Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6897 del 08/04/2016


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Civile Sent. Sez. L Num. 6897 Anno 2016
Presidente: MANNA ANTONIO
Relatore: BERRINO UMBERTO

SENTENZA
sul ricorso 26410-2013 proposto da:
NICASTRO

GIUSEPPE

NCSGPP52A24L951S,

C.F.

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IPPOLITO NIEVO
61, presso lo studio dell’avvocato MARIA GRAZIA
PICCIANO, che lo rappresenta

e

difende unitamente

agli Avvocati INELLA GABRIELE, DE SANTIS MARIA
2015

ANTONIETTA, giusta delega in atti;
– ricorrente –

4683
contro

I.N.A.I.L – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE
CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO C.F. 01165400589, in

Data pubblicazione: 08/04/2016

persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE
144, presso lo studio degli LUCIANA ROMEO, EMILIA
FAVATA, che lo rappresentano e difendono giusta
delega in atti;

avverso la sentenza n 1732/2013 della CORTE
D’APPELLO di PALERMO, depositata il 23/07/2013 R.G.N.
1630/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 02/12/2015 dal Consigliere Dott. UMBERTO
BERRINO;
udito l’Avvocato MESCIA QUIRINO per delega Avvocato
FICCIANO MARIA GRAZIA;
udito l’Avvocato OTTOLINI MARIA TERESA per delega
ROMEO LUCIANA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RITA SANLORENZO che ha

concluso per

l’improcedibilità o il rigetto del ricorse.

– controricorrente

Svolgimento del processo
Il Tribunale di Termini Imerese, in accoglimento della domanda proposta da Giovanni
Nicastro, ha condannato l’INAIL all’indennizzo da malattia professionale commisurato
ad un grado di invalidità permanente pari al 7% con decorrenza dal 15.2.2010, oltre
accessori di legge .
Con sentenza del 4.7 – 23.7.2013, la Corte di appello di Palermo, in riforma della

stata adottata in dichiarata adesione agli esiti della consulenza disposta in secondo
grado
Per la cassazione della decisione propone ricorso Giuseppe Nicastro sulla base

di tre

motivi.
L’INAIL resiste con controricorso.
Motivi della decisione
1. Col primo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., la nullità
della sentenza impugnata per avere la Corte d’appello omesso di rilevare il giudicato
interno formatosi in relazione alle modalità di svolgimento della mansioni
analiticamente descritte nel ricorso introduttivo e non oggetto di contestazione da
parte dell’istituto assicuratore convenuto.
2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli
artt. 194 c.p.c., 1° comma, 62 c.p.c., 1° comma, 87 disp. att. c.p.c., 90 disp. att.
c.p.c., 2° e 3° comma, 345 c.p.c., 416 c.p.c., 116 c.p.c., 1° comma, 115 c.p.c., 1° e
2° comma, 420 c.p.c., 2697 c.c., 2907 c.c., 112 c.p..c e 111 Cost., nonché per
omesso esame circa i medesimi fatti, decisivi per il giudizio, che sono stati oggetto di
discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5.
Il ricorrente censura la decisione per avere aderito alla relazione peritale di secondo
grado la quale aveva ricostruito le mansioni svolte e valutato il relativo rischio sulla
scorta di nuova documentazione irritualmente acquisita dall’ausiliare. In particolare,
sostiene che la consulenza tecnica di secondo grado è stata resa sulla base di due
documenti, dei quali l’uno costituito dai pareri Contarp mai prodotti in giudizio, né
versati in atti dal c.t.u. né mai comunicati ad esso ricorrente e l’altro su una nota
Enel Distribuzione

recante una ricostruzione a posteriori delle lavorazioni

abitualmente svolte dagli operai ENEL della Sicilia.

Assume che quest’ultimo

documento sarebbe privo di valenza probatoria in assenza di specifiche allegazioni da
parte dell’INAIL in relazione alle quali avrebbe dovuto fungere da elemento di
riscontro.
3. Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente deduce la violazione degli artt. 112 , 115,
116, 416 e 420 cod. proc. civ., dell’art. 111 Cost., degli artt. 167 e 168 del d.lgs n.

decisione di primo grado, ha respinto la originaria domanda. La statuizione di rigetto è

