Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6893 del 24/03/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 6893 Anno 2014
Presidente: BUCCIANTE ETTORE
Relatore: MAZZACANE VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso 17540-2008 proposto da:
SANTELLA GIOVANNA C.F.SNTGNN39A43F839Y, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA REGINA MARGHERITA 1, presso
lo studio dell’avvocato BOZZI SILVIO, rappresentata e
difesa dall’avvocato PIETRUNTI ANTONIO;
– ricorrente –

a

2014
429

contro

MORRONE ANTONIO C.F.MRRNTN39D04E381E, MORRONMARIA
C.F.MRRMRA37B45E381J, ENTRAMBI NELLA QUALITA’ DI
FIGLI ED UNICI EREDI UNIVERSALI DI D’AMICO MARIA ROSA
ROSARIA, elettivamente domiciliati in ROMA, CORSO

Data pubblicazione: 24/03/2014

TRIESTE 82, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO
MAZZEI, rappresentati e difesi dall’avvocato MESSERE
ARTURO;
controricorrenti nonchè contro

MARIA NICOLA, PASSARELLI MARIA GIOVANNA, PASSARELLI
MARIA;
– intimati –

avverso la sentenza n. 90/2007 della CORTE D’APPELLO
di CAMPOBASSO, depositata il 15/05/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 07/02/2014 dal Consigliere Dott. VINCENZO
MAZZACANE;
udito

l’Avvocato

Pietrunti

Mario

con

delega

depositata in udienza dell’Avv. Pietrunti Antonio che
si riporta agli atti e chiede l’accoglimento del
ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ALBERTO CELESTE che ha concluso per il
rigetto del primo e secondo motivo di ricorso,
l’accoglimento del terzo motivo.

D’AMICO MARIA TERESA, PASSARELLI PASQUALE, PASSARELLI

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato 1’8-9-1984 Maria Teresa D’Amico conveniva in giudizio dinanzi al
Tribunale di Campobasso la sorella Maria Rosaria D’Amico chiedendo la divisione giudiziale degli
immobili loro lasciati in proprietà comune ed indivisa dal padre Michele D’Amico con testamento

Costituendosi in giudizio la convenuta, nel dedurre che la divisione poteva essere effettuata
soltanto in relazione a parte degli immobili indicati in citazione, assumeva che i primi due immobili
menzionati dall’attrice erano posseduti dal fratello Antonio D’Amico il quale, a seguito di chiamata
in causa autorizzata nei suoi confronti effettuata da Maria Teresa D’Amico, resisteva alla pretesa di
quest’ultima di rilascio dei beni suddetti.

L’attrice poi, sul presupposto che Giovanna Santella era detentrice della casa sita in Jelsi, Corso
Vittorio Emanuele 62, ricompresa tra gli immobili da Michele D’Amico lasciati in proprietà comune
ed indivisa alle suddette figlie con il menzionato testamento, chiedeva ed otteneva
l’autorizzazione alla chiamata in causa della Santella chiedendo la condanna di quest’ultima al
rilascio dell’immobile ed al pagamento dei canoni di affitto non corrisposti.

Si costituiva in giudizio la Santella eccependo di aver da sempre posseduto l’abitazione suddetta, e
che prima di lei la stessa era stata posseduta dalla madre Maria Donata Santella dal 1916 e fino
alla data del decesso awenuto nel 1986; aggiungeva che solo formalmente tale immobile era stato
ceduto per debito da gioco da Rocco Santella (padre della convenuta) a Michele D’Amico nel 1933,
atteso che quest’ultimo non ne aveva mai richiesto il rilascio né aveva preteso il pagamento di
canoni od altro; chiedeva quindi il rigetto delle domande attrici e in via riconvenzionale
l’accertamento dell’avvenuto acquisto in proprio favore della proprietà del bene per usucapione.

i

pubblico dell’11-10-1953.

Il Tribunale con sentenza del 27-6-2002 dichiarava cessata la materia del contendere tra i fratelli
D’Amico a seguito di intervenuta transazione relativa alla divisione dell’asse ereditario relitto da
Michele D’Amico ed accoglieva la domanda riconvenzionale della Santella.

Proposta impugnazione da parte di Antonio Morrone e Maria Morrone, quali eredi di Maria

Campobasso con sentenza del 15-5-2007, in accoglimento del gravame, ha rigettato la domanda
riconvenzionale proposta dalla Santella avente ad oggetto la declaratoria di intervenuto acquisto
per usucapione della casa di abitazione sita in Jelsi, Corso Vittorio Emanuele 62, ed ha condannato
l’appellata al rilascio dell’immobile in favore degli appellanti.

