Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6898 del 08/04/2016


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Civile Sent. Sez. L Num. 6898 Anno 2016
Presidente: DI CERBO VINCENZO
Relatore: TRICOMI IRENE

SENTENZA

sul ricorso 20398-2014 proposto da:
MONTEBIANCO S.P.A. C.E. 02462470127, in persona del
legale rapprenl.anLe pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA MARIANNA DIONIGI, 29, presso
lo studio dell’avvocato ERNESTO ALIBERTI,
rappresentata
2015

e

difesa

dall’avvocato

PATRIZIA

CASTIGLIONI, giusta delega in atti;
– ricorrente –

4965
contro

MERIGGI GABRIELE C.E. MRGGRL67H26C816M, domiciliato
in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA

Data pubblicazione: 08/04/2016

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso
ì

dall’avvocato MARCO DAGRADI, giusta delega in atti;
– con troricorrente –

avverso la sentenza n. 619/2014 della CORTE D’ARPE1,0
di MILANO, depositata il 20/06/201 r.q.n. 291/2014;

udienza del

16/12/015 dal Consigliere 1)ott.

IRENF,

TRICOMI;
udito l’Avvochto ALMERTT ERNESTO per delega Avvocato
CASTIGLIONI PATRIZIA;
udito l’Avvocato FASAN ALESSANDRA per delega Avvocato
DAGRADI MARCO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO CELENTANO, che ha concluso per
il rigetto

del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

R.G. n. 20388/2014

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. La Corte d’Appello di Milano, con la sentenza n. 619 del 2014,
depositata il 20 giugno 2014, rigettando il reclamo proposto ai sensi dell’arti,
comma 58, ssg., della legge n. 92 del 2012, confermava la sentenza del
Tribunale di Pavia n. 210 del 2013, che, a propria volta, aveva confermato
l’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 1, comma 49, della medesima legge, con la
quale era stata accolta la domanda proposta da Meriggi Gabriele (ricorso 2
agosto 2012) di declaratoria

della nullità e comunque dell’illegittimità del
del 15

marzo 2012, dalla società

licenziamento intimatogli, con lettera

Montebianco spa, a seguito di contestazione disciplinare del 24 febbraio 2012.
Al lavoratore, quadro di livello 5, con funzioni di responsabile del settore
ricerca e sviluppo e con mansioni di coordinatore delle attività di produzione,
era stato contestato di avere prospettato alcuna soluzione ai problemi di qualità
dei prodotti, rifiutandosi di recarsi nei reparti produttivi, nonostante i solleciti del
direttore di stabilimento, di non essersi recato ad un appuntamento, alle ore 7
del mattino del 21 febbraio 2012, presso il reparto produttivo per avviare le
linee di produzione, sebbene avesse assunto tale impegno con il direttore
generale.
L’ordinanza e la sentenza avevano ritenuto che la contestazione fosse
generica e non circostanziata, e quanto alla mancata presenza in azienda il 21
febbraio, la stessa era stata smentita dagli informatori assunti in fase
sommaria.
Dopo l’emissione dell’ordinanza da parte del Tribunale di Pavia, il Meriggi,
con lettera del 31 ottobre 2012, aveva esercitato l’opzione

ex art. 18 della

legge n. 300 del 1970, per cui il giudice di prima grado, nel confermare la nullità
del licenziamento, condannava la società a pagare l’indennità di 15 mensilità di
retribuzione globale di fatto, oltre le mensilità maturate fino alla data
dell’opzione.
2. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre la
società con tre motivi di ricorso.
3. Resiste il lavoratore con controricorso
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta erroneità sentenza, violazione
e falsa applicazione dell’art. 7 legge 300 del 1970 con riferimento al principio di
cd. specificità della contestazione disciplinare.
Espone la ricorrente, nel censurare la relativa statuizione della Corte
d’Appello, che la contestazione disciplinare conteneva tutti gli elementi relativi
alla identificazione dei fatti addebitati, al rine di consentire la difesa del
lavoratore, senza necessità di ulteriori indicazioni.
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R.G. n. 20388/2014

