine alla loro tollerabilità va compiuto secondo il prudente apprezzamento del giudice che tenga conto della particolarità della situazione concreta (…)” E, correttamente la Corte territoriale ha avuto modo di specificare, come per altro, afferma la dottrina prevalente, un’interpretazione costituzionalmente orientata della normativa di cui all’art. 844 c.c. impone al giudice di considerare prevalente la tutela della qualità della vita e della salute, nel contemperamento delle esigenze della produzione con le ragioni della proprietà, indipendentemente dalla priorità di un determinato uso.

1.2.= Va qui evidenziato che la Corte distrettuale valorizzando le risultanze della consulenza tecnica di ufficio espletata è pervenuta alla conclusione che i lamentati rumori provenienti dai locali gestiti dalla società C.S. superassero il limiti della normale tollerabilità. Trattasi, come è evidente, di una valutazione di merito, razionalmente accettabile, e come tale non soggetta ad un sindacato di legittimità.

1.3.= Sotto altro aspetto, va qui osservato che la violazione delle norme che regolano l’esercizio dell’ius edificandi, non priva il proprietario di un fabbricato del diritto di avvalersi della tutela apprestata dall’ordinamento a difesa della stessa, ovvero, del diritto a chiedere la cessazione di rumori provenienti dal fondo altrui che superano la normale tollerabilità. Senza considerare che nel caso in esame la L. n. 477 del 1995, art. 8, comma 3 non è applicabile, al caso in esame, avendo la Corte distrettuale accertato che i motori disturbanti servono quasi totalmente a soddisfare le necessità dello stabilimento anzichè quelle del punto vendita e lo stabilimento non rientra tra le categorie di immobili indicati dall’art. 8 richiamato.

1.b) Infondato è anche il secondo motivo.

Va premesso che il compito di valutare le prove e di controllarne l’attendibilità e la concludenza – nonchè di individuare le fonti del proprio convincimento scegliendo tra le complessive risultanze del processo quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti – spetta in via esclusiva al giudice del merito; di conseguenza la deduzione con il ricorso per Cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata, per omessa, errata o insufficiente valutazione delle prove, non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, restando escluso che le censure concernenti il difetto di motivazione possano risolversi nella richiesta alla Corte di legittimità di una interpretazione delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito. E, nel caso in esame, la Corte distrettuale, come emerge con chiarezza dalla sentenza impugnata, ha avuto modo di valutare la documentazione prodotta dalla società C.S. e aver ritenuto che tale documentazione non era in grado di dimostrare l’inattendibilità dei dati processuali ed in primo luogo della CTU nè di superare l’accertata intollerabilità dei rumori provenienti dai locali gestiti dalla società C..

1.d) Il motivo è inammissibile perchè, frutto di una lettura superficiale della sentenza, non coglie l’effettiva ratio decidendi. Infatti, la sentenza afferma che “(….) il giudice a quo ha imposto alla convenuta un obbligo di risultato che l’interessata potrà raggiungere come crede purchè lo faccia E, quindi, non soltanto con l’interruzione del lavoro, ma pure con l’esecuzione delle opere opportune o le possibili sostituzioni capaci di riportare nella normale tollerabilità le immissioni (che secondo quanto affermato per la prima volta a pag. 3 e ss. della comparsa conclusionale della C.S., sarebbero già state ulteriormente ridotte per mezzo di una serie di interventi eseguiti nel marzo 2013 (…)”. La Corte distrettuale, dunque, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, ha lasciato ampia discrezionalità alla C. di scegliere le modalità per determinare la cessazione delle immissioni da rumore intollerabili purchè quelle immissioni cessano. D’altra parte, la domanda di cessazione delle immissioni che superino la normale tollerabilità non vincola necessariamente il giudice ad adottare una misura determinata, ben potendo egli ordinare l’attuazione di quegli accorgimenti che siano concretamente idonei a eliminare la situazione pregiudizievole (cfr. Cass. n. 21504 del 2018).

Le) Infondato è il quinto motivo dovendo considerare che la Corte distrettuale ha imposto alla società un obbligo di risultato che essa poteva raggiungere come credeva e, dunque, eseguendo anche opere strutturali sia inamovibili che amovibili. La questione cui si riferisce la ricorrente non ha comportato sviluppi di lite, non presi in considerazioni tra le parti, e non ha implicato un mutato quadro della materia del contendere o diversa qualificazione dei fatti operata d’ufficio. L’eccezione di lesione del diritto di difesa è, dunque, insussistente, sia perchè non vi è stato nessun mutamento della materia del giudizio, e sia pure perchè l’eventuale dibattito sul punto non avrebbe potuto comportare conseguenze diverse da quelle assunte dalla Corte territoriale. In verità, la Corte ha accertato l’esistenza di immissioni intollerabili ed ha imposto che tali immissioni cessassero ad opera dell’autore delle stesse.

