Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 69 del 07/01/2010

Cassazione civile sez. I, 07/01/2010, (ud. 08/10/2009, dep. 07/01/2010), n.69

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. SALME’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. SALVATO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

F.G. – domiciliato ex lege in ROMA, presso la Cancelleria

civile della Corte Suprema di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avv. Marra Alfonso Luigi, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente del

Consiglio pro tempore – domiciliata ex lege in Roma, via dei

Portoghesi, 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale

è rappresentata e difesa;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’appello di Napoli depositato il

16.1.2007;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio

dell’8 ottobre 2009 dal Consigliere dott. Luigi Salvato e letta la

relazione dallo stesso redatta in data 9 marzo/1 luglio 2009.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

F.G. adiva la Corte d’appello di Napoli, allo scopo di ottenere l’equa riparazione ex lege n. 89 del 2001 in riferimento al giudizio promosso innanzi al Tar Campania con ricorso del 3.7.97, avente ad oggetto la quantificazione del t.f.r. e la restituzione di somme trattenute dall’INADEL, non ancora definito alla data del 18.10.2006.

La Corte d’appello, con decreto del 16.1.2007, fissata la durata ragionevole del giudizio in anni tre, ritenuto violato dette termine per liquidava per il danno non patrimoniale Euro 1.000,00 per ogni anno di ritardo, quindi complessivi Euro 6.290,00, con il favore delle spese del giudizio.

Per la cassazione di questo decreto ha proposto ricorso F. G., affidato a undici motivi; ha resistito con controricorso la Presidenza de Consiglio dei ministri.

Ritenute sussistenti le condizioni per la decisione in camera di consiglio è stata redatta relazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comunicata al Pubblico Ministero e notificata alle parti costituite.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – La relazione ex art. 380-bis c.p.c. ha il seguente contenuto:

“1.- Con i primi quattro motivi è denunciata erronea e falsa applicazione di legge (L. n. 89 del 2001, art. 2, artt. 1 e 6, p.1 CEDU), in relazione al rapporto tra norme nazionali e la CEDU, nonchè della giurisprudenza della Corte di Strasburgo e di questa Corte ed omessa, insufficienza o contraddittoria motivazione, omessa decisione di domande (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5; art. 112 c.p.c.) e, in sintesi, sono poste le seguenti questioni:

a) questione relativa alla efficacia della CEDU nell’ordinamento interno ed all’efficacia vincolante per il giudice nazionale della giurisprudenza della Corte EDU (sostanzialmente riproposta in tutti i motivi, richiamando sentenze del la Corte europea e di questa Corte) ed è formulato il seguente quesito: “la L. n. 89 del 2001 e specificamente l’art. 2 costituisce applicazione dell’arti. 6, par. 1 CEDU e in ipotesi di contrasto tra la Legge Pinto e la CEDU, ovvero di lacuna della legge nazionale si deve disapplicare la legge nazionale ed applicare la CEDU?” (motivo 1).

b) Questioni concernenti la quantificazione del danno.

Secondo l’istante, ratione materiae doveva essere liquidato un bonus di Euro 2.000,00 (sono richiamate alcune sentenze della Corte EDU ed è formulato il seguenti quesito: “spetta un ulteriore somma rationae materiae (bonus di Euro 2.000,00), trattandosi di diritti dei lavoratori come stabilito dal a CEDU, o comunque l’equo indennizzo per tali materie va calcolato in misura maggiore?” (motivo 2) e ciò costituisce violazione dell’art. 112 c.p.c., non avendo la Corte d’appello deciso su una delle domande proposte dalla parte istante (motivo 3), incorrendo in difetto di motivazione (motivo 4).

