Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6896 del 08/04/2016


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Civile Sent. Sez. U Num. 6896 Anno 2016
Presidente: RORDORF RENATO
Relatore: PETITTI STEFANO

SENTENZA
sul ricorso, iscritto al N.R.G. 28247 del 2014, proposto da:
AZIENDA SANITARIA LOCALE DI TARANTO (c.f.: 02026690731), in persona
del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, per procura
speciale a margine del ricorso, dall’Avvocato Giovanna Corrente,
elettivamente domiciliata in Roma, via Cosseria n. 2, presso dott. Alfredo
Placidi;

– ricorrente contro
LA CASCINA soc. coop. p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, e LA CASCINA GLOBAL SERVICE s.r.I., in persona del legale
rappresentante pro tempore, rappresentate e difese, per procura speciale a
margine del controricorso, dagli Avvocati Ernesto Sticchi Damiani, Luigi
Nilo, Anna Romano, Raffaele Bia e Filippo Satta, elettivamente domiciliate
presso lo Studio Satta Romano & Associati, in Roma, Foro Traiano 1/A;

– controricorrenti per la cassazione della sentenza del Consiglio di Stato, sez. III, depositata il
10 luglio 2014, n. 3536, notificata il 23 settembre 2014.

Data pubblicazione: 08/04/2016

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22 marzo
2016 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;
sentiti, per la ricorrente, l’Avvocato Giulio Cerceo per delega e, per le
controricorrenti, gli Avvocati Filippo Satta e Raffaele Bia;
sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale
Dott. Pierfelice Pratis, che ha concluso per l’inammissibilità o, comunque, il

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. – Il TAR Puglia, sezione di Lecce, con sentenza n. 786 del 2010,
accoglieva il ricorso proposto da La Cascina soc. coop. e la Cascina Global
Service s.r.l. avverso la deliberazione del direttore generale della Azienda
Sanitaria Locale di Taranto n. 1766 dell’8 maggio 2009, e dichiarava «il
diritto delle società ricorrenti di percepire dall’Azienda Sanitaria Locale
resistente le somme dovute a titolo di revisione prezzi dei contratti relativi
ai servizi di pulizia, sanificazione ed ausiliariato e logistica effettivamente
erogati (…) nei limiti dei crediti non prescritti e cioè a partire dal 23
novembre 2002 e sino al 31 dicembre 2007, maggiorate dagli interessi
legali, calcolati dalla data di costituzione in mora fino all’effettivo
pagamento».
1.1. – Avverso questa decisione proponevano appello sia la ASL che le
società e il Consiglio di Stato, con sentenza n. 4329 del 2011, rigettava i
gravami, confermando l’impugnata sentenza.
2. – In esecuzione di tali pronunce la ASL, con delibera del direttore
generale n. 1635 del 31 maggio 2002, provvedeva a determinare quanto
dovuto alle società a titolo di compenso revisionale dal 23 novembre 2002
alla cessazione del servizio.
3.

– Avverso questa deliberazione le società proponevano ricorso per

ottemperanza al TAR di Lecce, chiedendo che nella determinazione delle
somme dovute si tenesse conto degli incrementi di prezzo maturati dal
1995 al 2003, avendo la ASL effettuato il computo del compenso
revisionale assumendo quale dies a quo il novembre 2002.

rigetto del ricorso.

3.1. – Il TAR, con sentenza n. 957 del 2013, accoglieva il ricorso in
ottemperanza, ritenendo che la deliberazione impugnata fosse lesiva del
giudicato.
3.2. – Il Consiglio di Stato, adito in appello dalla ASL, ha invece annullato
tale decisione con sentenza n. 5128 del 2013.

