Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6895 del 20/03/2018


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Cassazione civile, sez. lav., 20/03/2018, (ud. 06/12/2017, dep.20/03/2018),  n. 6895

Fatto

Il Tribunale di Modena con la sentenza n. 48/2014, aveva annullato il licenziamento intimato in data 14.9.2010 a P.O. e condannato il datore di lavoro, Salumificio Mec Palmieri srl, alla reintegrazione nel posto di lavoro ed al pagamento di una indennità pari alla retribuzione globale di fatto maturata dal dì del licenziamento a quello della effettiva reintegrazione.

La società datrice di lavoro aveva impugnato la decisione solo con riferimento alla errata determinazione della indennità risarcitoria, in quanto il Tribunale non aveva considerato il periodo di sospensione post sisma dal 20 al 29 maggio 2012, in cui non era stato possibile svolgere alcuna attività di lavoro, nonchè l’attività lavorativa autonoma svolta dal P. successivamente al licenziamento.

La Corte di Appello aveva rigettato il ricorso ritenendo inammissibile la censura relativa alla sospensione dell’attività lavorativa nel periodo post sisma, in quanto domanda nuova proposta solo in appello e ritenendo insussistente l’aliunde perceptum, in quanto l’attività lavorativa sarebbe stata svolta successivamente alla pronuncia del Tribunale di Modena.

La società ha proposto ricorso in Cassazione affidandolo a due motivi, di cui il primo articolato in due capi.

Il P. ha resistito con controricorso.

All’odierna udienza la causa era decisa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso deve essere rigettato.

1-a) Con il primo motivo parte ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, in relazione al D.L. n. 74 del 2012, art. 6, convertito in L. n. 122 del 2012, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 2).

In particolare la Società lamenta la errata determinazione e liquidazione dei danni, oggetto della condanna ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 18, in quanto il Tribunale non aveva considerato quanto disposto dal D.L. n. 74 del 2012 con riguardo alla sospensione del processo conseguente agli eventi sismici che avevano interessato la Provincia di Modena ed agli effetti di tale sospensione sulla entità del danno liquidabile in favore del lavoratore, e la Corte di Appello, aveva poi ritenuto inammissibile lo specifico motivo di gravame, in quanto domanda nuova proposta per la prima volta in appello. Come già in precedenza affermato da questa Corte “L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, comma 4, nel testo sostituito dalla L. 11 maggio 1990, n. 108, art. 1, nel prevedere, in caso di invalidità del licenziamento, la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore per effetto del licenziamento stesso, mediante corresponsione di una indennità commisurata alla retribuzione non percepita, stabilisce una presunzione “iuris tantum” di lucro cessante il cui presupposto è l’imputabilità al datore di lavoro dell’inadempimento, fatta eccezione per la misura minima del risarcimento, consistente in cinque mensilità dì retribuzione, la quale è assimilabile ad una sorta di penale, avente la sua radice nel rischio di impresa” (Cass. n. 1950/2011).

La richiamata presunzione può essere contrastata da specifiche allegazioni (corredate da idonei elementi probatori), che il datore di lavoro ha l’onere di fornire al fine di ridurre l’entità del danno.

La società ricorrente aveva quindi l’onere di allegare le effettive circostanze di fatto eventualmente determinative della riduzione delle retribuzioni oggetto della condanna, non essendo a ciò sufficiente la dedotta applicazione da parte del Tribunale della normativa di cui al D.L. n. 74 del 2012, art. 6, in sede di rinvio delle udienze. A tal riguardo, se pur si voglia superare ogni profilo di inammissibilità della censura in quanto non presente in ricorso alcuna indicazione dei verbali di causa e dei provvedimenti di sospensione e di rinvio delle udienze adottati dal Tribunale e richiamati dalla parte ricorrente, giova anche ricordare che la medesima disposizione, oltre che fissare il termine di sospensione per la trattazione dei processi in corso, disponeva altresì la facoltà, per i soggetti interessati, di rinunciare a tale sospensione nel caso in cui gli stessi avessero il timore di conseguenze pregiudizievoli conseguenti all’allungamento dei tempi processuali. La applicazione della norma ai fini della riduzione delle retribuzioni maturate tra la data del licenziamento e quella della reintegrazione in ragione della sospensione del processo, imponeva quindi una complessiva valutazione delle circostanze necessarie a corroborare la domanda che doveva essere espressamente specificata e proposta nella sede originaria dinanzi al Tribunale, o quantomeno inserita nelle note conclusive sotto forma di eccezione alla richiesta condanna. In tale momento (il dispositivo è stato pronunciato il 19.2.2014), infatti, la società ricorrente aveva piena consapevolezza sia della speciale disciplina intervenuta-(6 giugno 2012)- a tutela dei soggetti colpiti dall’evento sismico, che delle condizioni necessarie a far valere detta tutela, nonchè degli effetti conseguenti al periodo di sospensione.

