Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6904 del 22/03/2010

Cassazione civile sez. I, 22/03/2010, (ud. 22/01/2010, dep. 22/03/2010), n.6904

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.M. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIALE PARIOLI 54, presso l’avvocato BARGIACCHI

SIRO, che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

B.G. (C.F. (OMISSIS)), B.D. (C.F.

(OMISSIS)), FALLIMENTO VIVAIO CERENOVA S.N.C. N. 303;

– intimati –

e da:

B.G. (c.f. (OMISSIS)), B.D. (c.f.

(OMISSIS)), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA POMPEO

MAGNO 2/B, presso l’avvocato D’AMICO LUDOVICO, rappresentati e difesi

dall’avvocato ANTONINI RODOLFO, giusta procura in calce al

controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

P.M. (c.f. (OMISSIS)), FALLIMENTO VIVAIO

CERENOVA S.N.C. N. 303;

– intimati –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il

28/10/2008/ N. 6518/08 V.G.;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

22/01/2010 dal Consigliere Dott. ANTONIO DIDONE;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato FIORE GIOVANNA, per delega, che

ha chiesto l’accoglimento del ricorso e deposita n. 2 avvisi di

ricevimento;

udito, per i controricorrenti, l’Avvocato ANTONINI che ha chiesto il

rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale, accoglimento del ricorso incidentale.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Con sentenza in data 12 giugno 1992 il Tribunale di Civitavecchia ha dichiarato il fallimento della s.n.c. Vivaio Cerenova di Palazzini Marino & C..

Nel corso della procedura i creditori D. e B.G. hanno presentato L. Fall., ex art. 124, una proposta di concordato che prevede, a fronte della cessione di tutti i beni acquisiti dalla massa, il pagamento di tutti i crediti, in privilegio e chirografo ammessi al passivo, oltre a tutte le spese di procedura.

Con decreto in data 14/25 marzo 2008 il Tribunale di Civitavecchia, tenuto conto del parere favorevole della maggioranza del Comitato dei Creditori e del Curatore, ha rigettato l’opposizione del socio illimitatamente responsabile P.M. e ha omologato il concordato.

Il P. ha proposto reclamo avverso il predetto decreto lamentando, sotto il profilo formale, la genericità del parere favorevole del curatore e, nel merito, l’ingiustizia della proposta perchè l’attribuzione di tutti i beni acquisiti alla procedura ai creditori proponenti comporterebbe un loro ingiustificato arricchimento ai danni del debitore, che sarebbe privato anche della sua casa di abitazione, a causa del valore notevolmente superiore dell’attivo fallimentare rispetto all’ammontare del passivo.

La Corte di appello di Roma, con decreto del 28.10.2008, ha rigettato il reclamo.

Ha osservato la Corte territoriale che il motivo relativo al parere del curatore era infondato perchè il curatore medesimo aveva ritualmente espresso il suo parere motivato con riferimento al presumibile esito della liquidazione mentre la dedotta genericità e superficialità della motivazione non incideva sulla legittimità formale della procedura.

La Corte di appello, poi, ha ritenuto ammissibile il motivo di reclamo concernente il merito della proposta di concordato evidenziando di non poter condividere l’orientamento giurisprudenziale che, sulla base del novellato L. Fall., art. 129, limita il potere di controllo del tribunale in sede di omologa, in presenza di opposizioni, alla sola regolarità formale della procedura consentendo un controllo di convenienza nel merito nei soli casi di cram down. Secondo la Corte di merito ostano a detta conclusione gli estesi poteri istruttori, anche officiosi, attribuiti al Tribunale dalla norma. Inoltre, il controllo di legalità attribuito al giudice nelle procedure concorsuali, in concreto esercitato con il potere di omologa, deve necessariamente estendersi al controllo del rispetto dei principi di correttezza e buona fede che informano tutto il nostro ordinamento giuridico. In concreto, tenuto conto della funzione di “protezione” attribuita all’autorità giudiziaria a tutela di tutti i soggetti coinvolti nella procedura concorsuale, l’accertamento del dedotto “abuso” dei creditori ai danni del fallito rientra tra i compiti del tribunale in sede di “giudizio” L. Fall., ex art. 129.