81/2008 e dell’allegato n. XXXIII, delle Tabelle di menomazione Inali, di cui alle voci
i n. 192 e 193 del D.M. 12.7.2000 e degli artt. 40 e 41 cod. pen., in relazione all’art.
i 360 c.p.c. n. 3, nonché in relazione al n. 5 dello stesso art. 360 c.p.c. per omesso
esame circa i medesimi fatti, decisivi per il giudizio, che sono stati oggetto di
discussione tra le parti.
Il ricorrente censura la decisione per non essere la stessa stata fondata sulle prove

prove acquisite. Sostiene che il giudice di appello ha negato la esposizione al rischio in
base ad una ricostruzione delle mansioni effettuata dal consulente d’ufficio laddove, in
base al principio di non contestazione, le mansioni espletate e le relative modalità di
svolgimento dovevano ritenersi pacifiche, per cui la verifica del nesso di causalità della
quale era stato incaricato l’ausiliare andava operata con riguardo al quadro probatorio
già definito. Richiama, quindi, le osservazioni critiche formulate alla relazione peritale,
intese ad evidenziare l’errore del consulente nella ricostruzione del nesso di causalità.
Osserva la Corte che la preliminare eccezione con la quale l’INAIL ha dedotto la
improponibilità della domanda giudiziale per difetto della preventiva presentazione
della istanza amministrativa è stata articolata in termini non coerenti con il principio
dell’autosufficlenza. Si premette che l’INAIL non deduce la mancanza in assoluto di
un’istanza amministrativa ma la circostanza che la stessa era riferita a malattie del
tutto diverse da quelle in base alle quali era stata proposta la domanda giudiziale. La
deduzione è formulata omettendo ogni riferimento alla specifica vicenda processuale,
indispensabile al fine di escludere la formazione del giudicato sulla questione della
proponibilità della domanda. Invero, poiché la sentenza di primo grado, nell’accogliere
la domanda del Nicastro, ha operato una valutazione, quanto meno implicita, di
proponibilità, costituiva onere dell’INAIL dedurre di avere eccepito, nel ricorso in
appello, il difetto di specifica istanza amministrativa. Questa Corte ha infatti chiarito
che la parte vittoriosa in appello, che manifesti alla Cessazione la volontà di
conseguire una decisione anche su una questione già ritenuta assorbita, ha l’onere non
di proporre ricorso incidentale ma – per il principio di autosufficienza, operante anche
nel controricorso ai sensi degli artt. 366, primo comma, nn. 3 e 4, e 370, secondo
comma, cod. proc. civ. – di indicare i termini esatti in cui la questione era stata
sottoposta al giudice di appello, in modo tale da permettere alla Corte di Cessazione di
verificare se essa possa ancora ritenersi “sub iudice”( Cass. n. 5970/2011 ).
Il primo motivo di ricorso è infondato .
Questa Corte ha ripetutamente affermato che ove con il ricorso per cessazione si
ascriva al giudice di merito di non avere tenuto conto di una circostanza di fatto che si
assume essere stata “pacifica” tra le parti, il principio di autosufficienza del ricorso

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proposte dalle parti, su circostanze incontestate e sulla adeguata valutazione delle

iimpone al ricorrente di indicare in quale atto sia stata allegata la suddetta circostanza,
ed in quale sede e modo essa sia stata provata o ritenuta pacifica. (ex plurimis Cass.
n. 15961/2007). Parte ricorrente si è sottratta a tale onere. Infatti, la medesima ha
riassunto in maniera dettagliata le articolate allegazioni svolte nella domanda
introduttiva in merito al contenuto ed alle modalità di espletamento delle mansioni,
ma ha del tutto omesso di riprodurre il contenuto delle difese dell’INAIL, limitandosi ad

grado, non aveva contestato il concreto atteggiarsi delle singole fasi lavorative come
analiticamente ricostruite in ricorso. La rilevata omissione impedisce al Collegio la
verifica della dedotta non contestazione e, quindi, della pretesa pacificità della
circostanze lavorative che si assumono all’origine delle patologie denunziate, sulla
quale è fondato il motivo in esame. Le modalità di articolazione della censura non
possono, infatti, ritenersi idonee a soddisfare i requisiti di specificità, completezza e
pertinenza prescritti dall’art. 366 cod. proc. civ., la cui osservanza postula che dal
motivo possano evincersi con chiarezza i capi della decisione in ordine ai quali si
sollecita il controllo di legittimità e le violazioni ascritte al giudice di merito, in funzione
della necessaria verifica in ordine alla riconducibilità delle singole censure alle ipotesi
tassativamente previste dall’art. 360 cod. proc. civ., cui questa Corte è
preliminarmente tenuta in ragione della stessa natura del ricorso per cessazione, quale
mezzo d’impugnazione a critica vincolata (cfr. ex plurimis, Cats., n. 20652 del 2009,
18202 del 2008, n. 15952 del 2007).
Il secondo motivo di ricorso è anch’esso infondato.
Parte ricorrente non ha dimostrato, mediante adeguato richiamo allo svolgersi della
vicenda processuale e quindi in violazione del principio di autosufficienza, la pretesa
difformità tra la ricostruzione delle mansioni operata dal consulente di secondo grado
e gli elementi acquisiti. Tantomeno tale difformità può farsi derivare dal carattere
pacifico delle allegazioni di cui al ricorso di primo grado, atteso che, come evidenziato
nell’esame del primo motivo, le deduzioni del ricorrente si sono rivelate inidonee a
sorreggere l’assunto della non contestazione da parte dell’INAIL delle circostanze
allegate in domanda. Quanto ora rilevato assorbe l’ulteriore profilo attinente ai
documenti utilizzati

