Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6905 del 11/03/2020

Cassazione civile sez. I, 11/03/2020, (ud. 03/12/2019, dep. 11/03/2020), n.6905

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 34085/18 proposto da:

-) M.M., elettivamente domiciliato a Roma, presso la Cancelleria

della Corte di cassazione, difeso dall’avv. Massimo Gilardoni in

virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

-) Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Milano 3.10.2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

3.12.2019 dal Consigliere relatore Dott. ROSSETTI Marco.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

M.M., cittadino bengalese, chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis);

a fondamento dell’istanza dedusse di avere lasciato il (OMISSIS) per sfuggire al rischio di essere incarcerato per le sue opinioni politiche, in quanto era un attivista del partito di opposizione BNP; la Commissione Territoriale rigettò l’istanza;

avverso tale provvedimento M.M. propose ricorso dinanzi al Tribunale di Milano ai sensi del D.Lgs. 28 luglio 2008, n. 25, art. 35, che lo rigettò con decreto 3.10.2018;

il Tribunale ritenne che:

(a) il ricorrente non era credibile, perchè aveva fornito una versione dei fatti contraddittoria e lacunosa;

(b) il diritto d’asilo non spettava perchè, non essendo il ricorrente credibile, non era possibile stabilire se avesse davvero lasciato il suo Paese per sfuggire alla tortura o ad una condanna a morte;

(c) il diritto alla protezione sussidiaria non spettava, poichè nella regione di provenienza del ricorrente non era in atto una violenza indiscriminata derivante da conflitti armati;

(d) non sussistevano nemmeno i presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 5, perchè il ricorrente non aveva neppure allegato alcuna circostanza idonea a palesarne la vulnerabilità;

il decreto è stato impugnato per cassazione da M.M. con ricorso fondato su due motivi;

Il Ministero dell’Interno non si è difeso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

col primo motivo di ricorso (pagine 4-6) il ricorrente chiede a questa Corte di sollevare la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, come modificato dalla L. n. 47 del 2017, art. 6, comma 1;

sostiene che tale norma, non consentendo l’appello avverso le decisioni del Tribunale in materia di protezione internazionale, violerebbe gli artt. 3,24 e 111 Cost., in quanto manifestamente irragionevole, e comunque perchè introduce un modello processuale in cui da un lato “la formazione della prova è demandata nella maggior parte dei casi alla visione di una videoregistrazione”; e dall’altro non è consentito altro rimedio avverso la decisione di unico grado che il ricorso per cassazione; tale modello, secondo il ricorrente, violerebbe il diritto di difesa e “i principi fondamentali previsti all’art. 3 e dall’art. 10” Cost.;

la questione di legittimità costituzionale prospettata dal ricorrente, a prescindere da qualsiasi delibazione della sua fondatezza, è inammissibile per difetto di rilevanza;

se, infatti, nella presente sede di legittimità fosse sollevata una questione di legittimità costituzionale, ed essa fosse accolta, questa Corte non potrebbe che dichiarare inammissibile il ricorso per cassazione, perchè il decreto impugnato in questa sede diverrebbe appellabile; è dunque evidente che la questione prospettata dal ricorrente priva di rilevanza, ed anzi non è nemmeno sottesa non giuridico interesse ex art. 100 c.p.c. a sollevarla;

in ogni caso la questione sarebbe anche manifestamente infondata, dal momento che non esiste alcun diritto costituzionalmente garantito ad un doppio grado di giurisdizione piena sul merito (ex multis, Corte Cost., 28-10-2014, n. 243; Corte Cost., 30-07-1997, n. 288; Corte Cost., 03-10-1990, n. 433);

col secondo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 2.

afferma che erroneamente il Tribunale ha escluso, ai fini del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, “la condizione di estrema povertà dello straniero nel paese d’origine”, dal momento che tale povertà impedisce “completamente ed in modo radicale il raggiungimento degli standard minimi per un’esistenza dignitosa”; aggiunge che il Tribunale in ogni caso non ha considerato nè la situazione di instabilità politica del (OMISSIS); nè l’avvenuto inserimento lavorativo del richiedente asilo nel nostro Paese;

il motivo è inammissibile per estraneità alla ratio decidendi;

il Tribunale, infatti, ha rigettato la domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari sul presupposto che il ricorrente non avesse allegato i fatti costitutivi di essa: giusta o sbagliata che fosse, tale valutazione non è stata censurata dal ricorrente;

in ogni caso il motivo sarebbe altresì infondato in tutte le censure in cui si articola;

infatti nessuna norma, nè nazionale, nè sovranazionale, accorda il diritto all’asilo per il solo fatto che il richiedente provenga da un paese povero, oppure per il solo fatto che questi sia riuscito ad integrarsi nel Paese ospitante, pur in assenza di qualsiasi legittimo titolo di soggiorno;

quanto all’ordinanza 4455/17 di questa Corte, invocata dal ricorrente a sostegno della propria tesi, essa non ha mai stabilito quel che il ricorrente pretende di farle dire, e cioè che esista una corrispondenza biunivoca ed indefettibile tra l’avvenuta integrazione in Italia ed il riconoscimento della protezione umanitaria; ma ha solo affermato che l’avvenuta ed effettiva integrazione è uno degli elementi da prendere in esame al fine del giudizio di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5; e che comunque anche l’avvenuta ed effettiva integrazione potrebbe giustificare la protezione umanitaria solo se il rientro in patria possa incidere sul “nucleo ineliminabile” dei diritti fondamentali della persona, e non certo per il solo fatto che in patria il richiedente asilo godrebbe di un meno agiato tenore di vita;

la medesima ordinanza, per contro, ha affermato che il permesso di soggiorno per motivi umanitari è una misura residuale ed atipica, che può essere accordata solo a coloro che, se facessero ritorno nel Paese di origine, si troverebbero in una situazione di vulnerabilità strettamente connessa al proprio vissuto personale. Se così non fosse, il permesso di soggiorno per motivi umanitari, misura “personalizzata” e concreta, finirebbe per essere accordato non già sulla base delle specificità del caso concreto, ma sulla base delle condizioni generali del Paese d’origine del richiedente, in termini del tutto generali ed astratti, ed in violazione della ratio e della lettera della legge (Sez. 1 -, Sentenza n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298 – 01; così pure, più di recente, Sez. 1, Ordinanza n. 21280 del 9.8.2019);

non è luogo a provvedere sulle spese, attesa la indefensio della parte intimata;

il rigetto del ricorso comporta l’obbligo del pagamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), a condizione che esso sia dovuto: condizione che non spetta a questa Corte stabilire. La suddetta norma, infatti, impone all’organo giudicante il compito unicamente di rilevare dal punto di vista oggettivo che l’impugnazione ha avuto un esito infruttuoso per chi l’ha proposta; incidenter tantum, rileva nondimeno questa Corte che, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2012, n. 115, art. 11, il contributo unificato è prenotato a debito nei confronti della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato;

P.Q.M.

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Prima Sezione civile della Corte di cassazione, il 3 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2020

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