Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6901 del 08/04/2016


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Civile Sent. Sez. L Num. 6901 Anno 2016
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: MANNA ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 12517-2013 proposto da:
BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.P.A.

C.F.

00884060526, quale successore della BANCA ANTONVENETA
SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA AVENTINA
3/A, presso lo studio dell’avvocato SAVERIO CASULLI,
che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati
2015
5100

GUGLIELMO BURRAGATO, PIETRO ICHINO, giusta procura
speciale per Notaio;
– ricorrente contro
FRANZUTTI FRANCESCO FRNENC74D04E506Q, elettivamente

Data pubblicazione: 08/04/2016

domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA 318, presso lo
studio dell’avvocato NICOLA STEFANIZZO, che lo
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– cantroricorrente

avverso la sentenza n. 1567/2012 della CORTE

3667/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 18/12/2015 dal Consigliere Dott. ANTONIO
MANNA;
udito l’Avvocato CASULLI SAVERIO;

f
7 C- f/4- z Ziv
,-ezo4• 43. ,f(A. ,~ro
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RITA SANLORENZOche ha concluso per
accoglimento del ricorso.

D’APPELLO di LECCE, depositata il 25/05/2012 R.G.N.

R.G. n. 12517113
Ud. 18.12.15
Banca Monte dei Paschi di Siena c. Franzutti
Estensore: doti. Antonio Manna
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 4992/10 il Tribunale di Lecce rigettava l’impugnativa di

Francesco Franzutti contro Banca Antonveneta S.p.A.: l’addebito aveva ad
oggetto ripetute irregolarità nelle operazioni di addebito/accredito commesse
dal lavoratore nell’esercizio delle mansioni di addetto clientela di base presso la
filiale di Lecce, irregolarità che il primo giudice ascriveva al dipendente quanto
meno a titolo di colpa.
Con sentenza depositata il 25.5.12 la Corte d’appello salentina, in totale
riforma della pronuncia di primo grado, dichiarava il licenziamento illegittimo
perché sproporzionato rispetto all’infrazione, meritevole di mera sanzione
conservativa, per l’effetto ordinando la reintegra del lavoratore ex art. 18 Stat.
(nel testo previgente alla riforma di cui alla legge n. 92/12), con le relative
conseguenze economiche.
Per la cassazione della sentenza ricorre Banca Monte dei Paschi di Siena
S.p.A. (incorporante Banca Antonveneta S.p.A.) affidandosi a dodici motivi, poi
ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c.
L’intimato Francesco Fra nzutti resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1- Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 99 e 112
c.p.c. per avere la Corte territoriale erroneamente rilevato d’ufficio e solo in
sentenza un motivo di invalidità del licenziamento mai eccepito dal dipendente,
ossia un asserito difetto di preventiva contestazione disciplinare degli addebiti,
nel senso che quest’ultima non avrebbe avuto ad oggetto un’accusa di
appropriazione indebita, da parte di Francesco Franzutti, della somma di euro
367,74, ma soltanto il fatto che tale importo era uscito o era stato prelevato
per contanti.
In subordine tale censura viene sostanzialmente fatta valere, nel secondo
motivo di ricorso, come violazione dell’art. 183 co. 4 0 c.p.c. per non avere la
Corte territoriale previamente indicato alle parti la questione rilevata d’ufficio.
Con il terzo motivo ci si duole di vizio di motivazione là dove la sentenza
impugnata ha malamente interpretato il tenore della lettera di contestazione,
che nell’ascrivere al lavoratore l’uscita per contanti di somme che egli stesso,
con le proprie credenziali identificative, aveva senza titolo addebitato su conti

licenziamento disciplinare (intimato con lettera 16.6.-1°.7.06) proposta da

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R.G. n. 12517/13
Ud. 18.12.15
Banca Monte dei Pasciti di Siena c. Franzutti
Estensore: don. Antonio Manna

correnti della banca (cioè nel maggiorare in maniera ingiustificata le spese di
conto corrente di alcuni clienti e nel prelievo in contanti, sempre ad opera del
dipendente, del controvalore senza emissione della relativa contabile o di altra