dall’ausiliare che si assumono o non versati in atti (pareri

Contarp) o privi di valenza probatoria (Allegato A questionario INAIL compilato dalla
datrice di lavoro Enel Distribuzione s.p.a.), in quanto è rimasta non dimostrata la
decisività dell’errore a questi ascritto sotto il profilo della corretta individuazione dei
contenuti e delle modalità di espletamento delle mansioni del lavoratore.
Infine, è da respingere per infondatezza anche il terzo motivo di ricorso, con il quale
parte ricorrente, con articolate argomentazioni si duole, in sintesi, dell’acritica

affermare, in termini assertivi, che l’ente, nella memoria di costituzione di primo

adesione prestata dalla Corte di merito alla relazione peritale che assume inficiata da
una serie di errori.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in tema di ricorso per cessazione
per vizio di motivazione, la parte che lamenti l’acritica adesione del giudice di merito
alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio non può limitarsi a far valere
genericamente lacune di accertamento o errori di valutazione commessi dal consulente
o dalla sentenza che ne abbia recepito l’operato, ma, in ossequio al principio di

impugnazione, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze e gli elementi
rispetto ai quali invoca il controllo di logicità, trascrivendo integralmente nel ricorso
almeno i passaggi salienti e non condivisi della relazione e riportando il contenuto
specifico delle critiche ad essi sollevate, al fine di consentire l’apprezzamento
dell’incidenza causale del difetto di motivazione. ( ex plurimis

Cass. n. 16368 del

2014) Parte ricorrente non ha osservato tali prescrizioni, in quanto i brani della
relazione peritale di secondo grado riportati in ricorso non consentono di ricostruire in
maniera compiuta il percorso seguito dal consulente nel pervenire all’esclusione del
nesso di causalità tra l’attività espletata e le malattie professionali denunciate e,
quindi, di valutare la decisività delle osservazioni critiche svolte dal ricorrente
L’articolazione del motivo risulta, inoltre, non coerente con la nuova configurazione del
motivo di ricorso per cassazione di cui all’art. 360 , comma primo n. 5 cod. proc. civ.
applicabile ratione tempods in ragione della data di pubblicazione — il 23.7.2013della decisione impugnata, nella lettura data dal giudice di legittimità. Le

Sezioni

unite di questa Corte hanno chiarito che “la riformulazione dell’art. 360, primo comma,
n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge
7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici
dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del
sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cessazione solo
l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente
rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti
dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze
processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto
l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile
tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente
incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della
motivazione”. ( Cass. ss.uu. n.8053 del 2014)
In particolare è stato precisato che il controllo previsto dal nuovo n. 5) dell’art. 360
cod. proc. civ. concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la

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autosufficienza del ricorso per cessazione ed al carattere limitato del mezzo di

cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti
processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di
discussione e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe
determinato un esito diverso della controversia). In conseguenza la parte ricorrente
sarà tenuta ad indicare, nel rigoroso rispetto delle previsioni .di cui agli artt. 366,
primo comma , n. 6), cod. proc. civ. e 369, secondo comma, n. 4), cod. proc. civ. – il
il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale (emergente dalla

sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risulti
l’esistenza, il come e il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di
discussione tra le parti, la decisività del fatto stesso.
Il motivo di ricorso è formulato in termini che eludono tali indicazioni in quanto,
premesso che alla luce della nuova formulazione dell’art. art. 360 n. 5 cod. proc. civ.,
non possono trovare ingresso censure attinenti alla insufficienza e contraddittorietà di
motivazione, si rileva che l’odierno ricorrente non ha neppure individuato il

fatto

storico, avente carattere di decisività, oggetto di discussione fra le parti ed il cui
esame è stato omesso dal giudice di appello.
Alla luce delle considerazioni che precedono il motivo di ricorso risulta inidoneo a
validamente censurare la decisione impugnata .
Pertanto, il ricorso va rigettato.
Non ricorre l’ipotesi della domanda manifestamente infondata e temeraria ai fini della
rifusione delle spese del presente giudizio da parte del ricorrente soccombente (art.
152 disp. att. c.p.c., cosi come novellato a seguito della entrata in vigore dell’art. 42
del d.1. 30/9/03 n. 269, convertito nella legge 24/11/03 n. 326).
Ricorrono i presupposti di legge per il versamento da parte del ricorrente del
contributo unificato di cui in epigrafe.
P.Q. M .
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del
comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma il 2 dicembre 2015

fatto storico,

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