Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6905 del 22/03/2010

Cassazione civile sez. I, 22/03/2010, (ud. 28/01/2010, dep. 22/03/2010), n.6905

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

A.A.M. (C.F. (OMISSIS)), nella qualità di

familiare di LONGOBARDI ANGELINA, domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata

e difesa dall’avvocato MARRA ALFONSO LUIGI, giusta procura a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI;

– intimata –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositato il

14/02/2006, n. 920/05 R.G.A.D.;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/01/2010 dal Consigliere Dott. MARIA CRISTINA GIANCOLA;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LUIGI RIELLO che chiede che la Corte di Cassazione, in Camera di

consiglio, dichiari inammissibile il ricorso in relazione ai motivi

1, 10, 12 e 15; lo rigetti per manifesta infondatezza quanto ai

motivi 2, 3, 4, 1, 8, 9 e lo accolga per manifesta fondatezza quanto

ai restanti motivi (5, 6, 11, 13, 14, 16, 17).

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 13.09.2005, A.A.M. adiva la Corte di appello di Napoli chiedendo che la Presidenza del Consiglio dei Ministri fosse condannata a corrisponderle l’equa riparazione prevista dalla L. n. 89 del 2001, per la violazione dell’art. 6, sul “Diritto ad un processo equo”, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata e resa esecutiva con la L. 4 agosto 1955, n. 848.

Con decreto del 23.12.2005 – 14.02.2006, l’adita Corte di appello, nel contraddittorio delle parti, condannava la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore dell’istante della somma di Euro 1.500,00 nonchè al pagamento delle spese processuali, liquidate in complessivi Euro 234,35, di cui Euro 43,10 per esborsi, Euro 60,00 per diritti ed Euro 110,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, spese distratte in favore del difensore antistatario. La Corte osservava e riteneva, tra l’altro:

– che l’ A. aveva chiesto l’equa riparazione del danno subito per effetto dell’irragionevole durata del processo amministrativo in tema di provvidenze previste dalla L.R n. 11 del 1984, art. 26, introdotto con ricorso depositato l’11.04.2000, dinanzi al TAR Campania ed ancora pendente in primo grado, nonostante la presentazione di 2 istanze di prelievo;

– che la durata ragionevole del primo grado di detto processo amministrativo, poteva essere fissata in anni tre, secondo l’orientamento CEDU, mentre invece si era già protratto all’attualità per circa 5 anni e 9 mesi;

– che per il periodo d’irragionevole ritardo di definizione, quantificabile in due anni e nove mesi, l’indennizzo da riferire al solo danno morale, doveva essere equitativamente liquidato all’attualità nella misura di Euro 1.500,00.

Avverso questo decreto l’ A. ha proposto ricorso per Cassazione, notificato il 30.03.2007. La Presidenza del Consiglio dei Ministri non ha svolto attività difensiva.

La causa è stata fissata per l’esame in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c..

Il Pubblico Ministero ha concluso per la declaratoria d’inammissibilità dei motivi nn. 1, 10, 12 e 15, per il rigetto per manifesta infondatezza dei motivi nn 2, 3, 7, 8 e 9 e per l’accoglimento per manifesta fondatezza dei restanti motivi nn. 5, 6, 11, 13, 14, 16 e 17.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Riassuntivamente ed in sintesi, con il ricorso l’ A. denuncia violazioni di legge e vizi motivazionali e chiede l’annullamento del decreto impugnato, in applicazione delle rubricate disposizioni normative e dei relativi principi giurisprudenziali anche sovranazionali, riferiti sia (motivi da 1 a 10) ai criteri di liquidazione del danno morale, che assume esserle dovuto nella misura di Euro 125 per ciascuno dei mesi di protrazione del processo, con integrazione del bonus di Euro 2.000,00, e sia (motivi da 11 a 17) all’insufficienza delle liquidate spese, a suo parere anche immotivatamente ridotte rispetto a quelle richieste con la nota spese depositata nel pregresso grado di merito.

Il ricorso va accolto nei limiti delle argomentazioni che seguono.

