Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6905 del 11/03/2021

Cassazione civile sez. I, 11/03/2021, (ud. 17/11/2020, dep. 11/03/2021), n.6905

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 14898 r.g. proposto da:

B.M., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato

Sergio Biondino, presso il cui studio è elettivamente domiciliato

in Milano, Via Oldrado da Tresseno n. 4;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore il Ministro, rappresentato e difeso, ex

lege, dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici in

Roma, Via dei Portoghesi n. 12 è elettivamente domiciliato;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano, depositata in

data 18.2.2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/11/2020 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Milano ha rigettato l’appello proposto da B.M., cittadino della (OMISSIS), nei confronti del Ministero dell’Interno, avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Milano, con la quale erano state respinte le domande di protezione internazionale ed umanitaria avanzate dal richiedente.

La Corte di merito ha ricordato, in primo luogo, la vicenda personale del richiedente asilo, secondo quanto riferito da quest’ultimo; egli ha infatti narrato: i) di essere nato in (OMISSIS) e di essere di etnia (OMISSIS); ii) di essere stato affidato dal padre in tenera età ad una donna del (OMISSIS) per essere sottratto ad una condizione di schiavitù cui erano stati assoggetto stesso padre e gli altri componenti della sua famiglia; iii) di aver lasciato, a quindici anni, il (OMISSIS) per trasferirsi nella capitale della (OMISSIS), (OMISSIS), ove aveva svolto il mestiere di facchino; iv) di essere tornato nel 2014 nella casa paterna a (OMISSIS) ove, dopo la morte del padre in un incidente stradale, era stato costretto a lavorare come pastore per lo stesso datore di lavoro del padre, ridotto in condizione di schiavitù; vii) di essere stato costretto a fuggire dal suo paese per sottrarsi a questa condizione servile cui erano assoggettati tutti gli appartenenti alla etnia (OMISSIS).

La Corte territoriale ha, poi, ritenuto che: a) non erano fondate le domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, sub D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a e b, in ragione della complessiva valutazione di non credibilità del racconto, che risultava, per molti aspetti, non plausibile e lacunoso; b) non era fondata neanche la domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c, in ragione dell’assenza di un rischio-paese riferito alla (OMISSIS), paese di provenienza del richiedente, collegato ad un conflitto armato generalizzato; c) non poteva accordarsi tutela neanche sotto il profilo della richiesta protezione umanitaria, perchè il ricorrente non aveva dimostrato un saldo radicamento nel contesto sociale italiano e perchè non aveva allegato neanche una condizione di soggettiva vulnerabilità.

2. La sentenza, pubblicata il 18.2.2019, è stata impugnata da B.M. con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi. L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 5, lett. c, in riferimento ai parametri normativi di valutazione della credibilità dei richiedenti, nonchè vizio di omesso esame di fatto decisivo, avendo peraltro la corte di merito omesso di compiere l’esame comparativo tra le informazioni provenienti dal richiedente e la situazione personale di quest’ultimo.

2. Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7 e degli artt. 2, 3 e 15 Cedu, nonchè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di fatti decisivi, per la mancata valutazione del pericolo di essere ridotto in schiavitù come appartenente al gruppo etnico (OMISSIS).

3. Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, degli artt. 6, 14, 17 nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, e degli artt. 2 e 3 Cedu, nonchè per omesso esame di fatti decisivi.

4. Il quarto mezzo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, vizio di violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, e dell’art. 10 Cost., comma 3, nonchè motivazione apparente in relazione al diniego dell’invocata protezione umanitaria e alla ritenuta mancanza di una condizione di soggettiva vulnerabilità.

5. Il ricorso è fondato nei limiti di cui qui in motivazione.

5.1 Il primo, secondo e terzo motivo – riguardando l’esame delle medesime questioni – possono essere esaminati congiuntamente e devono essere accolti.

5.1.1 Occorre evidenziare come la motivazione spesa dalla corte territoriale, per giustificare il giudizio di non credibilità del racconto del richiedente, sia da considerarsi come meramente apparente ovvero inesistente.

Sul punto, giova ricordare che, secondo l’orientamento espresso dalla giurisprudenza di vertice di questa Corte di legittimità, la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (così, Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).

5.1.2 Ciò detto, osserva la Corte come la giustificazione dell’assenza del rischio di essere ricondotto in schiavitù del richiedente (come appartenente alla etnia (OMISSIS)) collegata al temporaneo lavoro nella capitale come facchino si risolva, in realtà, in una mancanza assoluta di motivazione, posto che il ricorrente aveva chiarito di essere stato ricondotto ad una condizione servile, come tutti gli altri componenti della sua famiglia, solo dopo essere ritornato nel villaggio del padre a (OMISSIS) e dopo la morte di quest’ultimo, di cui il richiedente aveva preso il posto come pastore alle dipendenze di un arabo proprietario terriero.

5.1.3 Ne consegue che, sulla base delle precise allegazioni contenute nel ricorso introduttivo, i giudici del merito avrebbero dovuto, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, attivare il potere di integrazione istruttoria officiosa per chiarire le condizioni interne della (OMISSIS) e la possibile permanenza di fenomeni di riduzione in schiavitù e di lavoro servile, soprattutto in riferimento alla indicata etnia degli (OMISSIS), senza fermarsi all’elemento di giudizio neutro – peraltro, approfondito solo in sede di commissione e di giudizio di primo grado – dell’esistenza di un movimento abolizionista della schiavitù (OMISSIS).

5.2 Il quarto motivo rimane assorbito.

La decisione sulle spese del presente giudizio di legittimità è rimessa al giudice del rinvio.

P.Q.M.

Accoglie il primo, secondo e terzo motivo di ricorso; dichiara assorbito il quarto; cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Bologna, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 17 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2021

 

 

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