Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6892 del 11/03/2020

Cassazione civile sez. I, 11/03/2020, (ud. 17/12/2019, dep. 11/03/2020), n.6892

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 30265-2018 proposto da:

R.M.S.M., domiciliato in ROMA, presso la

Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’Avvocato ANDREA DIROMA giusta procura speciale estesa in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE DI CAMPOBASSO n. 1880/2018,

depositato il 4.9.2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17.12.2019 dal Consigliere Dott.ssa DELL’ORFANO ANTONELLA.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

R.M.S.M. propone ricorso, affidato a quattro motivi, per la cassazione del provvedimento indicato in epigrafe, con cui il Tribunale di Campobasso aveva respinto il ricorso da lei presentato contro il provvedimento della Commissione territoriale di diniego della richiesta di protezione internazionale, sub specie di riconoscimento di protezione umanitaria;

la domanda del ricorrente era stata motivata in ragione della necessità di lasciare il suo Paese d’origine ((OMISSIS)) per dare un sostentamento economico alla sua famiglia, motivo per il quale aveva raggiunto dapprima la Libia e poi l’Italia;

il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1.1. il ricorrente, in primo luogo, solleva eccezione di incostituzionalità, rappresentando che le norme di cui all’art. 35-bis del D.Lgs. n. 25 del 2008, prescrivono, per l’azione giurisdizionale avverso il provvedimento della Commissione territoriale, le forme del giudizio di cui all’art. 737 c.p.c., senza la possibilità di reclamo o appello, mentre permangono per i richiedenti la sola protezione umanitaria del D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6, le medesime garanzie della procedura giurisdizionale ordinaria e, quindi, il doppio grado di giudizio di merito ed il pieno contraddittorio fra le parti; inoltre, il ricorrente rileva che il D.L. n. 13 del 2017, fa rientrare il giudizio relativo alla sola protezione internazionale nell’alveo del rito camerale di volontaria giurisdizione, in spregio del principio del contraddittorio e del giusto processo in una materia che comporta la decisione su conflitti attinenti a diritti soggettivi e fondamentali della persona e che la disciplina di cui al D.L. n. 13 del 2017, art. 6, lett. g), che ha introdotto il nuovo D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis determini, una serie di compressioni del diritto di difesa (specificamente del rispetto del contraddittorio, della possibilità di avvalersi di difesa tecnica e di svolgere un’adeguata attività istruttoria, della facoltà di impugnazione, del diritto del ricorrente di comparire davanti al giudice) irragionevoli e non rispondenti al principio di proporzionalità in procedimenti la cui decisione dispiega effetti sulla vita e sui diritti della parte paragonabili a quelli di una decisione penale;

1.2. la questione è manifestamente infondata alla stregua delle argomentazioni tutte, qui condivise e da intendersi richiamate, già rinvenibili in Cass. n. 17717 del 2018, pronunciatasi (anche) su eccezioni di incostituzionalità del tutto analoghe a quelle oggi sottoposte all’attenzione del Collegio, cui va aggiunto, Cass. n. 27700 del 2018 ha ulteriormente precisato che, “…essendo il principio del doppio grado di giurisdizione privo di copertura costituzionale, il legislatore può sopprimere l’impugnazione in appello al fine di soddisfare specifiche esigenze, massime quella della celerità, esigenza decisiva per i fini del riconoscimento della protezione internazionale, dovendosi, altresì, considerare, per la verifica della compatibilità costituzionale della eliminazione del giudizio di appello, che il ricorso di cui trattasi è preceduto da una fase amministrativa destinata a svolgersi dinanzi ad un personale dotato di apposita preparazione, nell’ambito del quale l’istante è posto in condizioni di illustrare pienamente le proprie ragioni attraversi il colloquio destinato a svolgersi dinanzi alle Commissioni territoriali, di guisa che la soppressione dell’appello si giustifica anche per il fatto che il giudice è chiamato ad intervenire in un contesto in cui è stato già acquisito l’elemento istruttorio centrale – per l’appunto il detto colloquio, al fine dello scrutinio della fondatezza della domanda di protezione, il che concorre a far ritenere superfluo il giudizio di appello”;

