Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6904 del 24/03/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 6904 Anno 2014
Presidente: CICALA MARIO
Relatore: CARACCIOLO GIUSEPPE

ORDINANZA
sul ricorso 17960-2012 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE06363391001, in persona del
Direttore Centrale pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA
GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente contro
COOPERATIVA DI LAVORO TEAM SERVICE COOP A RL, in
persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. FERRARI 35, presso lo
studio dell’avvocato DI MATTE() GIANNI, che la rappresenta e
difende giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

Data pubblicazione: 24/03/2014

avverso la sentenza n. 6/14/2012 della COMMISSIONE
TRIBUTARIA REGIONALE di ROMA dell’8/11/2011, depositata il
19/01/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
19/02/2014 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE

udito l’Avvocato Di Matteo Gianni difensore della controricorrente
che ha chiesto la trattazione del ricorso in P.U..

Ric. 2012 n. 17960 sez. MT – ud. 19-02-2014
-2-

CARACCIOLO;

La Corte,
ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in
cancelleria la seguente relazione:
Il relatore cons. Giuseppe Caracciolo,

Osserva:
La CTR di Roma ha accolto l’appello della “Coop. di lavoro Team Service a
appello proposto contro la sentenza n.1/61/2011 della CTP di Roma che aveva
respinto il ricorso della predetta contribuente

contro cartella di pagamento per

imposte relative all’annualità 2006, cartella adottata a seguito di controllo
automatizzato della dichiarazione e sulla premessa dell’omesso versamento della
somma di € 3.489.542,00 senza che vi fossero coerenti indicazioni nella
dichiarazione dei redditi delle ragioni di tale omesso versamento
La predetta CTR ha motivato la decisione ritenendo -da un canto- “che il
disconoscimento di un credito d’imposta … non può avvenire con un mero atto di
iscrizione a ruolo”, così che non è possibile utilizzare la procedura dell’art.36 bis del
DPR n.600/1973 per rettificare l’ammontare del credito d’imposta medesimo, e
ritenendo —d’altro canto- che alla richiesta di riconoscimento dell’ulteriore credito di
imposta non si applica la disciplina degli “aiuti di stato”, siccome trattasi di semplici
misure di carattere generale, volte a promuovere l’occupazione, che non falsano né
minacciano la concorrenza, sicché il contributo spetta senza i limiti della regola
comunitaria “de minimis”.
L’Agenzia ha interposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
La parte intimata si è difesa con controricorso.
Il ricorso — ai sensi dell’art.380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore, componente
della sezione di cui all’art.376 cpc- può essere definito ai sensi dell’art.375 cpc.
Infatti, con il primo motivo di censura (improntato alla violazione dell’art.112 cpc,
per difetto di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato) la parte ricorrente si

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letti gli atti depositati

duole che il giudicante abbia argomentato nel senso che il disconoscimento del
credito di imposta non può avvenire con un atto di iscrizione a ruolo, per quanto la
parte ricorrente non avesse formulato alcuna censura nell’impugnazione della cartella
esattoriale fondata su una simile doglianza.
Il motivo di impugnazione appare fondato e da accogliersi.

cassazione), ha debitamente trascritto in atto di ricorso i motivi per i quali la parte
contribuente —sia in primo che in secondo grado- ha provveduto all’impugnazione
della cartella esattoriale di cui qui si tratta, e fra detti motivi non compare quello
dell’inidonea scelta dell’atto di contestazione della violazione fiscale. Né può
considerarsi fungibile, a questo fine (come assume la parte controricorrente), il
motivo di impugnazione fondato sull’omessa identificazione nella cartella di
pagamento dei motivi idonei a giustificare l’intimazione di pagamento della somma
dovuta a titolo di imposta: ed invero altro è contestare la legittimità dell’adozione di
un determinato tipo di provvedimento, altro è invece contestarne la opportuna
conformazione, come nella specie di causa risulta che abbia fatto la parte
contribuente.
Il giudice dell’appello non avrebbe quindi potuto argomentare il proprio
convincimento sulla scorta di una ragione di un motivo di impugnazione mai
proposto, neppure in sede di appello, sicchè sul punto la pronuncia qui impugnata
merita senz’altro cassazione, con assorbimento del successivo motivo (il secondo)
che risulta incentrato sul merito della questione fatta oggetto della dianzi indicata
ratio decidendi.
Venendo al terzo motivo di impugnazione (improntato alla violazione dell’art.7 co.10
della legge n.388/2000 e dell’art.63 della legge n.289/2002) la Agenzia ricorrente si
duole del fatto che il giudice di appello ha trascurato che il combinato disposto
dell’art.63 e del comma 10 dell’art.7 (delle leggi dianzi citate) stabilisce
espressamente l’applicazione della regola “de minimis”, secondo cui il beneficio non