Si deve in proposito anche richiamare quanto precisato da questa Corte con riferimento ai tempi processuali ed alla loro irrilevanza rispetto alla entità del risarcimento, stante la non addebitabilità al lavoratore della durata del processo, in ragione dell’esistenza di norme che consentono ad entrambe le parti del rapporto di promuovere il giudizio ed interferire nell’attività processuale (Cass. n. 9023/2012).

Il motivo deve quindi essere rigettato.

1-b) Con il primo motivo la parte ricorrente articola una ulteriore censura relativa alla violazione e falsa applicazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, e comunque omessa e/o insufficiente motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, con riferimento alla mancata considerazione, della Corte territoriale, della interruzione dell’attività produttiva nell’azienda ricorrente, causata dall’esigenza dì messa in sicurezza dei macchinari a causa del sisma. Soggiungeva la società che al pari degli altri dipendenti, anche il P., in ipotesi fosse rimasto a lavorare, sarebbe stato posto in cassa integrazione ed avrebbe così percepito una minore retribuzione; anche tale circostanza avrebbe dovuto essere considerata ai fini della quantificazione del danno liquidato.

La doglianza risulta infondata poichè anche in questo caso nessuna allegazione è stata offerta nei giudizi di merito e nessuna valutazione e conseguente determinazione era possibile. Se infatti l’interruzione della attività di produzione costituiva una causa sopravvenuta autonoma rispetto al contesto risarcitorio in atto, tale da interrompere il nesso di causalità tra licenziamento illegittimo e risarcimento del danno, avrebbe dovuto essere circostanza specificamente allegata e provata (si veda a riguardo Cass. n. 22972/2017; Cass. 18753/2017).

Anche per tale ragione il motivo deve essere rigettato.

2) Con il secondo motivo la società ricorrente deduce la violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 1223 c.c. nonchè art. 437 c.p.c., allorchè la Corte territoriale aveva dichiarato infondata la censura inerente al reddito percepito dal P. successivamente al licenziamento (aliunde perceptum), asserendo che era relativo ad attività lavorativa svolta dopo la pronuncia del Tribunale di Modena e quindi non oggetto della obbligazione risarcitoria.

La società rilevava a riguardo che, come risultante dalla visura camerale della Camera di Commercio di Modena prodotta con l’atto di appello, il P. aveva iniziato a lavorare in data 8.1.2013 e quindi subito dopo il licenziamento, ma comunque prima della pronuncia del Tribunale (19.2.2014). Di tale circostanza la società era venuta a conoscenza solo in un momento successivo alla udienza di discussione tenutasi in data 19.2.2014, e non aveva dunque potuto allegarla dinanzi al Tribunale. La datrice di lavoro aveva quindi richiesto alla Corte di appello di Bologna di considerare tale elemento ai fini della entità del danno riconosciuto al lavoratore in misura pari a quanto percepito dallo stesso nel corso della nuova attività lavorativa, già a decorrere dal gennaio 2013. La Corte adita aveva respinto la domanda ritenendo che la prestazione lavorativa avesse avuto inizio dopo la pronuncia del primo Giudice.

La possibilità di detrarre dal risarcimento dovuto al lavoratore “l’aliunde percepum”, è legata alla presenza in giudizio di elementi di prova, specifici e puntuali, attestativi di una diversa fonte reddituale, il cui onere allegatorio incombe sul datore di lavoro (in tal senso, tra le altre Cass. n. 2499/2017, Cass. n. 9616/2015). Qualora il datore di lavoro abbia conoscenza delle circostanze in questione solo nel corso del giudizio, per potersene avvalere ha altresì l’onere di provarle l’esatto momento in cui ne abbia avuto conoscenza (Cass. n. 17606/2007). La decisione della Corte territoriale risulta coerente con gli enunciati principi allorchè ha ritenuto che l’attività lavorativa determinativa dell’aliunde perceptum fosse iniziata in un momento successivo alla pronuncia del Tribunale; invero le circostanze allegate dalla società, introdotte per la prima volta in sede di gravame, non erano state corredate della specifica indicazione sui tempi e modi della loro tardiva conoscenza e risultavano,” peraltro legate a documenti, quali la visura camerale di costituzione di una ditta individuale, non direttamente attestativi di un reddito certamente percepito. L’elemento rilevante ai fini della prova dell’aliunde perceptum è infatti l’effettivo percepimento di una retribuzione o comunque di un reddito da lavoro autonomo e la sua concreta consistenza.

Il motivo di censura deve essere disatteso con il conseguente rigetto del ricorso. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore del contro ricorrente, liquidate in complessivi Euro 4.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, in Camera di Consiglio, il 6 dicembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2018

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