1.f) Infondato, infine, è anche il sesto motivo, non solo perchè si risolve nella richiesta di una nuova e diversa valutazione dei dati processuali non proponibile nel giudizio di cassazione deputato a verificare la legittimità della sentenza in diritto, ma, soprattutto, perchè la decisione impugnata è coerente con il consolidato orientamento di questa Corte. Come ha avuto modo di affermare, la sentenza impugnata “(….) le modalità di scelta dei locali campione ed i risultati dei rilievi consentono di ritenere provato che le immissioni rumorose abbiano riguardato tutti gli attuali appellati (…)”. E, il Tribunale già prima (come viene riportato dalla sentenza impugnata pag. 9) aveva avuto modo di specificare che “(….) in ogni caso, poi, la differenza fra il rumore prodotto dall’impianto della convenuta ed il rumore di fondo è all’interno degli appartamenti degli attori quasi sempre superiore q 3 dl e solo nell’appartamento di Q.F. tale differenza effettuando la misurazione a finestre aperte ed in periodo diurno è risultata inferiore a tre dl. Appare quindi provato che le immissioni rumorose sono superiori ai limiti fissati dai regolamenti attualmente vigenti e sono comunque superiori alla normale tollerabilità (…..)”. E’ evidente, dunque, che si tratta di una valutazione di merito, i cui dati fondamentali sono rappresentati dalla specifica scelta dei locali e dai risultati dei rilievi le cui caratteristiche non hanno lasciato dubbi, alla Corte territoriale, che le immissioni avessero riguardato tutti gli appellati. E sul punto la ricorrente non solo non riporta la consulenza tecnica laddove vengono indicati i risultati dei rilievi e la collocazione dei locali prescelti, nell’ambito del fabbricato, ma non offre neppure elementi idonei a superare la considerazione della Corte distrettuale, in ordine ai risultati, limitandosi solo a denunciare che nessun accertamento era stato effettuato a carico di alcuni appartamenti.

1.f.2.= Quanto al quantum del danno va qui precisato che l’accertamento del superamento della soglia di normale tollerabilità di cui all’art. 844 c.c., comporta nella liquidazione del danno da immissioni, sussistente in “re ipsa”, l’esclusione di qualsiasi criterio di contemperamento di interessi contrastanti e di priorità dell’uso, in quanto venendo in considerazione, in tale ipotesi, unicamente l’illiceità del fatto generatore del danno arrecato a terzi, si rientra nello schema dell’azione generale di risarcimento danni di cui all’art. 2043 c.c., e specificamente, per quanto concerne il danno alla salute, nello schema del danno non patrimoniale risarcibile ai sensi dell’art. 2059 c.c. (Cass. n. 5844/07; n. 20668/10).

Trattandosi di danno non patrimoniale, il giudice ha correttamente proceduto alla liquidazione equitativa del danno. Come ha avuto modo di specificare il tribunale (pag. 11 sentenza impugnata) condiviso dalla Corte distrettuale “(….) può essere accolta la domanda di risarcimento danni proposta dagli attori ai sensi dell’art. 2043 c.c. in quanto le immissioni rumorose prodotte dalla convenuta hanno pregiudicato gli attori nella facoltà di godimento dei loro immobili e, comunque, hanno arrecato disturbo al loro riposo e alle loro occupazioni. Tale danno può essere fissato in forma equitativa in Euro 7.500,00 per ciascun attore considerato anche il lungo lasso di tempo in cui le immissioni rumorose sono state prodotte (…)”.

1.f.3.= Quanto poi alla contestata mancata graduazione del danno imposto alla C.S. srl va qui confermato quanto già indicato dalla stessa Corte distrettuale e cioè che “(…) il risarcimento ad ognuno di loro accordato non appare eccessivo ove si tenga mente alla natura delle molestie, nonchè alle conseguenze e alla durata delle stesse (…) che come valutazione di merito, razionalmente condivisibile, non è soggetta ad un sindacato di legittimità.

In definitiva, il ricorso va rigettato e la ricorrente in ragione del principio di soccombenza ex art. 91 condannata a rimborsare a ciascuna parte controricorrente le spese del presente giudizio che vengono liquidate con il dispositivo. Il Collegio dà atto che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso condanna la ricorrente a rimborsare a ciascuna parte controricorrente le spese del presente giudizio che liquida in Euro 4.200,00 di cui Euro. 200, 00 per esborsi per i controricorrenti S.I. più 11 e in Euro 5.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi per il Comune di Viterbo, oltre (per ciascuna parte controricorrente) le spese generali pari al 15% del compenso ed accessori come per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modif. dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile di questa Corte di Cassazione, il 23 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2019

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