1.1.- I motivi dal quinto all’undicesimo denunciano violazione dell’art. 6, p.1 CEDU e dell’art. 1 del protocollo addizionale, della L. n. 89 del 2001, art. 2 degli artt. 91. e 92, 112 e 132 c.p.c., della L. 794 del 1942, art. 24, delle tariffe professionali, nonchè difetto di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5, artt. 112 e 132 c.p.c.), nella parte concernente la liquidazione delle spese del giudizio e, in sintesi, sono poste le seguenti questioni:

a) nella specie non dovrebbe aversi riguardo alla tariffa per i procedimenti di volontaria giurisdizione, ed è formulato il seguente quesito di diritto “alla fattispecie concreta e con riguardo alle spese di lite, premesso cha trattasi di un procedimento ordinario contenzioso (e non di v.g.) vanno applicate le tariffe professionali per i procedimenti ordinar contenziosi (e non quelli di volontaria giurisdizione)?” (motivo 5) e questo stesso quesito è reiterato negli stessi identici termini nel motivo 7; la parte soccombente deve essere condannata alle spese di lite, ed è formulato il seguente quesito di diritto “è legittimo, con riferimento alla fattispecie che ci occupa, un accoglimento della domanda con liquidazione di spese insufficiente o parziale compensazione delle spese, anche in considerazione dell’art. 1 prot. add CEDU direttamente applicabile al caso di specie?” (motivo 6) ed i provvedimento sarebbe carente nella motivazione sulle spese in misura insufficiente (motivo 8); il decreto avrebbe liquidato le spese del giudizio in misura insufficiente e si sarebbe posto in contrasto con le quantificazioni operate da questa Corte (sono indicate alcune somme senza indicazione delle sentenze) ed ha formulato il seguente quesito “le spese liquidate dal giudice di primo grado sono sufficienti in relazione all’attività svolta, alle tariffe professionali vigenti ed alla nota spese?” (motivo 9); sono riportate le voci tariffarie asseritamente dovute, per sostenere che emergerebbe chiara la violazione di legge ed è formulato il seguente quesito “può il giudice, nel liquidare le spese ed in presenza di nota spese specifica, disattendere la stessa liquidando spese, diritti ed onorari inferiori a quelli richiesti e comunque escludere o ridurre alcune delle voci tariffarie indicate nella nota spese?” (motivo 10) e sul punto è denunciato anche difetto di motivazione riportando nel ricorso specifica nel a quale sono riportate le diverse voci tariffarie, in relazione ai diversi scaglioni (motivo 11).

2. – I motivi indicati nel p.1 da esaminare congiuntamente, perchè giuridicamente e logicamente connessi, sono manifestamente infondati.

a) Relativamente alla questione sub a), ammissibile e rilevante per l’incidenza su quelle ulteriori, va ribadito il principio enunciato dalle S.U., in virtù del quale il giudice italiano, chiamato a dare applicazione alla L. n. 89 del 2001, deve interpretare detta legge in modo conforme alla CEDU per nome essa vive nella giurisprudenza della Corte europea. Siffatto dovere opera entro i limiti in cui detta interpretazione conforme sia resa possibile dal testo della stessa L. n. 89 del 2001 (sentenza n. 1338 del 2004) e, come affermato dalla Corte costituzionale – contrariamente all’assunto dell’istante, che si palesa perciò manifestamente erroneo – al giudice nazionale “spetta interpretare la norma interna in modo conforme olla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali ciò sia permesso dai testi delle norme. Qualora ciò non sia possibile, ovvero dubiti della compatibilità della norma interna con a disposizione convenzionale interposta, egli deve investire questa Corte della relativa questione di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell’art. 117 Cost., comma 1” (sentenze n. 348 e n. 349 del 2007).

Resta dunque escluso che, in caso di contrasto, possa procedersi alla “non applicazione” della norma interna, in virtù di un principio concernente soltanto il caso del contrasto tra norma in tema e norma comunitaria.

In questi termini è il principio che può essere enunciato in relazione al quesito formulato con il primo motivo, che rivela la manifesta infondatezza della censura, nei termini in cu i è stata proposta.

b) Relativamente alla quantificazione del danno ed ai motivi 2, 3 e 4, va ribadito che deve escludersi che le norme disciplinatrici della fattispecie permettano di riconoscere – come ha invece sostenuto l’istante – una ulteriore, più elevata somma, svincolata da qualsiasi parametro e dovuta in considerazione dell’oggetto e della natura della controversia.

