Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6902 del 08/04/2016


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Civile Sent. Sez. L Num. 6902 Anno 2016
Presidente: MACIOCE LUIGI
Relatore: DI PAOLANTONIO ANNALISA

SENTENZA
sul ricorso 19115-2012 proposto da:
MADIA GABRIELLA MDAGRL53B59C352E, /VONA ORTENSIA
VNORNS51A621,120Z,

MUSTACCHIO

ROHERTO

MSTRRT81H28E472V,

MUSTACCH10

STEFANO

MSTSFN84P21E472R, MUSTACCHIO MARIO MSTMRA78S12E4721,
tutti nella qualità di eredi di MUSTACCHIO CARMINE);
2016
25

PASTORE CARLO PSTCRL52E09E472W, PERIN GIOVANNI
PRNGNN44E20F937U,

GIULIO

QUATTROCIOCCHI

QTTGLI55M08A123R,

PANECALDO GINO PNCGNI56A05G865C,

/MILAN

MLNLCN86P25Z506S,

LUCIANO

GARZIA

VERA

GRZVRE48B68A3230, nella qualità di eredi di MILAN

f

Data pubblicazione: 08/04/2016

DAVIDE); MORELLI

DARIO MRLDRA54D2BA707Z,

NEGOSSI

LUIGI NGSLGU57131JG865K, tutti elettivamente
domiciliati in ROMA, VIA PAOLO EMILIO 57, presso Io
studio dell’avvocato MARCELLO GRECO, che li
rappresenta e difende giusta delega in atti;

contro

COMUNE LATINA P.T.

00097020598,

in persona del

Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA SALARIA 403, presso lo studio dell’avvocato
SILVIA SCOPELLITI, rappresentato e difeso
dall’avvocato CESARE MANCHISI, giusta delega in atti;
controricorrente –

avverso la sentenza n. 5146/2011 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 24/09/2011 r.g.n.
10371/2007;
udita la relazione ella causa svolta nella pubblica
udienza del 08/01/2016 dal Consigliere Dott. ANNALISA
DI RAOLANTONIO; per il rigetto del ricorso.
udito l’Avvocato GREc0 MARCELLO;
udito l’Avvocato MANCHISI CESARE;
ud -ito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

– ricorrenti –

4

1

Svolgimento del processo

– Gabriella Madia, Carmine Mustacchio, Carlo Pastore, Giovanni Perin, Giulio
Quattrociocchi, Gino Panecaldo, Davide Milan, Dario Morelli e Luigi Negassi,
tutti dipendenti del Comune di Latina addetti al servizio di trasporto urbano,
con distinti ricorsi ex art. 633 c.p.c. chiedevano al Tribunale di Latina di

agli operatori di esercizio, a titolo di maggiorazione per il lavoro straordinario
prestato nel periodo 2001/2004.
Il Tribunale emetteva i decreti e respingeva le opposizioni proposte dal
Comune di Latina, rilevando che quest’ultimo, erroneamente, aveva preteso di
applicare, ai fini della quantificazione della retribuzione oraria, il divisore 195
in luogo del divisore 156, invocato dai creditori opposti.
2 – Avverso le sentenze nn. 3215, 3216, 3217, 3218 R.G. 2006, 2734, 2735,
2736, 2737 R.G. 2007 proponeva appello il Comune di Latina rilevando,

sostanzialmente, che il Tribunale non aveva in alcun modo considerato le
disposizioni contenute nel CCNL Autoferrotranvieri, pacificamente applicabile
al rapporto, né aveva valutato la nota del 10 maggio 2004 con la quale
l’ASSTRA aveva fornito i chiarimenti richiesti, indicando le ragioni per le quali
la retribuzione oraria doveva essere quantificata dividendo per 195 la
retribuzione mensile.
3 – La Corte dì appello di Roma, previa riunione del giudizi, accoglieva
parzialmente te impugnazioni e revocava i decreti ingiuntivi opposti.
Osservava la Corte territoriale che, essendo il rapporto regolato dal CCNL
Autoferrotranvieri, la maggiorazione per il lavoro straordinario doveva essere
applicata sulla retribuzione oraria, calcolata nel rispetto di quanto previsto
dagli artt. 4, 15 e 17 del richiamato contratto collettivo. Aggiungeva che,
evidentemente, il Comune era incorso in errore allorquando, in passato, aveva
applicato il divisore 156 previsto dal CCNL per il comparto degli enti locali.
Escludeva, inoltre, che gli appellati potessero invocare una prassi aziendale
più favorevole, sia perché detta prassi era stata invocata tardivamente solo
nelle note difensive, sia in quanto la stessa era rimasta indimostrata.
Infine la Corte di Appello riteneva non fondata la domanda riconvenzionale di
ripetizione di indebito, riproposta dal Comune In sede di gravame, giacché il
diritto del datore di lavoro alla restituzione di somme corrisposte in eccesso
sorge solo allorquando l’errore sia essenziale e riconoscibile da parte dell’altro
contraente.
R.G. 19145/2012

Ingiungere alla amministrazione comunale il pagamento delle somme dovute

2
4 – Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso, sulla base di tre
motivi illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c., Gabriella Madia, Carlo Pastore,
Giovanni Perin, Giulio Quattrociocchi, Gino Panecaldo, Dario Morelli e Luigi
Negossi, nonché gli eredi di Carmine Mustacchio e Davide Milan, entrambi
deceduti dopo la pronuncia della sentenza impugnata.
Il Comune di Latina ha resistito con tempestivo controricorso.