Nondimeno, la Corte di appello ha ritenuto infondato il reclamo nel merito perchè in sede di omologa era stato sentito il curatore il quale aveva dichiarato che il passivo ammonta a Euro 383.000,00 cui devono essere aggiunte le spese di procedura che includono i costi di due consulenze di stima dell’attivo e quelle di difesa in due giudizi uno dei quali ancora pendente.

L’attivo era stato stimato, “sia pure con consulenze ormai datate”, in L. 814.607.900 (nel 1998), per la quota del 50% dell’immobile di Cerenova in comunione al 50% con il creditore B.G. costituito da un villino (abitato dal fallito) con adiacente stazione di servizio e costruzioni con destinazione artigianale e commerciale e in L. 420.000.000 (nel 1999) per il terreno agricolo di (OMISSIS). Convertito in euro e adeguato al valore attuale della moneta l’attivo sarebbe potuto essere quantificato approssimativamente in un valore doppio di quello del passivo. Peraltro, tenuto conto delle incognite di una vendita fallimentare, dalla quale difficilmente si ricava un corrispettivo equivalente al teorico valore di mercato del bene e della particolare concreta situazione consistente nella circostanza che il fallito, durante la procedura, aveva venduto a terzi il terreno costringendo la curatela a esperire azione recuperatoria mentre il cespite di maggior valore sito in Cerenova era in comunione indivisa con uno dei creditori e uno degli immobili in comunione era occupato dal fallito che lo utilizzava come abitazione – circostanze ritenute “certamente di ostacolo ad un pronto e soddisfacente realizzo delle attività fallimentari” – la Corte di appello ha escluso che fosse ravvisabile nella proposta dei creditori una condotta “abusiva” in danno del fallito. Ciò anche tenuto conto del fatto che quest’ultimo aveva la possibilità di proporre un concordato assicurandosi i cespiti acquisiti con il pagamento dei debiti e delle spese del fallimento, mentre l’inerzia per circa 15 anni del fallito stesso, che aveva anzi compiuto nelle more condotta postfallimentare di sottrazione di un cespite, portava a ritenere l’effettiva non facile liquidazione delle attività.

Con il rigetto del reclamo ha regolato le spese di lite in favore della sola curatela.

Contro il decreto della Corte di appello il P. ha proposto ricorso per Cassazione affidato a nove motivi. I proponenti del concordato hanno resistito con controricorso e hanno proposto ricorso incidentale affidato a tre motivi. La curatela fallimentare non ha svolto difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2.1.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione deducendo che il provvedimento impugnato è illogico nella parte in cui ha fondato l’asserita non facile liquidazione dell’attivo fallimentare su perizie definite dallo stesso giudicante “ormai datate” e sull’incolpevole inerzia del fallito. Deduce che l’inerzia è imputabile agli organi fallimentari mentre dal comportamento del fallito – ormai spossessato dei propri beni – la Corte di merito non poteva far discendere il giudizio di non facile liquidabilità dell’attivo.

2.2.- Con il secondo motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione e formula conclusivamente il quesito “se la motivazione fondata sui presupposti errati indicati al n. 1, 2, 3, 4 e 5 del presente motivo rende il decreto censurabile per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”.

2.3.- Con il terzo motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione e chiede se “la mancata e immotivata ammissione della richiesta istruttoria di consulenza tecnica d’ufficio avanzata dal ricorrente in merito alla stima del valore dell’attivo fallimentare costituisca violazione dell’art. 115 c.p.c., e renda censurabile il decreto emesso dalla Corte di appello di Roma ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per omessa motivazione”.

2.4.- Con il quarto motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione e chiede “se il mancato esame della perizia giurata di parte ricorrente di stima del valore dei cespiti acquisiti dal fallimento costituisca violazione dell’art. 115 c.p.c., e renda censurabile il decreto emesso dalla Corte di appello di Roma ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per omessa motivazione su un punto decisivo della controversia”.

2.5.- Con il quinto motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. e chiede “se la mancata pronuncia sui motivi 3^, 4^ e 5^ del reclamo costituisce violazione dell’art. 112 c.p.c. e renda nullo il decreto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4”. Omette di riportare il contenuto dei motivi di reclamo sui quali sarebbe mancata la pronuncia.

2.6.- Con il sesto motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione e chiede “se la motivazione del decreto in merito al 2^ motivo di reclamo sia insufficiente ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. per aver valutato la sola legittimità formale del parere espresso dal curatore”.