Infatti, come ha chiarito questa Corte, i giudici europei hanno affermato che il ed. bonus in questione va riconosciuto nel caso in cui la controversi a riveste una certa importanza ed ha fatto un elenco esemplificativo, comprendente le cause di lavoro e previdenziali. Tuttavia, ciò non implica alcun automatismo, ma significa soltanto che dette cause, in considerazione della loro natura, è probabile che siano di una certa importanza (Cass. n. 30570, n. 18012 del 2009). Siffatta valutazione rientra nella ponderazione del giudice del merito, che deve rispettare il parametro sopra indicato, con la facoltà di apportare le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda (quali: l’entità della “posta in gioco”, il “numero dei tribunali che hanno esaminato il caso in tutta la durata del procedimento” ed il comportamento della parte istante; per tutte, Cass. n. 1630 del 2006; n. 1631 del 2006; n. 19029 del 2005), purchè motivate e non irragionevoli (tra le molte, Cass. n. 30064 e n. 6898 del 2008; n. 1630 e n. 1631 del 2006).

Il giudice del merito può, quindi, attribuire una somma maggiore, qualora riconosca la causa di particolare rilevanza per la parte, senza che ciò comporti uno specifico obbligo di motivazione, da ritenersi compreso nella liquidazione del danno, sicchè se il giudice non si pronuncia sul cd. bonus, ciò sta a significa re che non ha ritenuto la controversia di tale rilevanza da riconoscerlo (Cass. n. 30570, n. 18012 del 2008).

In questi termini sono i principi che possono essere enunciati in rei anione ai quesiti posti con i motivi 2 e 3, con conseguente manifesta infondatezza di detti mezzi e del 4.

Il decreto ha, intatti applicato il parametro della Corte EDU, liquidando Euro 1.000,00 per anno di ritardo, quale indennizzo per il danno non patrimoniale e rispetto all’osservanza di detto parametro le argomentazioni svolte dall’istante sono manifestamente astratte, scollegate dalla fattispecie concreta e non si danno carico di dedurre le ragion i specifiche che avrebbero permesso di disattenderlo.

2.1. I motivi indicati nel p.1.1 possono essere esaminati congiuntamente, perchè logicamente connessi, sembrano in parte manifestamente fondati, entro i limiti di seguito precisati.

In linea preliminare, va osservato che incongruamente due dei motivi (quinto e settimo) si concludono con lo stesso quesito di diritto e pongono la stessa questione reiterata in modo non logicamente coordinato nei motivi ottavo e decimo.

Sembrano altresì manifestamente inammissibili le censure (ed i corrispondenti profili de i quesiti) incongrue, i n quanto non correlate aia ratio decidendi del decreto e che in nessun modo tengono conto della fattispecie, ovvero si risolvono in argomentazioni astratte e prive di pertinenza con il caso di specie.

Tanto va rilevato In relazione ai motivi: sesto, laddove si fa riferimento ai presupposti della compensazione, nella specie non disposta ed alla necessità che le spese seguono la soccombenza, che è ciò che è accaduto nel caso in esame; nono, quanto alla astratta deduzione di sufficienza della spese liquidate; decimo, quanto alla possibilità del giudice di ridurre le voci della nota spese, essendo chiaro che ciò è possibile se tanto risulta dalla applicazione delle norme.