395, nn. 4 e 5, cod. proc. civ., dalle società La Cascina soc. Coop. e La
Cascina Global Service s.r.I., in quanto non corrispondente alla sentenza
ottemperanda (sentenza TAR n. 786 del 2010) per tre profili: la corretta
quantificazione dei corrispettivi non coperti da prescrizione; l’individuazione
del primo anno non coperto da prescrizione, per il quale l’ASL Taranto era
obbligata a riconoscere la revisione prezzi; la corretta quantificazione dei
corrispettivi per il periodo da gennaio 2006 a dicembre 2007.
4.1. – Il Consiglio di Stato, sez. III, con sentenza n. 3536 del 2014,
accoglieva in parte il ricorso, rilevando che la sentenza del TAR n. 786 del
2010 era assolutamente chiara nell’individuare quanto dovuto e quanto non
dovuto e che la successiva sentenza del medesimo TAR n. 957 del 2013, in
sede di ottemperanza, aveva correttamente ritenuto che la prescrizione
avesse effetto soltanto quanto all’esigibilità dei crediti e non con riguardo
alla regola per cui si fa luogo alla revisione del prezzo originario solo dopo il
decorso di un primo arco temporale dall’instaurazione del rapporto, e che
l’esistenza di rapporti contrattuali continuativi sin dal 1995 e dal 1999
incideva anche sugli indici F.O.I. di partenza, che non potevano essere
quelli del novembre 2002, ma dovevano invece essere quelli relativi
all’effettivo inizio dei rapporti medesimi (restando ovviamente ferma
l’inesigibilità dei crediti anteriori al novembre 2002).
4.1.1. – Il Consiglio di Stato ha così rilevato che nella sentenza oggetto di
revocazione era stato introdotto un criterio – e precisamente quello per cui
se il diritto al compenso è prescritto non può che considerarsi prescritto
anche il corrispondente aumento del corrispettivo contrattuale – del quale
non vi era, invece, alcuna traccia nella sentenza da ottemperare, giungendo
in tal modo a ritenere che la prescrizione avrebbe inciso non solo sul diritto

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4. – Questa sentenza è stata impugnata per revocazione, ai sensi dell’art.

alla percezione dei crediti anteriori al novembre 2002, ma anche
sull’incremento del corrispettivo anno per anno derivante dal compenso
revisionale prescritto. E questo costituiva, secondo il Consiglio di Stato, un
errore revocatorio, atteso che nella sentenza da ottemperare era stato
introdotto un principio privo di qualsiasi fondamento in tale sentenza.
4.1.2. – Analogo vizio revocatorio il Consiglio di Stato ha ravvisato in

quantificazione dei corrispettivi per il periodo da gennaio 2006 al dicembre
2007, atteso che, nel mentre nella sentenza da ottemperare il rapporto per
il periodo successivo al 2006 era stato qualificato come proroga e non come
nuovo contratto, nella sentenza revocanda si era ritenuto che il TAR avesse
errato nello statuire la nullità della delibera del direttore generale della ASL
n. 1635 del 2002, sul rilievo che, essendo già intervenuto un pagamento,
non poteva statuirsi nel senso del cumulo del beneficio in ragione della
qualificazione del rapporto contrattuale come proroga e non come nuovo
contratto.
In proposito, il Consiglio di Stato ía osservato che la sentenza del TAR n.
786 del 2010 non aveva affatto proceduto alla riqualificazione giuridica del
rapporto tra le parti, essendosi invece limitata ad affermare che i contratti
perfezionati tra le parti e scaduti il 31 dicembre 2005 erano poi stati di
anno in anno reiteratamente prorogati dalla ASL, senza prevedere alcun
corrispettivo aggiornato a titolo di revisione prezzi, con conseguente
inserzione automatica della disposizione normativa che detta revisione
imponeva e applicazione della revisione anche alle proroghe. Ha quindi
ritenuto che la sentenza revocanda avesse deciso su affermazioni non
contenute nella sentenza da ottemperare e che quindi fosse affetta dal
denunciato vizio revocatorio.
4.1.3. – Il Consiglio di Stato ha invece escluso il vizio revocatorio in
relazione alla denunciata omessa pronuncia in ordine alla spettanza del
compenso revisionale per il periodo 2002/2003.
4.2. – Sul piano rescissorio il Consiglio di Stato ha confermato la sentenza
del TAR Lecce n. 957 del 2013, sia nella parte in cui ha stabilito che la

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relazione al terzo profilo oggetto di censura, e cioè quello concernente la

prescrizione incide solo sulla esigibilità dei crediti maturati fino al 2002,
mentre l’esistenza dei rapporti contrattuali continuativi fin dal 1995 e dal
1999 incideva anche sugli indici F.O.I. di partenza, che non potevano
essere quelli del novembre 2002, ma dovevano essere quelli relativi
all’effettivo inizio dei rapporti contrattuali; sia nella parte in cui ha
affermato che il TAR e il Consiglio di Stato avevano accertato con efficacia