2.7.- Con il settimo motivo il ricorrente denuncia l’errata applicazione dei principi di buona fede e correttezza in violazione degli artt. 1175 e 1176 c.c. e chiede “se il decreto della Corte di appello sia censurabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione degli artt. 1175 e 1176 c.c., per errata applicazione dei principi di buona fede e correttezza”.

2.8.- Con l’ottavo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 2041 c.c. e chiede “se il decreto della Corte di appello sia censurabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione dell’art. 2041 c.c”. 2.9.- Con l’ultimo motivo il ricorrente denuncia violazione della L. Fall., art. 120, e chiede “se la decisione è censurabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione della L. Fall., art. 120”.

3.1.- Con il primo motivo del ricorso incidentale i controricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione della L. Fall., art. 129, e chiedono “se sia ammissibile estendere il controllo sulla legalità previsto dalla L. Fall., art. 129, alla congruità della proposta di concordato già approvata dai creditori in base al rispetto dei principi di correttezza e buona fede”.

3.2.- Con il secondo motivo i controricorrenti denunciano violazione e/o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., e chiedono “se costituisca violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 112 c.p.c., la mancata pronuncia sulla domanda alla refusione delle spese di lite in favore di litisconsorti necessari costituiti in giudizio a mezzo di difensore ed usciti vittoriosi dal giudizio e contro la parte soccombente”.

3.3.- Con il terzo motivo i controricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. e chiedono “se costituisca violazione del principio di soccombenza di cui all’art. 91 c.p.c., la mancata refusione delle spese di lite a carico della parte reclamante soccombente e a favore dei soggetti reclamati, litisconsorti necessari e costituiti in un giudizio conclusosi con il rigetto del reclamo”.

4.- I ricorsi, proposti contro il medesimo provvedimento, devono essere riuniti.

Preliminarmente, poi, va rilevato che il primo motivo del ricorso incidentale – dal cui accoglimento discenderebbe l’inammissibilità dei motivi del ricorso principale diretti a censurare la motivazione della valutazione operata dalla Corte di merito – deve essere esaminato unitamente al primo motivo del ricorso principale, stante l’intima connessione.

Ciò premesso, osserva la Corte che la norma di cui alla L. Fall., art. 124, nel testo introdotto dalla riforma, nel prevedere che la proposta di concordato fallimentare possa essere presentata – oltre che dal fallito, entro determinati limiti temporali – “da uno o più creditori o da un terzo”, ha introdotto nella legge fallimentare un istituto del tutto nuovo che diverge notevolmente dal concordato fallimentare preesistente e nel quale l’aspetto cd. “negoziale” assume significato del tutto particolare rispetto all’istituto tradizionale del concordato fallimentare, nel quale la sistemazione negoziale dell’insolvenza era rimessa all’iniziativa del fallito con l’accordo (maggioritario) dei creditori, sebbene le sue “connotazioni, almeno vagamente pubblicistiche … danno ragione della sua collocazione in un ambito procedimentale giudiziariamente controllato” (Sez. Un., n. 11396 del 2009).

Invero, l’attribuzione ai creditori e ai terzi della legittimazione a proporre il concordato fallimentare ha consentito a parte della dottrina di inquadrare -correttamente – l’istituto in parola, nell’ipotesi di iniziativa proveniente da tali soggetti, diversi dal fallito, nella liquidazione dell’attivo fallimentare e ha indotto taluno a discorrere – senza mezzi termini – di “strumento di investimento” per i terzi e per i creditori.

Allora, più che ai principi richiamati dalla Corte territoriale, il controllo demandato al Tribunale in sede di omologazione del concordato fallimentare, nell’ipotesi qui considerata, e in presenza di opposizione del fallito – tesa ad evitare che l’accordo tra i creditori ed il terzo o tra il creditore proponente e gli altri creditori finisca per “espropriarlo” dei propri beni in misura sproporzionata rispetto alle obbligazioni contratte – deve essere ispirato ai principi e alle norme che disciplinano il processo di esecuzione forzata – individuale o collettiva – diretti ad impedire “la rottura dell’equilibrio tra l’interesse generale al pagamento dei creditori del fallimento e l’interesse del ricorrente al rispetto dei suoi beni” (Corte eur. Dir. Uomo, 12/06/2007, Seconda Sezione, Gallucci contro Italia, ricorso n. 10756/02).