forma di ricevuta), non aveva fatto altro che contestargli l’appropriazione
indebita di tali somme e in tal senso la lettera di contestazione era stata intesa
dallo stesso Francesco Franzutti, che – non a caso – si era offerto di restituire la
somma.
Il quarto motivo denuncia violazione eio falsa applicazione degli artt. 2104,
2015 e 2106 c.c., degli artt. 1 e 3 legge n. 604/66 e dell’art. 7 legge n. 300/70,
per avere la gravata pronuncia dichiarato inutilizzabile la duplice confessione
del lavoratore resa in sede di controdeduzioni, nonostante che la qualificazione
giuridica dell’addebito e la valutazione della sua gravità debbano essere
condotte dal giudice in base a quanto emerso dagli elementi acquisiti anche
all’esito del procedimento disciplinare e delle controdeduzioni difensive, con le
quali l’odierno controricorrente aveva ammesso di essersi volontariamente
auto-indennizzato d’un esborso da lui precedentemente effettuato a copertura
d’un ammanco di cassa; per l’effetto – prosegue la ricorrente – non solo non vi è
stato alcun mutamento della contestazione, ma ove mai vi fosse stato esso non
avrebbe comunque arrecato pregiudizio alcuno al diritto di difesa del
dipendente.
Il quinto motivo deduce violazione dell’art. 2697 c.c. e vizio di motivazione
per avere la sentenza impugnata affermato che comunque il lavoratore si
sarebbe rimborsato da sé d’un precedente ammanco di circa 500,00 euro di cui
non era responsabile, così evitando soltanto un ingiustificato arricchimento per
la banca: obietta – invece – la ricorrente che di tale assunto non vi è prova,
prova di cui era onerato il lavoratore.
Il sesto motivo denuncia violazione degli artt. 2106 e 2119 c.c., atteso che il
giudizio di sproporzione fra addebito e sanzione formulato dalla Corte
territoriale è viziato dall’erroneo convincimento che l’odierno controricorrente
non avrebbe tratto un vantaggio personale dalla propria condotta: in ogni caso
– prosegue la ricorrente – anche a voler dare credito all’assunto del Franzutti, la
giusta causa di recesso sarebbe ravvisabile anche soltanto nell’essersi egli autoliquidato dei pretesi rimborsi, per quanto di importo complessivo modesto,
senza autorizzazione della banca e in danno dei clienti della stessa.
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R.G. n. 12517/13
Ud 18.12.15
Banca Monte dei Paschi di Siena c. Franzutti
Estensore: doti. Antonio Manna
Il settimo motivo deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.
per avere la sentenza impugnata ritenuto, contrariamente alle risultanze
istruttorie, che le dichiarazioni testimoniali acquisite abbiano smentito l’ipotesi

dell’appropriazione indebita commessa dal Franzutti.
L’ottavo motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2106 e
2119 c.c. nella parte in cui la gravata pronuncia si è discostata
dall’insegnamento giurisprudenziale secondo cui, in ipotesi di più episodi
rilevanti sul piano disciplinare (come avvenuto nel caso di specie, visti i plurimi
prelievi ingiustificati), l’esistenza d’una giusta causa di licenziamento va
valutata non atomisticamente in relazione a ciascuno di essi, ma considerandoli
nella loro globalità.
Il nono motivo prospetta violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2106 e
2119 c.c. là dove i giudici d’appello hanno motivato la sproporzione del
licenziamento in base a precedenti occasioni in cui, per fatti analoghi, la banca
aveva adottato sanzioni meramente conservative, nonostante l’inesistenza nel
nostro ordinamento – obietta la ricorrente – d’un generale principio di parità di
trattamento, del che la stessa sentenza impugnata ha dato atto.
Analoga censura viene sostanzialmente mossa, sotto forma di vizio di
motivazione, nel decimo motivo, ove si denuncia che la Corte territoriale ha
omesso di valutare l’aggravante della volontarietà delle condotte ascritte
all’odierno controricorrente, che almeno in quattro occasioni aveva quanto
meno concorso a raggirare la banca per favorire illecitamente alcuni correntisti
cui l’istituto di credito aveva vietato di operare a causa dello scorretto utilizzo,
da parte loro, dei rispettivi conti correnti.
Con l’undicesimo motivo si lamenta, in subordine, violazione degli artt. 1 e 3
legge n. 604/66 per omessa motivazione circa la convertibilità del
licenziamento, intimato per giusta causa, quanto meno in licenziamento per
giustificato motivo soggettivo.
Infine, con il dodicesimo motivo si denuncia, in ulteriore via gravata,
violazione degli artt. 3 legge n. 604/66, 18 Stat., 1218 e 1227 c.c. e omessa
motivazione, per non avere la sentenza impugnata risposto all’eccezione di
riducibilità del danno liquidato ex art. 18 Stat. in considerazione del
comportamento che era stato all’origine del licenziamento, comportamento
imputabile allo stesso lavoratore.
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R.G. n. 12517/13
Ud. 18.12.15
Banca Monte dei Pachi di Siena c. Franzutti
Estensore: doti. Antonio Manna

