Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6900 del 20/03/2018


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Cassazione civile, sez. lav., 20/03/2018, (ud. 13/12/2017, dep.20/03/2018),  n. 6900

Fatto

La Corte di Appello di Bologna, con sentenza del 26 novembre 2012, in riforma della pronuncia di primo grado, ha respinto le domande proposte da V.C., M.F., Ma.Ce., I.G., Mo.Ma. nei confronti di Autostrade per l’Italia Spa volte al riconoscimento di una indennità risarcitoria per l’illegittima previsione nei rispettivi contratti part-time, in violazione della L. n. 726 del 1984, art. 5, comma 2, secondo cui il contratto a tempo parziale deve contenere “la distribuzione dell’orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno”, di una riserva a favore del datore di lavoro di una turnazione disposta unilateralmente;

che la Corte territoriale, pur ritenendo come il primo giudice l’illegittimità della “clausola elastica” di distribuzione dell’orario, ha riformato la sentenza di primo grado per aver “liquidato il danno ricorrendo alla liquidazione in via equitativa sul presupposto di una presunta potenzialità della clausola a determinare siffatta maggiore penosità ed onerosità e pertanto in carenza di prova che i lavoratori erano tenuti a dimostrare”;

che per la cassazione di tale sentenza hanno proposto un unico ricorso i lavoratori con 2 motivi, illustrati da memoria, cui ha resistito con controricorso Autostrade per l’Italia Spa;

che la Procura Generale ha concluso per il rigetto del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che con il primo motivo si denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., artt. 1218 e 2697 c.c., nonchè dell’art. 432 c.p.c., per avere la sentenza impugnata negato la liquidazione equitativa, nonostante l’inadempimento contrattuale della datrice di lavoro e la presenza accertata di tutti gli elementi di fatto che la consentissero;

che la censura è fondata in continuità con i precedenti di questa Corte intervenuti in analoghe controversie giudiziarie che hanno visto soccombente Autostrade per l’Italia Spa (Cass. n. 12467 del 2011; Cass. n. 23600 del 2014; Cass. n. 25680 del 2014; Cass. n. 27553 del 2016);

che è risalente (v. Cass. n. 1721 n. 2009 ed i precedenti ivi richiamati) il principio secondo cui dall’accertata illegittimità delle clausole elastiche nel contratto part-time non consegue l’invalidità del contratto, nè la trasformazione in contratto a tempo indeterminato, ma solo l’integrazione del trattamento economico, ex art. 36 Cost. ed art. 2099 c.c., comma 2, atteso che la disponibilità alla chiamata del datore di lavoro, di fatto richiesta al lavoratore, pur non potendo essere equiparata a lavoro effettivo, deve comunque trovare adeguato compenso, in considerazione della maggiore penosità ed onerosità che di fatto viene ad assumere la prestazione lavorativa per la messa a disposizione delle energie lavorative per un tempo maggiore di quello effettivamente lavorato; che le conseguenze patrimoniali sono connesse con i maggiori oneri derivanti nella sfera giuridica del lavoratore in termini di mera attesa in disponibilità alla “chiamata” al lavoro da parte del datore (Cass. n. 4229 del 2016; Cass. n. 1121 del 1996); che a tal fine rilevano la difficoltà di programmazione di altre attività, l’esistenza e la durata di un termine di preavviso, la percentuale delle prestazioni a comando rispetto all’intera prestazione, l’eventuale quantità di lavoro predeterminata in misura fissa, la convenienza dello stesso lavoratore a concordare di volta in volta le modalità della prestazione, tutti elementi che consentono la valutazione equitativa (cfr. Cass. n. 24566 del 2009; Cass. n. 12467 del 2011; Cass. n. 23600 del 2014) in quanto comprimono un discrimine, che non può che restare rigoroso, fra tempi di vita e tempi di lavoro, fra condizione di autonomia e situazione di soggezione ad un altrui potere di intervento e di organizzazione;

che Cass. n. 25680 del 2014 è giunta a ritenere che “il principio di diritto sopra richiamato prospetta, nell’ipotesi del part-time a comando o a chiamata, l’emergere, a prescindere da qualsiasi onere probatorio, di un danno in re ipsa, dato dalla maggiore penosità ed onerosità che di fatto viene ad assumere la prestazione lavorativa per la messa a disposizione delle energie lavorative per un tempo maggiore di quello effettivamente lavorato e in sè idoneo a legittimare il riconoscimento dell’integrazione economica che va solo quantificata sulla base di un giudizio equitativo”;

che la Corte territoriale non si è attenuta a tali principi perchè, nonostante la presenza di elementi che consentissero di determinare la percentuale delle prestazioni a comando rispetto all’intera prestazione, la quantità di lavoro predeterminata in misura fissa, l’entità e la durata del termine di preavviso, e quindi l’influenza di tale messa a disposizione ad libitum del datore di lavoro sulla possibilità di programmazione di altre attività e sulla conseguente maggiore penosità ed onerosità del lavoro, ha negato la liquidazione equitativa del danno, senza peraltro specificare quali fossero gli elementi che rendessero possibile una determinazione certa dell’importo della somma dovuta al punto da escludere l’applicazione dell’art. 432 c.p.c.;

che l’assunto qui condiviso è altresì coerente con il D.Lgs. n. 61 del 2000, che, pur non applicabile ratione temporis al giudizio che ci occupa, costituisce un significativo supporto dal punto di vista interpretativo in considerazione del fatto che detto decreto attua la direttiva 97/81/CE, relativa all’accordo-quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES, e l’art. 8 dopo aver premesso che l’eventuale mancanza o indeterminatezza nel contratto scritto delle indicazioni di cui all’art. 2, comma 2, non comporta la nullità del contratto di lavoro a tempo parziale – contempla due ipotesi: qualora l’omissione riguardi la durata della prestazione lavorativa, può essere dichiarata la sussistenza fra le parti di un rapporto di lavoro a tempo pieno a partire dalla data del relativo accertamento giudiziale; qualora invece l’omissione riguardi la sola collocazione temporale dell’orario, il giudice provvede a determinare le modalità temporali di svolgimento della prestazione lavorativa a tempo parziale con riferimento alle previsioni dei contratti collettivi, o, in mancanza, con valutazione equitativa, tenendo conto in particolare delle responsabilità familiari del lavoratore interessato, della sua necessità di integrazione del reddito derivante dal rapporto a tempo parziale mediante lo svolgimento di altra attività lavorativa, nonchè delle esigenze del datore di lavoro; in ogni caso, per il periodo anteriore alla data della pronuncia della sentenza, “il lavoratore ha in entrambi i casi diritto, in aggiunta alla retribuzione dovuta, alla corresponsione di un ulteriore emolumento a titolo di risarcimento del danno, da liquidarsi con valutazione equitativa”, configurandosi una responsabilità di natura contrattuale e conseguente prova liberatoria a carico della parte inadempiente (v. Cass. n. 27553 del 2016);

che conclusivamente il primo motivo di gravame deve essere accolto, assorbito il secondo, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte indicata in dispositivo che, ferma l’illegittimità della clausola, si uniformerà a quanto statuito, provvedendo altresì sulle spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione ad esso e rinvia alla Corte di Appello di Bologna, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 13 dicembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2018

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