Richiama sul punto i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità.
Espone, quindi, che le contestazioni al Meriggi riguardavano una
molteplicità di comportamenti omissivi,, succedutisi in modo significativo
nell’ultimo anno di lavoro, e tali da Costituire, nel loro insieme e ‘nel loro
reiterarsi, un gravissimo inadempimento contrattuale, sanzionabile con il
licenziamento.
Essa società aveva ben circostanziato il lasso temporale entro cui gli
inadempimenti si erano succeduti (negli ultimi dodici mesi, negli ultimi dieci

giorni), e gli stessi erano specifici atteso il seguente tenore della lettera di
contestazione, peraltro riportata nella sentenza di appello: “Dobbiamo nostro
malgrado rilevare che, quantomeno degli ultimi dodici mesi, ha posto in essere
una serie di comportamenti contrari ai suoi doveri contrattuali, omettendo di
prestare la benché minima collaborazione verso i suoi referenti responsabili
dell’apparato produttivo ed omettendo altresì, in diverse circostanze, di
effettuare interventi a lei specificamente richiesti dal direttore di stabilimento
per rimediare agli inconvenienti produttivi.
In particolare rileviamo che, quantomeno negli ultimi dodici mesi, in
ripetute circostanze, il direttore generale, il direttore di stabilimento ed il
consulente organizzativo, congiuntamente in appositi incontri, a fronte dei gravi
problemi qualitativi del processo produttivo, le hanno puntualizzato il contenuto
del suo contratto di lavoro, le sue competenze sul piano organizzativo e
funzionale, le sue responsabilità di tecnologo e di responsabile del settore ricerca
e sviluppa e le hanno precisato:
le sue incombenze relative alla ricettazione, alla messa a punto delle
ricette per l’industrializzazione e alla loro modifica anche il corso di processo;
le sue incombenze relative ai progetti e nuovi prodotti richiesti dei clienti.
Ciononostante una prospettata alcuna soluzione problemi di qualità dei
prodotti con la conseguenza che in svariate circostanze il processo produttivo ha
fatto registrare gravi ritardi sui programmi ed in taluni casi non siamo stati in
grado di soddisfare le richieste dei clienti.
Negli ultimi dieci giorni ha espressamente rifiutato, nonostante i continui
solleciti del direttore di stabilimento, di recarsi nei reparti produttivi per ovviare
agli innumerevoli problemi di ricettazione.
Dopo l’ennesimo incontro con il direttore generale ed il direttore di
stabilimento e dopo aver assunto l’impegno di incontrarsi alle ore 7 del 21
febbraio per avviare le linee riproduzione onde consentire successivo meeting
con un importante cliente (Sammontana) per la visita periodica e per
presentare i campioni del nuovo dallo stesso richiesto, senza alcun preavviso
e/o comunicazione, non si presentava in servizio”.
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R.G. n. 20388/2014

Dunque, gli inadempimenti, precisati con riguardo al dato temporale,
rano consistiti nella mancata collaborazione verso i referenti responsabili dei
reparto produttivo; nell’aver omesso di effettuare intereventi specificatamente

per rimediare ad inconvenienti produttivi; nel non avere prospettato
soluzioni ai problemi di qualità dei prodotti, con impatto sul processo produttivo
e ritardi e insoddisfazione per i clienti; nei rifiuto di recarsi nei reparti produttivi
per ovviare ai problemi di ricettazione; nell’assenza all’incontro programmato per
il 21 febbraio.
Pertanto, doveva ritenersi rispettato il principio di specificità; inoltre, il

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lavoratore, che nella qualità di tecnologo aveva la responsabilità della
ricettazione sia con riguardo alla fase della preparazione empirica delle ricette
che alla fase del processo (impasto, stampaggio, cottura), si era ampiamente
difeso, senza lamentare di non aver compreso i fatti addebitatigli.
1.1. Il motivo non è fondato.
Correttamente, e con congrua motivazione, proprio in ossequio ai principi
enunciati dalla giurisprudenza di legittimità, peraltro richiamati anche dalla
ricorrente, la Corte d’Appello ha ritenuto la contestazione generica con riguardo
agli addebiti diversi dall’incontro del 21 febbraio.
La giurisprudenza di questa Corte (cfr., Cass., n. 14451 del 2012, n.
27842 del 2009), ha affermato che, in tema di licenziamento disciplinare,
l’esigenza della specificità della contestazione, prescritta dall’art. 7 della legge n.
300 del 1970, non obbedisce ai rigidi canoni che presiedono alla formulazione
dell’accusa nel processo penale, nè si ispira ad uno schema precostituito e ad
una regola assoluta e astratta, ma si modella in relazione ai principi di
correttezza che informano un rapporto interpersonale che già esiste tra le parti,
ed è funzionalmente e teleologicamente finalizzata alla esclusiva soddisfazione
dell’interesse dell’incolpato ad esercitare pienamente il diritto di difesa.
Ciò, tuttavia, non esclude, ma implica che la contestazione inviata al
lavoratore, pur senza essere analitica, deve contenere la esposizione dei dati e
degli aspetti essenziali del fatto materiale posto a base del licenziamento,
restando la verifica della sussistenza dei requisito anzidetto rimessa al giudice
del merito, il cui apprezzamento, se congruamente e correttamente motivato, è
incensurabile in sede di legittimità.
Nella specie, la Corte d’Appello con congrua motivazione ha fatto corretta
applicazione dei suddetti principi.
Ed infatti, il giudice di secondo grado, dopo aver esposto che la sentenza
di primo grado e l’ordinanza avevano ritenuto che la contestazione fosse
generica e non circostanziata quanto al contestato comportamento omissivo in
relazione ai compiti di risoluzione dei problemi di qualità dei prodotti, mentre,
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R.G. n. 20388/2014

