Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6899 del 24/03/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 6899 Anno 2014
Presidente: CICALA MARIO
Relatore: CARACCIOLO GIUSEPPE

ORDINANZA
sul ricorso 16261-2012 proposto da:
ZITO ANNA ROSA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE
DEL PINTURICCHIO 89, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE
NARDELLI, rappresentata e difesa dall’avvocato DI PONZIO
VINCENZO giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente contro
COMUNE DI MARTINA FRANCA, in persona del Sindaco e legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
ITALO CARLO FALBO 22, presso lo studio dell’avvocato
COLUCCI ANGELO, rappresentato e difeso dall’avvocato
CIMAGLIA OLIMPIA giusta procura speciale in calce al
controricorso;

– controricorrente –

Data pubblicazione: 24/03/2014

avverso la sentenza n. 5/28/2012 della COMMISSIONE
TRIBUTARIA REGIONALE di BARI SEZIONE DISTACCATA di
TARANTO del 9/12/2011, depositata il 24/01/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
19/02/2014 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE

udito l’Avvocato Colucci Angelo (delega avvocato Cimaglia Olimpia)
difensore del controricorrene che ha chiesto il rigetto del ricorso
principale.

Ric. 2012 n. 16261 sez. MT – ud. 19-02-2014
-2-

CARACCIOLO;

La Corte,
ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in
cancelleria la seguente relazione:
Il relatore cons. Giuseppe Caracciolo,

Osserva:
Zito Anna Rosa propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della
Commissione tributaria regionale di Bari, con la quale -in controversia concernente
ingiunzione di pagamento per omesso pagamento da parte della predetta di Tarsu per
l’anno 2006, in relazione all’immobile in proprietà di detta contribuente sito in
Martina Franca e destinato a “parcamento di veicoli”- è stato dichiarato accolto
l’appello del Comune di Martina Franca avverso la sentenza n.509-05-2010 della
CTP di Taranto che aveva accolto il ricorso in impugnazione, sicchè il
provvedimento è risultato integralmente confermato.
La sentenza impugnata ha ritenuto che —atteso che l’art.62 del D.Lgs.507/1993
prevede esplicitamente i casi di esclusione dal pagamento della tassa per la
sussistenza di condizioni obiettive che impediscono la produzione di rifiuti, per la
natura stessa delle superfici o per il loro particolare uso o per l’obiettiva condizione
di utilizzabilità immediata- la prova della non idoneità del bene immobile a produrre
rifiuti o la sua sottoposizione a regimi impositivi più favorevoli incombe al
contribuente che, nella specie, aveva prodotto documentazione non utile a questo
proposito, siccome inidonea a superare la presunzione di assoggettabilità dei locali,
tenuto conto che la presenza dell’uomo connessa alle autovetture li rende comunque
idonei a produrre rifiuti.
La parte contribuente ha proposto ricorso affidandolo a quattro motivi.
L’Amministrazione comunale si è difesa con controricorso.

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letti gli atti depositati

Il ricorso — ai sensi dell’art.380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore- può essere
definito ai sensi dell’art.375 cpc.
Con il terzo e quarto motivo di impugnazione (l’uno centrato sull’inidonea
motivazione della sentenza e l’altro centrato sulla violazione dell’art.53 comma 2 del
D.Lgs. 546/1992, motivi che sono preliminari rispetto a quelli che precedono) la parte

appello per avere quello omesso di integrare il contraddittorio anche alla SOGET spa
(concessionaria per la riscossione del tributo), come inevitabile conseguenza del fatto
che quest’ultima era stata parte del processo di primo grado.
Entrambi i motivi (il primo del tutto inidoneamente formulato sub specie del vizio di
motivazione, e perciò propriamente inammissibile) debbono essere rigettati, alla luce
del costante insegnamento di codesta Suprema Corte (per tutte, Cass. Sez. 5,
Sentenza n. 10580 del 09/05/2007) secondo il quale:”In tema di contenzioso
tributario, la disposizione di cui all’art. 53, comma secondo, del d.lgs. 31 dicembre
1992, n. 546, secondo cui l’appello dev’essere proposto nei confronti di tutte le parti
che hanno partecipato al giudizio di primo grado, non fa venir meno la distinzione tra
cause inscindibili e cause scindibili: pertanto, ove la controversia abbia ad oggetto
l’esistenza dell’obbligazione tributaria, la mancata proposizione dell’appello anche nei
confronti del concessionario del servizio di riscossione, convenuto in primo grado
unitamente all’Amministrazione finanziaria, non comporta l’obbligo di disporre la
notificazione del ricorso in suo favore, quando sia ormai decorso il termine per
l’impugnazione, essendo egli estraneo al rapporto sostanziale dedotto in giudizio, con
la conseguente scindibilità della causa nei suoi confronti, anche nel caso in cui non
sia stato eccepito o rilevato il suo difetto di legittimazione”.
Venendo poi ai motivi primo e secondo (l’uno centrato sull’inidonea motivazione
della sentenza e l’altro centrato sulla violazione dell’art.62 comma 2 del
D.Lgs.507/1993), con essi la parte ricorrente si duole del fatto che —avendo il
materiale probatorio prodotto in causa da essa parte contribuente idoneità a conferire
certezza che nel locale in questione non vengono prodotti rifiuti- il giudice del merito

