Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6896 del 22/03/2010

Cassazione civile sez. I, 22/03/2010, (ud. 11/01/2010, dep. 22/03/2010), n.6896

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.C. (c.f. (OMISSIS)), domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato MARRA ALFONSO LUIGI,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;

– intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA del 15/5/2006; n.

54237/05 R.G.A.D.;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

11/01/2010 dal Consigliere Dott. GIANCOLA Maria Cristina;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Nel 2005, P.C. adiva la Corte di appello di Roma chiedendo che il Ministero della Giustizia fosse condannato a corrisponderle l’equa riparazione, prevista dalla L. n. 89 del 2001 per la violazione dell’art. 6, sul “Diritto ad un processo equo”, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, ratificata e resa esecutiva con la L. 4 agosto 1955, n. 848.

Con decreto del 15.05.2006, l’adita Corte di appello, nel contraddittorio delle parti, respingeva il ricorso e compensava le spese processuali.

La Corte osservava e riteneva, tra l’altro:

– che la P. aveva chiesto l’indennizzo in relazione al processo, in tema di interessi e rivalutazione su indennita’ di mobilita’ erogate in ritardo dall’INPS, da lei introdotto dinanzi al giudice del lavoro di Napoli con ricorso del 26.11.1999, sfavorevolmente deciso in primo grado con sentenza dell’11.10.2000, in grado d’appello, iniziato il 30.05.2001, con sentenza invece favorevole del 19.03 (- 2.04).2004, avverso la quale l’INPS aveva proposto ricorso (depositato il 2.03.2005) per Cassazione, ancora pendente;

– che il processo in questione avrebbe dovuto avere la durata ragionevole di anni 2 e mesi 6 in primo grado e di anni 2 sia in appello che in sede di legittimita’ e che alla data di presentazione del ricorso per equa riparazione era complessivamente durato circa 6 anni, ragione per cui, detratto il semestre occorso per la proposizione dell’appello, non poteva ritenersi affetto da ritardo irragionevole di definizione.

Avverso questo decreto la P. ha proposto ricorso per Cassazione notificato il 5.12.2007. Il Ministero della Giustizia non ha svolto attivita’ difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Riassuntivamente ed in sintesi, con sei motivi di ricorso la P. denuncia violazioni di legge e vizi motivazionali e chiede l’annullamento del decreto impugnato, in applicazione delle rubricate disposizioni normative e dei relativi principi giurisprudenziali anche sovranazionali, riferiti sia ai criteri di commisurazione della durata del processo e segnatamente di quello involgente diritti del lavoratore o di soggetto che ha diritto a prestazioni di assistenza, sia ai criteri di individuazione e liquidazione del danno morale, che conclusivamente assume esserle dovuto nella misura di Euro 125,00 per ciascuno dei 35 mesi di protrazione del grado d’appello del processo presupposto, con integrazione del bonus di Euro 2.000,00. Sostiene in particolare che, data anche la materia e la struttura del processo del lavoro, il periodo ragionevole di durata avrebbe dovuto essere determinato in 2 anni per il primo grado ed in 1 anno e 1/2 sia per il grado d’appello che per la fase di legittimita’ e che solo il gravame di merito ha superato il termine congruo di definizione sia rispetto a tali termini che rispetto al termine fissato dalla Corte di merito. Il ricorso non ha pregio.

Infondata risulta la censura afferente la fissazione in 6 anni della complessiva durata ragionevole del processo presupposto, articolatosi in tre fasi, avendo la Corte di merito, in applicazione dello standard CEDU di normale durata di un consimile processo civile, motivatamente ritenuto di adottarlo nel caso in disamina ed avendo di contro la ricorrente prospettato una durata inferiore adducendo profili astratti e non pertinenti al decisum (in tema, cfr. Cass. 200521390; 200501094).

Inoltre, in tema di equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, pur essendo possibile individuare degli “standard” di durata media ragionevole per ogni fase del processo, quando quest’ultimo si sia articolato in vari gradi e fasi, agli effetti dell’apprezzamento del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’art. 6, par.

1, della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, occorre avere riguardo all’intero svolgimento del processo medesimo, dall’introduzione fino al momento della proposizione della domanda di equa riparazione, dovendosi cioe’ addivenire ad una valutazione sintetica e unitaria dell’unico processo da considerare nella sua complessiva articolazione; non rientra, pertanto, nella disponibilita’ della parte riferire la sua domanda ad uno solo dei gradi di giudizio, optando per quello nell’ambito del quale si sia prodotta una protrazione oltre il limite della ragionevolezza (cfr tra le altre, Cass. 200528864; 200823506).

Legittimamente pertanto la Corte di appello ha ritenuto ragionevole la durata complessiva del processo pari a circa sei anni, anche se il giudizio di secondo grado si era protratto oltre il parametro temporale, stimato in un biennio, di durata massima di tale fase del processo. Respinta, dunque, questa censura, ed inammissibili restando le rimanenti doglianze o generiche o inerenti (motivi da 3 a 6) ai criteri di liquidazione del quantum della riparazione, nella specie non applicati, il ricorso deve essere respinto.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso.

Cosi’ deciso in Roma, il 11 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2010

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