quanto alla mancata presenza .in azienda il 21 febbraio, era stata smentita dagli
informatori assunti in fase sommaria, ha affermato che non poteva che
condividersi il giudizio espresso al primo giudice circa l’estrema genericità degli
addebiti, diversi da quello relativo al mancato rispetto dell’impegno preso per la
mattina del 21 febbraio.
Pone in evidenza la Corte d’Appello che si contestava al dipendente una
mancata collaborazione verso i referenti responsabili dell’apparato produttivo
che durava da diversi mesi, un’assenza di proposte dirette a trovare soluzione a

varie problematiche, in particolare connesse con le ricette dei prodotti, ma non
si contestualizzavano, in ordine a tali contestazioni, fatti, episodi, specifiche
omissioni.
A parte il riferimento al cliente Sammontana, relativamente al meeting da
effettuarsi dopo l’incontro del 21 febbraio, mai veniva specificato in relazione a
quali clienti si fossero verificate inadempienze precise del Meriggi, che avevano
determinato ritardi nella consegna di nuovi prodotti.
L’unico episodio contestualizzato in termini di condotta inadempiente e di
periodo in cui la stessa era stata posta in essere, era l’ assenza in azienda
all’incontro del 21 febbraio, presso lo stabilimento.
Il motivo di ricorso, non censura in modo adeguato le argomentazioni del
giudice di appello, limitandosi a ripercorrere il contenuto della contestazione,
ritenuto privo di specificità, in ragione di un compiuto e corretto vaglio, per le
ragioni sopra esposte e in ragione dei principi enunciati dalla giurisprudenza di
legittimità, dal giudice di secondo grado.
Peraltro, la mancata lesione del diritto di difesa del lavoratore è solo
genericamente contestata dalla ricorrente, laddove, sui punto, la Corte d’Appello
ha specificatamente motivato la non fondatezza di tale profilo, affermando che
nelle lettere di giustificazioni il dipendente non aveva fatto che controdedurre,
anche egli in modo generale, problemi di manutenzione dello stabilimento, da
lui segnalati da diverso tempo, rendendo giustificazioni dettagliate solo
sull’episodio del 21 febbraio.
2. Con il secondo motivo di ricorso è prospettato il vizio di erroneità della

sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 1455, 2106 e 2119 cc,
in relazione al principio proporzionalità della sanzione disciplinare.
La società censura la statuizione con la quale la Corte d’Appello ha
ritenuto che doveva ritenersi insussistente una giusta causa o un giustificato
motivo di licenziamento, tenuto conto dell’unico addebito più specificatamente
contestato, con evidente sproporzione della sanzione espulsiva comminata.

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R.G. n. 20388/2014

Erroneamente, la Corte d’Appello aveva vagliato la proporzionalità della
sanzione solo con riguardo all’episodio del 21 febbraio, mentre avrebbe dovuto
prendere in considerazione tutti gli addebiti contestati.
Comunque, anche considerando solo l’episodio del 21 febbraio

la

motivazione della sentenza era inadeguata.
La Corte d’Appello, pur ritenendo ridimensionato l’episodio, atteso che
era emerso che il lavoratore era presente in azienda il 21 febbraio, sia pure
all’insaputa dei superiori e non presentandosi all’appuntamento, affermava