Posta questa premessa, le questioni poste vanno risolte facendo applicazione dei seguenti principi, già enunciati da questa Corte:

la L. n. 89 dei 2001 non reca nessuna specifica norma in ordine al regime delle spese all’esito dello svolgimento del processo camerale di cui all’art. 3, comma 4 e, in virtù del richiamo ivi effettuato, si applicano sul punto le norme del codice di rito, avendo anche il legislatore dimostrato attenzione a questo profilo, esonerando il ricorrente dal contributo unificato (L. n. 89 del 2001, art. 5-bis e, successivamente, D.Lgs. n. 115 del 2002, artt. 10 e 265,) (Cass. n. 23789 del 2004);

le disposizioni dell’art. 91 c.p.c. e segg. in terna di spese processuali trovano applicazione, in linea generale, nel procedimento camerale nel caso in cui questo statuisca su posizioni soggettive in contrasto, come accade nella specie, serica che nessun ostacolo di applicazione di detta normativa provenga dalla Convenzione CEDU ovvero dal Protocollo aggiuntivo (Cass. n. 12021 del 2004), restando esclusa l’applicazione analogica delle disposizioni sulle spese vigenti per i procedimenti innanzi alla Corte di Strasburgo (Cass. n. 1078 del 2003);

dalla CEDU non discende un obbligo, a carico del legislatore nazionale, di conformare il processo per l’equa riparazione da irragionevole durata negli stessi termini previsti, quanto alle spese, per il procedimento dinanzi agli organi istituiti in attuazione della Convenzione, dovendosi escludere che l’assoggettamento del procedimento alle regole generali nazionali, e quindi al principio della soccombenza, possa integrare un’attività dello Stato che “miri alla distruzione dei diritti o delle libertà” riconosciuti dalla Convenzione o ad “imporre a tali diritti e libertà limitazioni più ampie di quelle previste dalla stessa Convenzione” (Cass. n. 18204 del 2003);

la configurazione del procedimento disciplinato dalla L. n. 89 del 2001 quale procedimento contenzioso comporta l’applicabilità della Tab. A-4^ e della Tab. B-1.

In questi termini sono i principi che possono essere enunciati in riferimento ai quesiti qui in esame.

In applicazione di tali principi, la considerazione che il decreto ha liquidato le spese in Euro 70,00 per diritti ed Euro 300,00 per onorari, esplicitamente richiamando la tariffa della Tab. A punto 50, p.7 (per gli onorari) e la Tab. B punto 75, p. 3 (per i diritti), rende manifestamente fondate le censure, nella parte in cui sono ammissibili.

Entro questi limiti i mezzi possono essere accolti; il decreto andrà cassato nel solo capo relativo alle spese e la causa decisa ne merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, mediante la liquidazione delle spese dovute per il giudizio di merito, in applicazione delle regole sopra indicate. Le spese di legittimità potranno essere compensate per due terzi, sussistendo giusti motivi, stante il limitato e parziale accoglimento del ricorso.

Pertanto, il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, ricorrendone i presupposti di legge.” 2.- Il Collegio reputa di dovere fare proprie le conclusioni contenute nella relazione, condividendo le argomentazioni che le fondano, occorrendo anzi sottolineare che il più recente orientamento di questa Corte avrebbe potuto legittimare una quantificazione più ridotta, quantificazione qui non riesaminabile in danno dell’istante, in difetto di ricorso incidentale.

In relazione alle censure accolte, il decreto deve essere cassato, limitatamente al capo concernente le spese del giudizio, e la causa può essere decisa nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, condannando l’intimata a pagare le spese del giudizio di merito, liquidate come in dispositivo, nonchè quelle della presente fase, limitatamente ad 1/3, sussistendo giusti motivi per dichiarare compensata la residua parte, stante il parziale accoglimento del ricorso, con attribuzione al difensore, per dichiarazione di anticipo.

PQM

La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato limitatamente al capo concernente le spese e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri a pagare le spese della fase di merito che liquida in complessivi Euro 1.190,00 di cui Euro 600,00 per diritti ed Euro 1.490,00 per onorario, nonchè un terzo delle spese della presente fase (compensate la residua parte), che liquida in complessivi Euro 350,00, di cui Euro 35,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge, con attribuzione al difensore, avv. Alfonso Luigi Marra, antistatario.

Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2010

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