2- In quanto avente carattere potenzialmente assorbente rispetto ad ogni
altra censura svolta in ricorso va esaminato preliminarmente il sesto motivo,

che risulta fondato.
È noto che nel novero delle norme a variabile contenuto assiologico – c.d.
“elastiche” – rientrano anche quelle in tema di giusta causa o giustificato
motivo.
A differenza delle norme a contenuto certo o definitorio, ovvero a “struttura
rigida”, quelle a variabile contenuto assiologico richiedono all’interprete giudizi
di valore su regole o criteri etici o di costume o proprie di discipline eio di
ambiti anche extragiuridici.
Gli esempi sono innumerevoli: oltre ai concetti di giusta causa o di giustificato
motivo si pensi, ad esempio, a quelli di buona fede nelle trattative, interesse del
minore, concorrenza sleale, vincolo pertinenziale, carattere creativo dell’opera
dell’ingegno, importanza dell’inadempimento, danno ingiusto, stato di bisogno
etc.
Mentre l’interpretazione delle norme a struttura rigida o definitoria non pone
seri problemi di delimitazione del sindacato di legittimità, ben più difficoltoso è il
distinguere giudizio di fatto e giudizio di diritto quando si passi ad interpretare
norme elastiche o clausole generali.
La soluzione implica una brevissima digressione (senza alcuna pretesa di
esaustività) sulla natura dell’interpretazione nomofilattica, muovendo dalla
giurisprudenza di questa S.C. proprio in tema di giusta causa di licenziamento e
proporzionalità tra infrazione disciplinare e sanzione.
Come altre volte statuito (v., ex ah-1s, Cass. n. 6501/13, Cass. 26.4.2012 n.
6498; Cass. 2.3.2011 n. 5095; Cass. 13.12.2010 n. 25144), si tratta di nozioni
che la legge, allo scopo di adeguare le norme alla realtà articolata e mutevole
nel tempo, configura attraverso disposizioni, di minimo contenuto clefinitorio,
che delineano un modulo generico che ha bisogno di essere specificato, in sede
interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla
coscienza generale sia di principi che la stessa disposizione tacitamente
richiama. Tali specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica e la
loro violazione o mancata applicazione è, quindi, denunciabile in sede di
legittimità, mentre l’accertamento della ricorrenza e della ricostruzione dei fatti
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R.G. n. 12517/13
Ud 18.12.15
Banca Monte dei Pasehi di Siena e. Franzutti
Estensore: doti. Antonio Manna

che specificano il parametro normativo si pone sul diverso piano del giudizio di
merito.
Pertanto, l’operazione valutativa compiuta dal giudice di merito nell’applicare

norme elastiche come quelle in discorso non sfugge alla verifica in sede di
legittimità, poiché l’operatività in concreto di norme di tale tipo deve rispettare
criteri e principi desumibili dall’ordinamento.
L’opinione contraria non solo sottrarrebbe all’opera di nomofilachia le norme
(quelle c.d. elastiche) che più esprimono l’assetto valoriale d’un dato
ordinamento giuridico e che, proprio per la loro marcata variabilità assiologica,
più di altre necessitano di un’unificazione interpretativa, ma ridurrebbe l’attività
della Corte Suprema alla mera individuazione, a livello generale, del significato
da assegnare al testo normativa, al punto che la soluzione nel caso concreto
sottopostole sarebbe solo un effetto secondario della prima operazione, quasi
un non voluto sottoprodotto.
Addirittura, estremizzando, si è sostenuto da parte di certa dottrina che la
nomofilachia sarebbe una funzione a sé, esterna all’area giurisdizionale
propriamente detta e analoga all’attività dottrinale, perché l’analisi del caso
singolo sarebbe utile al solo fine di mettere alla prova l’interpretazione, fermo
restando – però – che l’opera di nomofilachia consisterebbe pur sempre nella
formulazione in termini generali del significato della norma.
È chiara l’opzione culturale di tale assunto, che privilegia il profilo meramente
cognitivo: ma essa coglie solo una parte del vero, nel senso che
l’interpretazione meramente descrittiva di significato è attività ermeneutica
monca se non completata dalla verifica della correttezza dell’operazione di
sussunzione effettuata dal giudice di merito.
Per meglio dire, quella puramente e semplicemente descrittiva di significato
non è un’attività di interpretazione propria del diritto, ma è comune a
qualsivoglia branca del sapere.
Solo l’interpretazione mediante opera di sussunzione del caso concreto nella
portata regolatrice della norma è attività prettamente giurisdizionale. L’analisi
del fatto non è un mero strumento di verifica della tenuta dell’interpretazione
descrittiva, ma funge da completamento e definizione (nel senso di una sorta di
regolamento “dei confini”) dell’interpretazione conoscitiva e decisoria accolta.