Avverso tale sentenza la Santella ha proposto un ricorso articolato in tre motivi seguito
successivamente da una memoria cui Antonio Morrone e Maria Morrone quali eredi di Maria
Rosaria D’Amico hanno resistito con controricorso; Pasquale Passarelli, Maria Nicola Passarelli,
Maria Giovanna Passarelli e Maria Passarelli quali eredi di Maria Teresa D’Amico non hanno svolto
attività difensiva in questa sede.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente, deducendo omessa pronuncia con violazione dell’art. 112 c.p.c.
e vizio di motivazione, assume che la Corte territoriale, nonostante l’eccezione in proposito
sollevata dalla esponente, ha ritenuto di soprassedere sulla richiesta inammissibilità ed
improcedibilità dell’appello per non avere gli appellanti notificato l’impugnazione a tutti i
litisconsorti necessari, posto non era stato evocato nel giudizio di appello Antonio D’Amico, figlio
ed erede legittimo di Michele D’Amico al pari delle sorelle Maria Rosaria D’Amico e Maria Teresa
D’Amico, e quindi avente pieno titolo a partecipare anche al secondo grado di giudizio della causa
di divisione ereditaria introdotta da Maria Teresa D’Amico; né in senso contrario rilevava che tra le
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Rosaria D’Amico, e di Maria Teresa D’Amico cui resisteva la Santella la Corte di Appello di

parti era stato raggiunto un accordo transattivo sulla questione della divisione ereditaria, atteso
che tale transazione aveva comportato l’improponibilità della domanda strettamente connessa di
rilascio del bene posseduto dalla Santella, o in alternativa la decisione circa quest’ultima domanda
e quella riconvenzionale di usucapione avrebbe dovuto essere pronunciata alla presenza di tutti i

Il motivo è infondato.

La sentenza impugnata ha rilevato che, rispetto alla domanda di divisione ereditaria proposta da
Maria Teresa D’Amico, l’unica interessata come condividente era Maria Rosaria D’Amico, posto
che Antonio D’Amico era stato chiamato in causa soltanto in quanto possessore di cespiti oggetto
di comunione ereditaria tra le due suddette sorelle.

Orbene tale rilievo è decisivo, atteso che, una volta escluso che Antonio D’Amico fosse
comproprietario del suddetti immobili, veniva meno la sua veste di litisconsorte necessario nel
giudizio di divisione.

Inoltre la soprawenuta cessazione della materia del contendere tra i fratelli D’Amico in ordine a
tutti i rapporti riconducibili, direttamente o indirettamente, alla divisione dell’asse ereditario di
Michele D’Amico, ha comportato la delimitazione dell’oggetto della presente controversia, come
correttamente osservato dal giudice di appello, alla domanda riconvenzionale di usucapione
proposta dalla Santella relativa all’immobile sito in Jelsi, Corso Vittorio Emanuele 62, in ordine al
quale non è contestato che Antonio D’Amico non vanta alcun diritto di proprietà o di
comproprietà; pertanto anche sotto tale profilo deve escludersi che quest’ultimo rivesta la qualità
di litisconsorte necessario nel presente giudizio.

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soggetti che si assumevano comproprietari e/o interessati al suddetto cespite.

Con il secondo motivo la Santella, denunciando violazione degli artt. 657 e seguenti c.p.c., rileva
che la domanda di rilascio dell’immobile per cui è causa, soprattutto se fondata su di un rapporto
locatizio, avrebbe dovuto essere proposta secondo le modalità di forma e di contenuto di cui agli
articoli sopra richiamati; tale domanda quindi non era stata correttamente proposta,

rispetto di forma di cui all’art. 125 c.p.c., in difetto dello “ius postulandi”, senza il rispetto dei
termini previsti dalla legge e soprattutto senza il prescritto avvertimento di cui all’art. 660 c.p.c.

La censura è infondata.

Premesso che la Corte territoriale ha correttamente affermato, a proposito della eccepita
irritualità dell’azione di rilascio, che l’esperibilità di procedure speciali a cognizione sommaria non
è preclusiva di quella ordinaria a cognizione piena, è assorbente rilevare che la domanda di rilascio
dell’immobile per cui è causa da parte di Maria Teresa D’Amico – comproprietaria di esso insieme
alla sorella Maria Rosaria D’Amico in base al testamento pubblico lasciato da Michele D’Amico —
nei confronti della Santella era basata sull’asserita mera detenzione del bene da parte della
chiamata in causa, e non già in virtù di un rapporto locatizio, cosicché correttamente tale
domanda è stata introdotta con il rito ordinario.

Con il terzo motivo la Santella, deducendo vizio della motivazione e violazione degli artt. 1158 e
seguenti – 1164 e 1470 e seguenti c.c., censura la sentenza impugnata per aver ritenuto che dopo
la vendita del suddetto immobile da parte di Rocco Santella a Michele D’Amico e l’immissione di
quest’ultimo nel possesso del bene, Maria Donata Santella prima e la figlia Giovanna Santella dopo
la sua morte avevano occupato l’appartamento in Jelsi quali semplici detentrici in forza di un non
meglio specificato rapporto di locazione e/o di comodato.