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ricorrente si duole della violazione della predetta norma da parte del giudice di

avrebbe dovuto ritenere superata la presunzione di cui all’art.62 ed avrebbe dovuto
sussumere la specie di causa nel comma secondo della predetta disposizione di legge,
e cioè nella previsione di non soggezione a tassazione dei locali che non possono
produrre rifiuti; si duole inoltre della violazione del predetto comma del’art.62 per
non avere il giudicante ritenuto sussistenti le condizioni per le quali il detto locale

I due motivi, strettamente connessi, non sono fondati (ed il primo addirittura
inammissibile, siccome sostanzialmente volto a sollecitare da parte della Corte una
rinnovazione di esame delle risultanze istruttorie, con esubero dalle prerogative
attribuite alla Corte ed invadenza del potere riservato al giudice del merito, e peraltro
sulla scorta di un materiale istruttorio del tutto vagamente menzionato, e perciò con
violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione).
Costituisce, infatti, principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello
secondo il quale, in tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, grava sul
contribuente l’onere di provare la sussistenza delle condizioni per beneficiare delle
esenzioni previste dal D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 62, commi 2 e 3, per
alcune aree detenute od occupate aventi specifiche caratteristiche strutturali e di
destinazione (e cioè che le stesse siano inidonee alla produzione di rifiuti o che vi si
formino rifiuti speciali al cui smaltimento provveda il produttore a proprie spese),
atteso che, pur operando il principio secondo il quale è l’Amministrazione a dover
fornire la prova della fonte dell’obbligazione tributaria, tale principio non può operare
con riferimento al diritto ad ottenere una riduzione della superficie tassabile,
costituendo l’esenzione, anche parziale, un’eccezione alla regola generale del
pagamento del tributo da parte di tutti coloro che occupano o detengono immobili
nelle zone del territorio comunale (ex multis, Cass. nn. 17703 del 2004, 13086 del
2006, 17599 del 2009, 775 del 2011).
Ne deriva che sarebbe spettato alla parte contribuente dimostrare adeguatamente i
presupposti fattuali per poter beneficiare delle citate disposizioni di esclusione
dall’assoggettamento al tributo: a tal riguardo, non si può che negare che un locale

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avrebbe dovuto non essere assoggettato a tassa.

adibito a garage (per di più di ampie dimensioni come quello qui in esame) possa
ritenersi, di per sè, improduttivo di rifiuti solidi urbani.
D’altronde, sul punto la sentenza contiene un accertamento di fatto (inidoneità della
prova dedotta dalla parte contribuente) riservato al giudice di merito, che del tutto in
idoneamente appare impugnato sotto il profilo della violazione di legge, in contrasto

l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea
ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della
legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta
– è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata
dalla contestata valutazione delle risultanze di causa” (per tutte si veda Cass. Sez. L,
Sentenza n. 16698 del 16/07/2010).
Alla luce di tali principi, non resta che concludere che la pronuncia appellata non
merita la cassazione.
Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per
inammissibilità e manifesta infondatezza.
Roma, 15 settembre 2013

ritenuto inoltre:
che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati
delle parti;
che non sono state depositate conclusioni scritte, né memorie;
che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i
motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va rigettato;
che le spese di lite vanno regolate secondo la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente a rifondere le spese di lite
di questo grado, liquidate in E 700,00 oltre accessori di legge ed oltre E 100,00 per
esborsi.

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con i principi comunemente insegnati da codesta Corte Suprema:” Il discrimine tra

Così deciso in Roma il 19 febbraio 2014

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