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RG. n. 12517/13
Ud. 18.12.15
Banca Monte dei Paschi di Siena c. Franzutti
Estensore: don. Antonio Manna
Invero, a differenza dell’interpretazione dottrinale, quella giurisprudenziale
non si riduce mai ad un’interpretazione meramente descrittiva di significato e
ciò perché il giudice – anche a livello di Corte Suprema – non può limitarsi a

prendere atto dei possibili molteplici significati della norma, dovendo pur
sempre preferirne uno in base alla sua idoneità a risolvere la controversia,
secondo una scelta di valore determinata non da mere convinzioni personali,
ma dalla coerenza con gli altri valori presenti nell’ordinamento.
A sua volta l’interpretazione decisoria – e quella dei giudici è sempre tale – si
svolge in due passaggi: il primo consiste nel riformulare un enunciato e, perciò,
tale interpretazione viene concettualmente equiparata alla traduzione, nel senso
che stabilisce una relazione sinonimica tra una proposizione del linguaggio
legislativo e una del linguaggio dottrinale o giurisprudenziale.
Il passaggio ulteriore, quello di sussunzione, consiste nell’applicare ad un
singolo caso controverso la norma previamente individuata in sede di
interpretazione in astratto.
In termini sostanzialmente analoghi si esprimono sia la teoria analitica sia
quella ermeneutica dell’interpretazione: interpretare un testo normativo non
vuol dire descrivere ciò che esso rivela, ma ascrivere ad esso un contenuto
semantico, che non si trova già preconfezionato nella norma, ma ha bisogno
dell’opera dell’interprete che lo sceglie – appunto – tra i molteplici significati
possibili attraverso un procedimento dialettico in cui norma, fattispecie astratta
e fatto interagiscono.
In

sintesi,

quella

nomofilattica

della

S.C.

è

un’interpretazione

giurisprudenziale (anche) decisoria, inizialmente non dissimile da quella che
spetta pure al giudice di merito.
Ciò che la rende peculiare rispetto all’interpretazione svolta a livello di merito
è – invece – la ricerca di un’armonizzazione tra diversi enunciati affinché nel
loro insieme “facciano sistema”, ossia stabiliscano le condizioni di base di una
uniforme interpretazione giurisprudenziale, valore servente rispetto a quello,
primario, dell’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge (o, rectius, di
fronte al diritto).
Tale premessa è sicuramente più coerente con l’opinione tradizionale (che
risale ai più autorevoli studi che siano stati compiuti sulla funzione delle Corti
Supreme) secondo cui spetta al giudice di legittimità verificare se il fatto
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R.G. n. 12517113
Ud 18.12.15
Banca Monte dei Paschi di Siena c. Franzutii
Estensore: don. Antonio Manna

ricostruito in sede di merito sia stato correttamente ricondotto alla norma poi
applicata. Non a caso, tanto l’art. 360 c.p.c. quanto l’art. 606 c.p.p. rendono
denunciabile per cassazione non solo la violazione o l’inosservanza di norme di