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La parte ricorrente, infatti (in ossequio al canone di autosufficienza del ricorso per

può essere goduto oltre il predetto limite, con conseguente illegittimità dell’omesso
versamento della correlate somme da parte della società contribuente.
Il motivo è fondato e da accogliersi, con assorbimento del successivo (il quarto)
espressamente proposto “in subordine”.
Il comma 10 dell’art.7 or ora citato prevede infatti espressamente che:”All’ulteriore

cui alla comunicazione della Commissione delle Comunita’ europee 96/C68/06,
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle Comunita’ Europee C68 del 6 marzo
1996, e ad esso sono cumulabili altri benefici eventualmente concessi ai sensi della
predetta comunicazione purche’ non venga superato il limite massimo di lire 180
milioni nel triennio”.
Non vi è ragione per ritenere che la disciplina in questione sia da disapplicarsi nella
specie di causa, non ravvisandosi alcun contrasto con la disciplina comunitaria, che
non impone al legislatore nazionale di escludere limiti alla concessione del beneficio,
siccome è stato appunto previsto con la norma sopra trascritta, nell’esercizio della
legittima discrezionalità che compete al legislatore italiano. Nel medesimo senso si è
di recente pronunciata la sezione quinta di questa Corte (Cass. Sentenza n. 21797 del
20/10/2011) che, nel fare applicazione della disciplina di proroga della predetta
previsione di legge, ha ritenuto che:”In terna di agevolazioni fiscali, è illegittima 1
disapplicazione da parte del giudice nazionale della norma dell’art. 63, comma 1,
della legge 27 dicembre 2002, n. 289, nella parte in cui, rinnovando il regime di
incentivi alle assunzioni, mantiene ferma la disposizione di cui all’art. 7, comma 10,
della legge 23 dicembre 2000, n. 388 che circoscrive il riconoscimento del credito di
imposta nei limiti della regola “de minimis” – e cioè nell’importo di Euro 100.000 nel
triennio, quale limite quantitativo al di sotto del quale gli aiuti di stato non incorrono
nel divieto di cui all’art. 92 (poi 87) del Trattato CE – sul presupposto che il beneficio
in questione non configuri un aiuto di Stato, in quanto incorre nella violazione della
normativa comunitaria il legislatore soltanto se concede aiuti di Stato in misura
eccedente alla regola “de minimis” e non se circoscrive, nell’ambito dei suoi legittimi

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credito di imposta di cui al presente comma si applica la regola de minimis di

poteri discrezionali, benefici fiscali entro soglie predefinite, anche individuate “per
relationem” rispetto a norme dell’ordinamento comunitario”.
La pronuncia impugnata non ha fatto dunque corretta applicazione della norma
nazionale e merita —anche sul secondo capo di accoglimento- cassazione.
In definitiva, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per

respingendo il ricorso introduttivo di parte contribuente, non ravvisandosi necessità di
ulteriori accertamenti di fatto.
Roma, 15 settembre 2013

ritenuto inoltre:
che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati
delle parti;
che la sola parte controricorrente ha depositato memoria illustrativa il cui
contenuto non induce la Corte a rimeditare le ragioni sulle quali riposa la proposta del
relatore;
che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i
motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va accolto;
che le spese di lite possono essere regolate secondo il criterio della soccombenza,
salva compensazione di quelle dei gradi di merito.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito,
rigetta il ricorso del contribuente avverso il provvedimento impositivo. Condanna la
parte contribuente a rifondere le spese di lite di questo grado, liquidate in €
15.000,00 oltre spese prenotate a debito e compensa tra le parti le spese dei gradi di
merito.
Così deciso in Roma il 19 febbraio 2014
DEPOSITATO IN CANCELLERIA

manifesta fondatezza, con conseguente facoltà per la Corte di decidere nel merito,

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