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contrariamente all’assunto della sentenza impugnata, tanto più che era stata avanzata senza il

La ricorrente sostiene che non sussisteva alcun elemento oggettivo da cui desumere che al
momento della conclusione della predetta vendita Michele D’Amico fosse stato immesso nel
possesso dell’immobile acquistato, ciò non risultando da nessun riscontro documentale; d’altra
parte nessuna presunzione al riguardo sarebbe fondata, non essendo automatico il trasferimento

testimoniale espletata era emerso l’indisturbato possesso ultracinquantennale dell’appartamento
suddetto da parte di Maria Donata Santella prima e da parte di Giovanna Santella dopo la sua
morte, avendo esse provveduto al pagamento delle tasse inerenti all’immobile e delle spese
condominiali, nonché alla esecuzione di lavori di riparazione della casa; la Santella inoltre rileva
che correttamertatil giudice di primo grado era giunto ad un giudizio di non credibilità dei testi
Andrea Passarelli e Pasquale Passarelli, rispettivamente marito e figlio di Maria Teresa D’Amico, e
di Antonio Morrone, figlio di Maria Rosaria D’Amico.

La censura è fondata.

Il giudice di appello ha affermato che dopo l’alienazione e l’immissione in possesso nel 1933
dell’acquirente Michele D’Amico, i Santella erano rimasti ad abitare nella casa che Rocco Santella
aveva venduto in virtù di un rapporto di comodato stipulato in occasione della vendita con il
nuovo proprietario o per benevola concessione da parte di quest’ultimo (mentre è stato escluso
per mancanza di prova un rapporto locativo); pertanto i Santella, degradati da possessori a
detentori per effetto dell’alienazione e della correlativa immissione dell’acquirente nel possesso
dell’immobile acquistato, non avrebbero potuto usucapire il cespite se non in forza di un atto di
interversione della detenzione in possesso a partire dal quale l’abitazione nella casa predetta fosse
perdurata per il tempo necessario all’usucapione; tuttavia l’interversione non era stata nemmeno
dedotta, posto che essa non è configurabile né per l’omesso pagamento dei canoni locativi né per

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del possesso di un immobile all’acquirente a seguito del suo acquisto; per altro verso dalle prova

l’esecuzione di lavori di manutenzione, e d’altra parte nella fattispecie era stato documentato che
alle riparazioni di una certa consistenza aveva provveduto il proprietario.

Orbene deve rilevarsi che la Corte territoriale non ha offerto sufficienti e logiche ragioni per
ritenere che all’atto della stipula della suddetta compravendita il possesso dell’immobile fosse

priva di adeguati elementi di riscontro in tal senso; per altro verso la sentenza impugnata ha
ritenuto la sussistenza di un rapporto di comodato che giustificava la continuazione nel godimento
del suddetto immobile da parte di Rocco Santella e della sua famiglia non all’esito di un
apprezzamento degli elementi acquisiti al processo, ma in via residuale, non essendo stato
provato, come già esposto, un rapporto locatizio, sull’implicito presupposto che il venditore avesse
perso il possesso del bene all’atto della vendita di esso.

Tale convincimento non può essere condiviso, posto che non è ravvisabile un costituto possessorio
implicito nel negozio traslativo del diritto di proprietà o di altro diritto reale, nel senso che ad esso
segua automaticamente il trasferimento del possesso della cosa all’acquirente, poiché tale
trasferimento rappresenta, ai sensi dell’art. 1476 c.c., l’oggetto di una specifica obbligazione del
venditore per la quale non sono previste forme tipiche; pertanto, nell’ipotesi in cui l’alienante
trattenga la cosa presso di sé, occorre accertare caso per caso, in base al comportamento delle
parti ed alle clausole contrattuali che non siano di mero stile, se la continuazione, da parte
dell’alienante stesso, dell’esercizio di fatto sulla cosa sia accompagnata dalranimus rem sibi
habendi” ovvero configuri una detenzione “nomine alieno” (Cass. 18-3-1981 n. 1613; Cass. 24-61994 n. 6095; Cass. 15-2-1996 n. 1156; Cass. 18-4-2003 n. 6331).

Nella fattispecie quindi è carente una adeguata indagine avente ad oggetto la volontà delle parti
ed operata con riferimento, oltre che alle clausole contrattuali, anche al comportamento di esse
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stato trasferito all’acquirente Michele D’Amico, posto che l’affermazione in proposito resa appare

successivo al contratto per verificare se la prosecuzione, da parte del venditore Rocco Santella e
dei suoi familiari (ovvero la moglie Maria Donata Santella e successivamente la figlia Giovanna
Santella), dell’esercizio del potere di fatto sull’immobile per circa cinquant’anni sia qualificabile in
termini di possesso, in quanto caratterizzata dall’intenzione di continuare ad abitare il bene quale

un accertamento in questo senso di tale punto decisivo della controversia.

In definitiva la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto, e la causa
deve essere rinviata anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio alla Corte di Appello
di Napoli.

P.Q.M.

La Corte
Accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al
motivo accolto e rinvia la causa anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio alla Corte
di Appello di Napoli.

Così deciso in Roma il 7-2-2014

Il Presidente

proprietario, oppure di detenzione; pertanto in sede di giudizio di rinvio occorrerà procedere ad

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