sussistere un comportamento poco corretto e certamente censurabile. Tuttavia,
con motivazione erronea e contraddittoria, affermava che tale comportamento
non era idoneo a sostanziare il licenziamento. In tal modo non valutava la
proporzionalità della sanzione con riguardo alla gravità delle mancanze del
lavoratore in concreto.
Ed infatti, in ragione della qualità di tecnologo, la presenza del Meriggi
all’appuntamento del 21 febbraio era indispensabile, e lo stesso, presente in
azienda, nel non presentarsi teneva un comportamento di tale gravità da
ledere, irrimediabilmente, la fiducia che il datore di lavoro aveva riposto nello
stesso.
2.1. Il motivo non è fondato.
Il giudizio di proporzionalità tra licenziamento disciplinare e addebito
contestato è devoluto al giudice di merito, la cui valutazione non è censurabile in
sede di legittimità, ove sorretta da motivazione sufficiente e non contraddittoria
(Cass., n. 8293 del 2012).
Sul punto, la Corte d’Appello ha rilevato che la sentenza di primo grado
aveva dedotto che l’istruttoria dei testi escussi nella fase sommaria aveva
consentito di accertare che il Meriggi si era recato in azienda, sia pure in orario
ritardato è che, poi sentito male, aveva lasciato la società. Il primo giudice
aveva, quindi, ritenuto insussistente la condotta contestata.
Tanto premesso, la Corte d’Appello ha affermato che, sebbene in base
alle sommarie informazioni assunte in sede di procedimento sommario,
l’addebito contestato doveva ridimensionarsi, in quanto era emerso che il
Meriggi si era, in realtà, recato in azienda la mattina del 21 febbraio, per
l’impegno assunto, effettivamente il dipendente non aveva avvisato i superiore
che sarebbe andato a casa per motivi di salute.
Quindi, sussisteva un comportamento poco corretto e certamente
censurabile da parte del Meriggi, ma che non poteva assurgere a fatto
qualificabile come condotta inadempiente, da sola idonea ad essere sanzionata
con il licenziamento, ma neanche con una sanzione conservativa della
sospensione.
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R.G. n. 20388/2014

Tale motivazione non è contraddittoria ed anzi, congruamente, prende in
esame la fattispecie nel suo complesso, per affermare la sussistenza di una
condotta poco corretta ma non di tale gravità, essendosi il Meriggi recato in
azienda e poi allontanatosi per motivi di salute, da giustificare il licenziamento.
La stessa fa corretta applicazione dei principi affermati da questa Corte,
secondo i quali (v., Cass., n. 6498 del 2012) la giusta causa di licenziamento
deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del
rapporto di lavoro e, in particolare, dell’elemento fiduciario, dovendo il giudice

valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla
portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono
stati commessi e all’intensità del profilo intenzionale, dall’altro, la proporzionalità
fra tali fatti e la sanzione inflitta, per stabilire se la lesione dell’elemento
fiduciario, su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro, sia tale, in
concreto, da giustificare la massima sanzione disciplinare.
Né, la proporzionalità del licenziamento poteva essere valutata in ragione
degli ulteriori addebiti, attesa la ritenuta mancanza di specificità degli stessi.
3. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta l’erroneità della sentenza
impugnata per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 18, comma 3, della
legge n. 300 del 1970 (art. 360, n.3, cpc), nonché per insufficiente e
contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio
(art. 360, n. 5, cpc).
La ricorrente censura la decisione della Corte d’Appello nella parte in cui
ha affermato la legittimità dell’esercizio dell’opzione, da parte del Meriggi, già a
seguito dell’ordinanza con la quale si era conclusa la prima fase del giudizio di
primo grado.
Ed infatti, in base al citato comma 3 dell’art. 18, come novellato dalla
legge n. 92 del 2012, il Meriggi poteva effettuare l’opzione solo in seguito a
sentenza, non essendo ciò consentito a fronte di ordinanza ex art. 1, comma 49,
della medesima legge n. 92 del 2012, in ragione della non paragonabilità dei due
provvedimenti.
3.1. Il motivo non è fondato.
Osserva il Collegio che occorre chiarire quale è la disciplina sostanziale,
nei cui ambito rientra il diritto di opzione in questione, applicabile nel caso di
specie, atteso che il licenziamento veniva irrogato in data 15 marzo 2012, ed è
alla data di irrogazione del licenziamento che occorre far riferimento per
determinare la medesima.
Questa Corte ha già avuto modo di affermare (Cass., n. 16265 del 2015)
il seguente principio di diritto: “Ai sensi del combinato disposto della legge 28
giugno 2012, n. 92, art. 1, commi 47 e 67 nei giudizi aventi ad oggetto i
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R.G. n. 20388/2014