1 – Con i primi due motivi di ricorso, da trattarsi congiuntamente perché
connessi, I ricorrenti denunciano, ex art. 360 n. 3 c.p.c., violazione dell’art.
434 c.p.c. nonché nullità del procedimento e della sentenza, ex art. 360 n. 4
c.p.c., per violazione degli artt. 99, 132, 324, 112, 434 c.p.c. e 2909 c.c..
Rilevano sostanzialmente che la Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare
l’inammissibilità dell’appello per difetto di specificità dei motivi di
impugnazione, in quanto il Comune appellante non aveva in alcun modo
considerato la motivazione della sentenza impugnata e non aveva indicato le
ragioni per le quali doveva essere applicato il divisore 195 anziché quello in
precedenza utilizzato. Aggiungono che la Corte, nei fondare la decisione su
ragioni non indicate dall’appellante, avrebbe violato gli artt. 99 e 112 c.p.c.
2 – I motivi sono ammissibili.
Questa Corte ha già affermato che il difetto di specificità dell’appello, non
rilevato d’ufficio dal giudice del gravame, può essere proposto come motivo di
ricorso per cassazione dalla parte appellata, ancorché essa non abbia
sollevato la relativa eccezione nel giudizio di appello, poiché si tratta di
questione che, afferendo alla stessa ammissibilità dell’impugnazione e, quindi,
alla formazione del giudicato, è rilevabile anche d’ufficio dalla Corte di
Cassazione, salvo il limite dell’esistenza di un giudicato interno, se il giudice
d’appello s’è pronunciato e non v’è stata impugnazione (Cass. 20.8.2013 n.
19222 e negli stessi termini Cass. 21.1.2004 n. 967).
Dal principio di diritto, che va qui ribadito, discende la infondatezza della
eccezione sollevata dalla difesa del controricorrente.
I ricorrenti, inoltre, nel rispetto del principio dell’autosufficienza, hanno
trascritto nel ricorso sia la motivazione della sentenza di primo grado, sia i
motivi di appello, fornendo in tal modo alla Corte tutti gli elementi necessari
per pronunciare sulla fondatezza della censura.
3.1- 1 motivi sono, però, infondati, giacché non si ravvisa l’eccepito difetto di
specificità dell’appello.
R.G. 19145/2012

Motivi della decisione

3

Occorre premettere che il contrasto esistente nella giurisprudenza di questa
Corte in ordine all’ambito del giudizio di legittimità, nei casi in cui venga
denunciato un vizio che comporti nullità del procedimento o della sentenza
impugnata, quale conseguenza del compimento di un’attività processuale
deviante rispetto al modello rigorosamente prescritto dal legislatore, è stato
sanato dalle Sezioni Unite che, con la sentenza 22 maggio 2012 n. 8077,
hanno affermato che in dette Ipotesi “il giudice di legittimità non deve

motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma è
investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali
li ricorso si fonda, purché la censura sia stata proposta dal ricorrente in
conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito (ed oggi quindi, In
particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c„ comma
1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4)”.
Il principio di diritto, che va qui ribadito perché condiviso dal Collegio, è già
stato applicato da questa Corte alla eccepita violazione dell’art. 342 c.p.c., in
relazione alla quale si è affermato che, quando con il ricorso per cassazione
venga denunciato un vizio attinente all’applicazione del principio della
necessaria specificità dei motivi di appello, “il giudice di legittimità non deve
limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicità della
motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma è
investito del potere di esaminare direttamente gli atti e i documenti sui quali il
ricorso si fonda” (Cass. 10 settembre 2012, n. 15071 e negli stessi termini,
con riferimento alla eccepita violazione dell’art. 434 c.p.c., Cass. 5.2.2015 n.
2143).
3.2 – Il rispetto degli oneri imposti dall’art. 434 c.p.c., nel testo antecedente
alle modifiche apportate dai d.l. 22 giugno 2012 n. 83, non richiede l’adozione
di formule sacramentali, essendo sufficiente che l’appellante esponga, anche
sommariamente, I motivi dell’impugnazione, così da consentire al giudice di
identificare i punti del provvedimento da esaminare e le ragioni, in fatto e in
diritto, per le quali il gravame è proposto ( in tal senso Cass. 11.3.2014 n.
5562).
Le sentenze del Tribunale di Latina hanno respinto le opposizioni rilevando
che II dlvisore 195 “presupporrebbe il computo di ben cinque settimane per
ogni mensilità (39×5), il che non risulta ipotizzabile, attese le 52 settimane in
un anno di 365 giorni e 12 mesi”.
Il Comune ha lamentato la erroneità delle decisioni, tutte di identico
contenuto, rilevando che il primo Giudice non avrebbe in alcun modo
R.G. 19145/2012

limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicità della

4

considerato la disciplina contenuta nella contrattazione collettiva di categoria
né le indicazioni fornite dall’ASSTRA, la quale, nel rispondere alla richiesta di
chiarimenti inoltrata dall’ente municipale, aveva precisato che la retribuzione
oraria doveva essere calcolata sulla base del divisore 195 ed aveva richiamato
l’art. 17 del CCNL 23 luglio 1976, come modificato dall’art. 11 del CCNL 12
marzo 1980.
Dette ragioni sono idonee a contrastare l’iter motivazionale delle sentenze

giudice del gravame.
Correttamente, pertanto, la Corte territoriale ha ritenuto, sia pure
Implicitamente, ammissibili le impugnazioni riunite ed ha pronunciato nel
merito delle stesse, ritenendole fondate.
4 – Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano “omessa motivazione su un
fatto controverso e decisivo in relazione all’art. 360 co.1 n. 5 c.p.c.”. Rilevano
che il Comune di Latina aveva ammesso di avere applicato in passato un
diverso divisore, riconoscendo al personale addetto al servizio di trasporto
urbano un trattamento più favorevole rispetto a quello previsto dalla
contrattazione collettiva. Assumono che la Corte territoriale non poteva
limitarsi a ritenere tardiva la allegazione dell’uso aziendale, trattandosi di
questione prospettata per contrastare “un elemento cardine dell’opposizione”
e non per modificare le ragioni poste a fondamento della domanda.
5 – Il motivo è inammissibile.
Giudicando in fattispecie analoga questa Corte ha evidenziato che “ove la
sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome,
ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la
decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile,
per difetto di interesse, la censura relativa alle

altre, la quale, essendo

divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe
produrre In nessun caso l’annullamento della sentenza (Sez. U, n. 7931 del
29/03/2013; Cass. n. 3386 del 11/02/2011; Cass. n. 2811 del 08/02/2006).
Nel caso in esame il motivo censura solo una delle rationes decidendi poste

dalla Corte di merito a fondamento del rigetto della pretesa del dipendente. In
particolare, il motivo non investe l’affermazione, contenuta nella Impugnata
sentenza, secondo cui non era stata neppure fornita la prova della sussistenza
dell’uso aziendale invocato….” ( Cass. 17.3.2014 n. 6083 ).
Dette conclusioni, alle quali la Corte era già pervenuta con le sentenze nn.
3646/2014, 3647/2014, 5850/2014, 5851/2014, pronunciate tutte in
fattispecie analoghe, devono essere anche qui ribadite, in quanto il giudice di
R.G. 19145/2012

impugnate ed individuano con chiarezza l’ambito della cognizione devoluta al

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appello non si è limitato a ritenere tardiva la allegazione dell’uso aziendale,

ma ha anche ritenuto che non fosse stata dimostrata fa invocata prassi ( si
legge, infatti, a pag. 4 della sentenza “assolutamente tardiva ed
inammissibile è l’invocazione da parte degli appellati di una prassi aziendale o
come dagli stessi definita di “una clausola d’uso”, comunque indimostrata”).
Non possono assumere rilievo, ai fini della ammissibilità del ricorso, le
osservazioni contenute nella memoria ex art. 378 c.p.c. circa la apoditticità
della impugnata sentenza, nella parte in cui ha ritenuto non dimostrata la
prassi aziendale.
Come già evidenziato da questa Corte nelle decisioni sopra richiamate, la
memoria ex art. 378 c.p.c. è destinata esclusivamente ad illustrare ed a
chiarire I motivi della impugnazione, ovvero alla confutazione delle tesi
avversarie, e con la stessa non possono essere dedotte nuove censure ne’
sollevate questioni nuove, che non siano rilevabili d’ufficio, e neppure può
essere specificato, integrato o ampliato il contenuto dei motivi originari di
ricorso (Sez. U. n. 11097 del 15/05/2006; Cass. n. 28855 del 29/12/2005;
Cass. n. 14570 del 30/07/2004).

Il ricorso deve essere rigettato con condanna dei ricorrenti al pagamento

delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in
dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio di legittimità liquidate in C 100,00 per esborsi ed C 3.000,00 per
competenze professionali, oltre rimborso spese generali del 15%, ed accessori
di legge
Così deciso in Roma l’8 gennaio 2016
i I Consigliere estensore

Il Pre dente

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