trattava, con conseguente applicazione del meccanismo revisionale anche
ai periodi di proroga.
5. – Per la cassazione di questa sentenza la ASL di Taranto ha proposto
ricorso affidato a un unico articolato motivo.
Le società intimate hanno resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Con l’unico articolato motivo la ASL di Taranto deduce «Eccesso di
potere giurisdizionale. Violazione art. 111 Cost. Violazione degli artt. 106
c.p.a. e 395 c.p.c. Violazione dell’art. 111 Cost. anche per violazione del
principio del doppio grado del giudizio amministrativo».
La ricorrente sostiene che con la sentenza impugnata il Consiglio di Stato
avrebbe proceduto ad un ulteriore grado del giudizio, pronunciandosi
nuovamente sulla interpretazione da dare alle sentenze oggetto di
ottemperanza in senso difforme da quanto statuito dalla precedente
sentenza dello stesso organo giurisdizionale n. 5128/2013.
Nella conformazione del giudizio amministrativo, osserva la ricorrente, la
giurisdizione del giudice amministrativo si articola in due gradi e il doppio
grado costituirebbe il limite esterno della giurisdizione di quel giudice.
La ricorrente, richiamata la sentenza di queste Sezioni Unite n. 30254 del
2008, secondo cui è norma sulla giurisdizione non solo quella che individua
i presupposti dell’attribuzione del potere giurisdizionale, ma anche quella
che dà contenuto al potere stabilendo attraverso quali forme di tutela esso
si estrinseca, sostiene che nel caso di specie il giudice amministrativo non

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di giudicato che anche per il 2006 di proroga e non di nuovo contratto si

avrebbe potuto procedere a nuovo esercizio di potere giurisdizionale e
riformare la precedente sentenza, in quanto non sussisteva alcuna
fattispecie revocatoria.
Ricordato, quindi, che, ai sensi dell’art. 106 cod. proc. amm. e dell’art. 395
cod. proc. civ., il ricorso per revocazione è ammesso in ipotesi
espressamente indicate, insuscettibili di interpretazione analogica o

dato comprendere quale sia l’errore di fatto revocatorio, essendosi la
sentenza impugnata imitata a dare conto di un diverso convincimento del
giudice in sede di revocazione rispetto alle motivazioni poste a fondamento
della sentenza revocata; il che darebbe luogo ad una ipotesi di eccesso di
potere giurisdizionale, avendo il Consiglio di Stato ecceduto i limiti esterni
della propria giurisdizione in sede di revocazione.
2. – Il ricorso è inammissibile.
2.1. – In base a quanto disposto dall’art. 362 cod. proc. civ. e dall’art. 110
cod. proc. amm., approvato con d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, nonché
dall’art. 111, ultimo comma, Cost., avverso le decisioni del Consiglio di
Stato il ricorso per cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla
giurisdizione.
Nella giurisprudenza di queste Sezioni Unite si è chiarito che il previsto
rimedio è esperibile nell’ipotesi in cui la sentenza del Consiglio di Stato
abbia violato l’ambito della giurisdizione in generale – ad esempio
esercitando la giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla
discrezionalità amministrativa, oppure, al contrario, negando la
giurisdizione sull’erroneo presupposto che la domanda non possa formare
oggetto in modo assoluto di funzione giurisdizionale -, ovvero nell’ipotesi in
cui abbia violato i cosiddetti limiti esterni della propria giurisdizione. Il
giudice amministrativo incorre in tale ultima violazione laddove si pronunci
su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione
speciale, oppure qualora neghi la propria giurisdizione nell’erroneo
convincimento che essa appartenga ad altro giudice, ovvero ancora
quando, in materia attribuita alla propria giurisdizione limitatamente al solo

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estensiva, la ricorrente rileva che nel caso di specie non sarebbe neanche

sindacato di legittimità degli atti amministrativi, compia un sindacato di
merito invadendo arbitrariamente, tramite l’esercizio di poteri di cognizione
e di decisione non previsti dalla legge, il campo dell’attività riservato alla
Pubblica Amministrazione (v. di recente, Cass., S.U., n. 2403 del 2014 e
pronunce ivi richiamate).
2.1. – Quanto alla giurisdizione affidata al giudice amministrativo in sede di