licenziamenti disciplinari, al fine di individuare la legge regolatrice del rapporto
sul versante sanzionatorio, va fatto riferimento non al fatto generatore del
suddetto rapporto ne’ alla contestazione degli addebiti, ma alla fattispecie
negoziale del licenziamento, sicché l’apparato sanzionatorio disciplinato dalla
legge n. 92 del 2012, art. 1, comma 42 va applicato solo ai nuovi licenziamento,
ovverosia a quelli comunicati a partire dalla data di entrata in vigore della legge
stessa (18 luglio 2012)”.
Ratione temporis, poiché la sanzione espulsiva è stata irrogato il 15

marzo 2012, prima dell’entrata in vigore della legge n. 92 del 2012, al
licenziamento in esame si applica il regime della cosiddetta tutela reale, previsto
dall’art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, nel testo anteriore alle modifiche
introdotte con la legge 28 giugno 2012, n. 92, con la conseguenza che, qualora il
lavoratore opti per l’indennità sostitutiva della reintegrazione, avvalendosi della
facoltà prevista dall’art. 18, quinto comma (che prevede: “Fermo restando

il

diritto al risarcimento del danno così come previsto al quarta comma, al
prestatore di lavoro è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro in
sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un’indennità pari a quindici
mensilità di retribuzione globale di fatto. Qualora il lavoratore entro trenta giorni
dal ricevimento dell’invito dei datare di lavoro non abbia ripreso servizio, nè
abbia richiesto entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della
sentenza il pagamento dell’indennità di cui al presente comma, il rapporto di
lavoro si intende risolto allo spirare dei termini predetti”), come nel caso di
specie, il rapporto di lavoro, con la comunicazione al datore di lavoro di tale
scelta, si estingue senza che debba intervenire il pagamento dell’indennità stessa
e senza che permanga – per il periodo successivo in cui la prestazione lavorativa
non è dovuta dal lavoratore né può essere pretesa dal datore di lavoro – alcun
obbligo retributivo (Cass., S.U., n. 18353 del 2014).
Pertanto, è all’art. 18, comma 5, della legge n. 300 del 1970, nel testo
anteriore alla novella del 2012, e non al novellato comma 3, del medesimo art.
18, come erroneamente assume la ricorrente, che occorre fare riferimento nel
caso di specie.
La giurisprudenza di questa Corte, nell’interpretare l’art. 18, comma 5,
della legge 300 del 1970, nel testo anteriore alla legge n. 92 del 2012, ha
ritenuto che la funzione sostitutiva della reintegrazione comporta che l’obbligo
per il datore di lavoro, correlato all’esercizio della facoltà, nasce solo quando
viene ordinata la reintegrazione nel posto di lavoro; non è necessario, però,
che la reintegrazione sia disposta con una sentenza, poiché la norma non
richiede una specifica forma dei provvedimento. Una reintegrazione disposta con
provvedimento cautelare, pertanto, secondo la giurisprudenza di legittimità
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R.G. n. 20388/2014

formatosi in relazione al citato art. 18, comma 5, nel testo anteriore alla novella
della legge n. 92 del 2012, determina la nascita dell’obbligo, salvo il suo
successivo venir meno in caso di esito negativo dei giudizio nella successiva
evoluzione, come, dei resto, in caso di riforma della sentenza di merito di primo
grado (Cass., n. 1690 dei 2011, che richiama Cass., n. 1254 del 2003).
Pertanto, in ragione della disciplina applicabile, come sopra richiamata
(art. 18, in particolare comma 5, della legge 300 del 1970, nel testo anteriore

è condizionata dalla natura del provvedimento che ha ordinato la reintegra.
4. Il ricorso deve essere rigettato.
5. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
6. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà
atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
PQM
La Corte rigetta il ricorso, Condanna la società ricorrente al pagamento
delle spese di giudizio che liquida in euro cento per esborsi, euro
quattromilacinquecento per compensi professionali, oltre spese generali nella
misura del 15 per cento e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il
ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 16 dicembre 2015
Il Presidente

alla novella della legge n. 92 del 2012), l’esercizio dell’opzione, nella specie, non

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