diritto, ma anche la loro falsa od erronea applicazione.
Prova ne sia che – come osservato in dottrina – non di rado la legge (quindi
una fonte del diritto) sostituisce le clausole generali contenute in un dato testo
normativo con più precisi enunciati che riproducono proprio quelli
giurisprudenziali sedimentatisi nell’interpretarle.
Sempre nella medesima prospettiva il discrimine tra giudizio di fatto e giudizio
di diritto è stato individuato nella distinzione tra ricostruzione storica
(assoggettata ad un mero giudizio di fatto) e giudizi di valore, sicché – sia detto
in breve – ogni qual volta un giudizio apparentemente di fatto si risolva, in
realtà, in un giudizio di valore, come nel caso in esame, si è in presenza d’una
interpretazione di diritto, in quanto tale attratta nella sfera d’azione della Corte
Suprema.
Nella vicenda in oggetto si perviene a conclusioni analoghe anche alla luce
della teoria teleologica (di origine tedesca), secondo la quale il giudice di
legittimità può esercitare il proprio sindacato nei casi in cui i giudizi di
sussunzione gli consentano di formulare principi generali suscettibili, in futuro,
di essere utilizzati come precedenti, vale a dire quando il caso concreto presenti
caratteri sufficientemente tipici e, quindi, ripetibili.
E, come meglio sarà evidenziato nel prosieguo di motivazione, i contorni della
presente controversia si prestano a tale sindacato.
La sentenza impugnata afferma che attraverso le abusive operazioni sui
depositi di ignari correntisti il Franzutti si sarebbe rimborsato da sé d’un
precedente ammanco di circa 500,00 euro di cui non sarebbe stato
responsabile, così evitando soltanto un ingiustificato arricchimento per la banca.
Ora, anche a voler prescindere da ogni altra considerazione sulla logicità o
meno di tale affermazione e l’assenza di prova e di motivazione (lamentata
dalla società ricorrente) circa l’assunto difensivo del lavoratore, resta il rilievo
che persino in tale (riduttiva) ottica i suo reiterati comportamenti (che la Corte
di merito non ritiene mossi da scopi di lucro personale) integrano
necessariamente giusta causa di licenziamento per irrimediabile lesione
dell’elemento fiduciario che caratterizza il rapporto di lavoro, tenuto conto
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R.G. n. 125)7113
Ud. 18.12i5
Banca Monte dei Pasehi di Siena c. Franzutii
Estensore: dott. Antonio Manna

altresì delle specifiche mansioni espletate dall’odierno controricorrente (addetto
clientela di base).
Invero, arbitrarie operazioni sui depositi di ignari correntisti ne ledono la

fiducia verso l’istituto di credito, indipendentemente dal fatto che ognuno di essi
sia stato poi rimborsato o dall’esistenza e dall’entità d’un qualche danno
concreto: il vulnus nei rapporti fra clienti e banca consiste nel fatto che i primi
si sentiranno esposti al rischio che anche in futuro avvengano sui propri cic
operazioni non autorizzate.
Ma la ricaduta negativa è duplice: dall’altro lato vi è una lesione del rapporto
tra banca e dipendente, in cui quest’ultimo si arroga il diritto di scegliere da sé
le modalità a suo giudizio più idonee a far quadrare i conti, in una prospettiva di
assoluta anomia in cui ciascuno provvede da sé, senza informare i superiori e
chiarire l’origine di eventuali ammanchi.
Si tratta d’un modus operandi che, pur nella migliore delle ipotesi (cioè anche
in quella accolta dalla gravata pronuncia), evidenzia una totale indifferenza
verso i propri doveri da parte del dipendente, il che mina quell’affidamento sul
futuro puntuale adempimento dell’obbligazione lavorativa che costituisce il
nucleo irriducibile dell’elemento fiduciario del rapporto in questione.
Nel caso di specie è la stessa sentenza d’appello a segnalare che le ripetute
irregolarità nelle operazioni di addebito/accredito commesse dal Franzutti sono
state il frutto non già d’un mero errore materiale, ma d’una sua consapevole
scelta di trasferire su ignari depositanti l’importo complessivo del deficit
asserito, sia pure ripromettendosi di ripianare poi il tutto.
Non è pensabile che in organizzazioni complesse come gli istituti di credito,
che hanno il compito precipuo di custodire i risparmi della clientela e di gestirli
secondo le istruzioni ricevute, un singolo dipendente possa scegliere se, come e
a carico di chi far fronte ad ipotetici ammanchi (la cui origine non risulta
neppure ben chiarita dall’apodittica motivazione resa sul punto dalla Corte
territoriale).
Poco importa che il vantaggio di tali operazioni consapevolmente poste in
essere dal Franzutti sia stato personale o di terzi, temporaneo o definitivo,
foriero di sensibili o di modesti pregiudizi economici o soltanto irrispettoso
dell’organizzazione e della disciplina del lavoro: in ogni caso, al di là della
formulazione letterale d’una contestazione disciplinare che per sua stessa
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R.G. n. 12517/13
Ud. 18.12.15
Banca Monte dei Paschi di Siena c. Frannati
Estensore: dott. Antonio Manna