Nel caso in disamina la Corte di merito legittimamente non ha correlato l’indennizzo alla durata dell’intero processo, posto che la legge nazionale L. n. 89 del 2001, (art. 2 comma 3, lett. a), con una chiara scelta di tecnica liquidatoria non incoerente con le finalità sottese all’art. 6 della CEDU, impone di riferire il ristoro al solo periodo di durata eccedente il ragionevole (cfr. tra le altre, Cass. 200508568; 200723844). Inoltre si palesa inammissibile e comunque infondata la doglianza con cui si sollecita l’attribuzione dell’indennizzo supplementare di Euro 2.000,00, che non risulta chiesto anche nella fase di merito e che in ogni caso presuppone la particolare gravità del danno in relazione alla posta in gioco, nella specie non evincibile (200917684).

Fondata è, invece, la doglianza concernente l’inadeguatezza dell’indennizzo liquidato per il sofferto danno non patrimoniale, correttamente rapportato al solo periodo di ritardo irragionevole, pari a due anni e nove mesi; al relativo accoglimento consegue anche l’assorbimento delle censure inerenti alla liquidazione delle spese processuali.

Secondo la giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo (sentenze 29 marzo 2006, sui ricorsi n. 63261 del 2000 e nn. 64890 e 64705 del 2001), gli importi concessi dal giudice nazionale a titolo di risarcimento danni possono essere anche inferiori a quelli da essa liquidati, “a condizione che le decisioni pertinenti” siano “coerenti con la tradizione giuridica e con il tenore di vita del paese interessato”, e purchè detti importi non risultino irragionevoli, reputandosi, peraltro, non irragionevole una soglia pari al 45 per cento del risarcimento che la Corte avrebbe attribuito. Pertanto, stante l’esigenza di offrire un’interpretazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, idonea a garantire che la diversità di calcolo non incida negativamente sulla complessiva attitudine ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, evitando il possibile profilarsi di un contrasto della medesima con l’art. 6 della CEDU (come interpretata dalla Corte di Strasburgo), la quantificazione del danno non patrimoniale dev’essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo eccedente il termine di ragionevole durata (cfr cass. 299916086).

Nella specie la determinazione del ristoro del danno non patrimoniale nella ridotta somma di circa Euro 568,10 ad anno di ritardo incongruo, per quanto argomentata, non si pone in relazione ragionevole con quella – tra i 1.000.00 e i 1.500,00 Euro – accordata in sede sovranazionale negli affari consimili.

Accolta, dunque, la censura in questione ben può procedersi sulle esposte premesse, alla cassazione in parte qua dell’impugnato decreto ed alla decisione nel merito del ricorso, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., nessun accertamento di fatti essendo residuato alla cognizione di questa Corte.

Quindi, considerato il periodo d’irragionevole durata del giudizio presupposto, pari a due anni e nove mesi, ed individuato per quanto detto, nella somma di Euro 750,00 ad anno il parametro indennitario di base per la riparazione del subito danno non patrimoniale, devesi riconoscere all’istante l’indennizzo complessivo di Euro 2.070,00 oltre agli interessi legali con decorrenza dalla domanda.

Quanto alla regolamentazione delle spese, a carico della Presidenza del Consiglio dei Ministri va posto il pagamento delle spese del giudizio di merito, liquidate come in dispositivo, adottando la tariffa per processo svoltosi innanzi alla Corte di appello ed in relazione ad attività necessariamente svolte, non risultando il deposito nel pregresso grado della nota spese.

L’esito del ricorso giustifica la compensazione nella misura di 1/2 delle spese del giudizio di legittimità, e la condanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento della residua parte, liquidata come in dispositivo. Spese distratte, in favore dell’Avv.to A.L. Marra antistatario.

P.Q.M.

Accoglie nei limiti di cui in motivazione il ricorso dell’ A., cassa in parte qua il decreto impugnato e decidendo nel merito condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore della ricorrente della somma di Euro 2.070,00, oltre agli interessi legali dalla domanda. Condanna, inoltre, la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore dell’ A. delle spese del giudizio di merito, liquidate in complessivi Euro 840,00 (di cui Euro 310,00 per diritti ed Euro 50,00 per esborsi), oltre alle spese generali ed agli accessori di legge. Compensa, infine, nella misura di 1/2 le spese del giudizio di legittimità e condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore della ricorrente della residua parte, che liquida in complessivi Euro 300,00 (di cui Euro 250,00 per onorari), oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, spese tutte da distarsi in favore in favore dell’Avv.to A.L. Marra antistatario.

Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2010

 

 

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