Non è possibile sostenere, infatti, – come pure è stato fatto in dottrina – che con il fallimento vengano meno le ragioni legate al divieto di espropriazione senza indennizzo di cui all’art. 42 Cost. – che resterebbe valido per il solo concordato preventivo – e che il venir meno di tale tutela di un diritto fondamentale abbia consentito al legislatore di attribuire il potere di presentare la proposta di concordato anche a soggetti diversi dal fallito.

Invero, non può essere dimenticato l’insegnamento della giurisprudenza CEDU secondo la quale se è vero che il divieto per il fallito di amministrare i suoi beni e di disporne ha lo scopo di soddisfare i creditori del fallimento e l’ingerenza in questione persegue quindi uno scopo legittimo e conforme all’interesse generale, ossia la tutela dei diritti altrui, nondimeno “la misura dell’ingerenza deve assicurare un “giusto equilibrio” tra gli imperativi dell’interesse generale e quelli della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo”, imponendo l’art. 1 del Protocollo n 1 alla Convenzione EDU (e, prima ancora, l’art. 2740 c.c. letto in correlazione con l’art. 42 Cost.: n.d.r.), l’esistenza di “un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito”, pur dovendosi riconoscere al legislatore “un ampio margine di valutazione sia per scegliere le modalità di attuazione che per valutare se le conseguenze trovino giustificazione nell’interesse generale per il raggiungimento dell’obiettivo della legge in questione” (sentenza Chassagnou e altri c. Francia GC, n. 25088/94, 28331/95 e 28443/95, par. 75, CEDU 1999-3^, e Immobiliare Saffi c. Italia, par. 49; Corte eur. Dir. Uomo, 12/06/2007, cit.). Le norme che permettono di assicurare la menzionata proporzionalità vanno individuate indubbiamente per l’esecuzione individuale nell’art. 586 c.p.c. – dopo la modifica intervenuta nel 1991 – e, per quella concorsuale, nella L. Fall., art. 108, le quali, consentendo la sospensione della vendita allorquando il prezzo offerto sia notevolmente inferiore a quello giusto, “alla stregua di una valutazione necessariamente combinata – mediante la comparazione del prezzo in concreto realizzato con l’aggiudicazione e quello che, in assenza di condizioni di interferenza illegittima nella sua formazione, sarebbe stato conseguito nel processo liquidatorio così come concretamente adottato e normativamente disciplinato” (Sez. 3^, Sentenza n. 23799 del 16/11/2007; Sez. 3^, Sentenza n. 14634 del 23/06/2009).

Da quanto innanzi evidenziato discende l’infondatezza del primo motivo del ricorso incidentale e, per converso, la fondatezza del primo motivo del ricorso principale. Infatti, va rilevato che, nel formulare il giudizio sul rapporto di proporzionalità dianzi menzionato, la Corte territoriale – dopo avere correttamente ritenuto ammissibile il motivo di reclamo concernente il merito della proposta di concordato (anche alla luce degli estesi poteri istruttori, anche officiosi, attribuiti al Tribunale dalla norma) – ha, nondimeno, escluso la fondatezza del medesimo nonostante che “convertito in euro e adeguato al valore attuale della moneta l’attivo avrebbe potuto essere quantificato approssimativamente in un valore doppio di quello del passivo” e ciò sulla base di “consulenze ormai datate”, risalenti al 1998 e al 1999.

Poichè, infatti, già sulla base delle consulenze “ormai datate” l’attivo era stimato, oltre dieci anni prima, nel doppio del passivo, non si comprende come l’attivo medesimo sia stato “adeguato al valore attuale della moneta”, pur in assenza di rinnovazione delle stime “datate”.

Pertanto, in accoglimento del primo motivo del ricorso principale, il provvedimento impugnato deve essere cassato con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Roma in diversa composizione, che provvederà anche in ordine alle spese della presente fase.

Le rimanenti censure restano assorbite.

PQM

La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il primo motivo del ricorso incidentale; accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbiti i restanti e gli ulteriori motivi del ricorso incidentale;

cassa il decreto impugnato e rinvia per nuovo esame e per il regolamento delle spese della fase di legittimità, alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2010

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