natura è meramente descrittiva e che non richiede l’uso di formule sacramentali
per addebitare a taluno delle sostanziali sottrazioni o distrazioni di fondi (come,
in pratica, si afferma nel terzo motivo di ricorso), si tratta di fatti idonei ad

integrare appropriazioni indebite aggravate ai danni, si badi, proprio dell’istituto
di credito, appropriazioni astrattamente sanzionabili (non solo in via
disciplinare, ma anche) in sede penale ai sensi degli artt. 646 e 61 n. 11 c.p.
In tal senso è la giurisprudenza delle sezioni penali di questa Corte Suprema,
che statuisce che il dipendente di un istituto di credito destinatario dell’obbligo
di custodia di danaro, valori e titoli, qualora disponga (a favore proprio o di
terzi) di somme depositate su un c/c, risponde di appropriazione indebita in
danno della banca e non già del correntista (cfr. Cass. pen. n. 28786/15), nel
senso che soggetto passivo (vale a dire titolare del bene-interesse giuridico,
protetto dalla norma) è l’istituto di credito, mentre danneggiato può essere,
oltre a quest’ultimo, anche il titolare del conto.
Tale configurazione deriva dal rilievo – già altre volte evidenziato da questa
Corte – che la proprietà delle somme di danaro versate in banca dal titolare di
un deposito in conto corrente spetta, ai sensi dell’art. 1834 c.c., alla banca
depositaria, mentre al correntista l’art. 1852 c.c. riconosce solo il potere di
disporre in qualsiasi momento delle somme risultanti a suo credito,
escludendolo anche dal possesso di dette somme che, per quanto contabilizzate
nel conto di sua pertinenza, fanno tuttavia parte della massa monetaria
appartenente alla banca.
A ciò si aggiunga che l’appropriazione indebita, contrariamente a quanto
sembra implicitamente supporre la motivazione della gravata pronuncia, può
essere anche a vantaggio di terzi e il relativo profitto (lungi dal dover avere una
connotazione necessariamente patrimoniale: cfr. Cass. pen. n. 40119/10), può
non essere ingiusto a patto che sia conforme all’esercizio d’un diritto, cosa che
però nemmeno i giudici d’appello hanno asserito nel caso di specie.
In breve, quelle ascritte al controricorrente sono state (alla luce degli
accertamenti effettuati dagli stessi giudici di merito) consapevoli e reiterate
condotte poste in essere in spregio delle procedure interne, dei diritti dei
correntisti e dell’interesse datoriale al mantenimento di un’affidabile e,
soprattutto, trasparente organizzazione del lavoro in un settore particolarmente
delicato come quello bancario.
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R.G. n. 12517/13
Ud 18.12.15
Banca Manie dei Paschi di Siena c. Franz-urti
Estensore: doti. Antonio Manna

Da ultimo, quanto alla circostanza che in precedenti analoghe vicende la
banca avrebbe adottato solo sanzioni conservative a carico di dipendenti di altre

motivo di ricorso), basti ricordare che l’insussistenza d’un generale principio di
parità di trattamento, segnatamente in materia disciplinare (cfr., ex anis, Cass.
n. 16682/15; Cass. n. 2018/95), esclude che la tolleranza manifestata dal
datore di lavoro in certe occasioni debba necessariamente essere estesa anche
ad altre analoghe.
In altre parole, se in un determinato caso il datore di lavoro rinuncia ad
esercitare il proprio diritto di recedere per giusta causa dal rapporto (e ciò può
derivare dalle ragioni più svariate e imprevedibili), non per questo dovrà
immancabilmente farlo anche in futuro a fronte di condotte analoghe od anche
meno gravi ma, comunque, pur sempre passibili di licenziamento.

3- In conclusione, va accolto il sesto motivo di ricorso, con conseguente
assorbimento delle restanti censure e cassazione della sentenza impugnata in
relazione al motivo accolto.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ex art. 384 co. 2° c.p.c.
la causa va decisa nel merito con il rigetto della domanda, sia pure
compensandosi fra le parti le spese dell’intero processo, considerati gli esiti
alterni dei gradi di merito.
P.Q.M.
La Corte
accoglie il sesto motivo di ricorso, assorbiti i restanti, cassa la sentenza
impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta la
domanda. Compensa fra le parti le spese dell’intero processo.
Così deciso in Roma, in data 18.12.15

filiali (come afferma la gravata pronuncia, con affermazione criticata nel nono

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