gli è consentito, ai sensi degli artt. 7, comma 6, e 134 cod. proc. amm.,
esercitare giurisdizione con cognizione estesa al merito, potendo procedere
alla determinazione del contenuto del provvedimento amministrativo, alla
sua emanazione in luogo della pubblica amministrazione, nonché alla
sostituzione della amministrazione stessa.
Giova precisare che non solo l’operato del giudice amministrativo che
eserciti la sua naturale giurisdizione di legittimità è soggetto, nei limiti su
indicati, al sindacato di queste Sezioni Unite, ma anche le decisioni del
Consiglio di Stato in sede di giudizio di ottemperanza che comportano
l’esercizio di un potere di giurisdizione di merito conferitogli dalla legge.
Al fine di distinguere le fattispecie nelle quali il sindacato è consentito da
quelle nelle quali è inammissibile, è decisivo stabilire se oggetto del ricorso
è il modo con cui il potere di ottemperanza è stato esercitato (limiti interni
della giurisdizione) oppure se sia in discussione la possibilità stessa, in una
determinata situazione, di fare ricorso al giudizio di ottemperanza (limiti
esterni della giurisdizione); ne consegue che, ove le censure mosse alla
decisione del Consiglio di Stato riguardino l’interpretazione del giudicato,
l’accertamento del comportamento tenuto dall’Amministrazione e la
valutazione di conformità di tale comportamento rispetto a quello che si
sarebbe dovuto tenere, gli errori nei quali il giudice amministrativo può
eventualmente incorrere, essendo inerenti al giudizio di ottemperanza,
restano interni alla giurisdizione stessa e non sono sindacabili dalla Corte di
cassazione (Cass., S.U., n. 736 del 2012).
Ne consegue che, ove le censure mosse alla decisione del Consiglio di Stato
riguardino tanto l’accertamento di un giudicato rimasto ineseguito, quanto

– 7.

ottemperanza, tuttavia, essa presenta delle peculiarità in forza delle quali

le modalità di esecuzione di tale giudicato, esse non attengono ai limiti
esterni delle attribuzioni del giudice amministrativo, ma alla correttezza in
concreto del loro esercizio, rimanendo estranee al sindacato di questa
Corte.
2.2. – Con specifico riferimento alla giurisdizione esercitata dal Consiglio di
Stato in sede di revocazione, questa Corte ha, anche di recente, ribadito

pronunciata su impugnazione per revocazione può sorgere questione di
giurisdizione solo con riferimento al potere giurisdizionale in ordine alla
statuizione sulla revocazione medesima, in quanto ogni diversa censura
sulla decisione di merito non avrebbe ad oggetto una violazione dei limiti
esterni alla giurisdizione del giudice amministrativo, rispetto alla quale
soltanto è consentito ricorrere in sede di legittimità» (Cass., S.U., n, 1520
del 2016; Cass., SU., n. 16754 del 2014; Cass., S.U., n. 20600 del 2008).
2.3. – Nella specie, non si è in presenza di uno sconfinamento del Consiglio
di Stato dai limiti della propria giurisdizione o di vizi riguardanti l’essenza
della stessa funzione giurisdizionale, riguardando invece le censure la
modalità operativa dell’esercizio del potere giurisdizionale in sede di
revocazione e più in particolare un asserito

error in procedendo o in

iudicando, non rientrante, in quanto tale, nell’ambito di operatività del
sindacato riservato a queste Sezioni Unite, poiché riguarda i limiti interni
della giurisdizione del giudice amministrativo e non anche quelli esterni.
Invero, neanche la ricorrente sostiene che le sentenze emesse in sede di
ottemperanza non sarebbero suscettibili di revocazione: le censure, infatti,
attengono al modo in cui la giurisdizione in sede di revocazione è stata
esercitata, sul rilievo che si sarebbe proceduto alla revocazione della
sentenza per motivi non riconducibili a quelli tassativamente previsti. Si è,
quindi, all’evidenza, al di fuori di un vizio deducibile con il ricorso per
cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione.
3. Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con conseguente
condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di
cassazione, liquidate avuto riguardo al valore della controversia.

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che «nel ricorso per cassazione avverso una sentenza del Consiglio di Stato

Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è
dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi
dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di
stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo
unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza

importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa
impugnazione integralmente rigettata.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte

dichiara

il ricorso inammissibile;

condanna

pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che

la ricorrente al
liquida in euro

25.000,00, oltre ad euro 200,00 per esborsi, agli accessori di legge e alle
spese forfetarie.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito
dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza
dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a
norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili
della Corte suprema di cassazione, il 22 marzo 2016.

dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente ASL, dell’ulteriore

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