2.1. con il primo motivo del ricorso si denuncia erronea o falsa applicazione delle norme di diritto di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 8, lamentando il ricorrente l’omessa acquisizione della documentazione in possesso della Commissione territoriale (ed in particolare il verbale di audizione amministrativa e la memoria ivi espressamente indicata), privando, così, il giudizio di elementi di prova necessari;

2.2. la doglianza non merita condivisione in assenza (Ndr: testo originale non comprensibile) elemento che consenta di ritenere realmente “decisiva”, ai fini della composizione della lite, quella documentazione:

3.1. con il secondo motivo di ricorso si lamenta erronea o falsa applicazione delle norme di diritto di cui all D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 9, censurando il ricorrente la mancata acquisizione, da parte del Tribunale, delle necessarie informazioni sulla situazione socio – politica – economica del Paese di provenienza e, in particolare, delle COI più recenti e maggiormente attinenti al caso in esame, essendosi il Tribunale limitato ad un esame parziale del rapporto Amnesty International 2017-2018, che ha carattere meramente generale e non contiene quelle indicazioni utili ai fini della decisione sulla vicenda personale del ricorrente;

3.2. con il terzo motivo di ricorso si lamenta “violazione ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 14, lett. c)”, dolendosi il ricorrente del mancato riconoscimento della protezione sussidiaria, asseritamente effettuato alla stregua di una ricognizione incompleta delle informazioni disponibili riverberatasi in un omesso esame di elementi decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti;

3.3. con il quarto motivo si denuncia “violazione ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998”, art. 5; Critica il decreto impugnato per aver disatteso la richiesta di positivo accertamento dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria sul presupposto dell’irrilevanza delle buone prospettive di integrazione del ricorrente in Italia, e si ascrive al Tribunale di non aver tenuto conto di tutti gli elementi attestanti la situazione di vulnerabilità del ricorrente in caso di rientro nel suo Paese;

3.4. le censure, da esaminare congiuntamente, vanno disattese;

3.5. le doglianze investono, in primo luogo, la mancata acquisizione, da parte del Tribunale, delle necessarie informazioni sulla situazione sociopolitica – economica del Paese di provenienza del ricorrente e, in particolare, delle COI più recenti e maggiormente attinenti al caso in esame, essendosi quel giudice limitato ad un esame del rapporto Amnesty International 2017-2018, che ha carattere meramente generale e non contiene indicazioni utili ai fini della decisione sulla vicenda personale del ricorrente;

3.4. al riguardo si osserva che il provvedimento oggi impugnato ha compiutamente esaminato la situazione fattuale, operato la ricostruzione della realtà sociopolitica del Paese di provenienza del richiedente (sono specificamente riportate, nel decreto impugnato le informazioni che il tribunale ha desunto dal citato rapporto Amnesty International in relazione al (OMISSIS), regione del Kyshoregoni), onde le censure in esame sono insuscettibili di accoglimento, in quanto, sostanzialmente, sono volt ad ottenere la ripetizione del giudizio di fatto, attività qui preclusa in virtù della funzione di legittimità;

3.5. le censure di cui al secondo e terzo motivo, si risolvono (Ndr: testo originale non comprensibile) in una critica al complessivo governo del materiale istruttorio operato dal giudice a quo; ciò non è ammesso, però, nel giudizio di legittimità, che non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonchè la più recente Cass. n. 8758 del 2017);

3.6. infondato, infine, è anche l’ultimo mezzo, con cui si critica il decreto impugnato per aver disatteso la richiesta di positivo accertamento dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria sul presupposto dell’irrilevanza delle buone prospettive di integrazione del ricorrente in Italia, e si ascrive al Tribunale di non aver tenuto conto di tutti gli elementi attestanti la situazione di vulnerabilità del ricorrente in caso di rientro nel suo Paese;

3.7. secondo il ricorrente, l’oggettiva documentazione del percorso di integrazione sociale intrapreso e il risultato ottenuto erano sufficienti al riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari;

3.8. quanto alla situazione di vulnerabilità soggettiva -esclusa dalla Corte- nel decreto impugnato non sarebbe stato, inoltre, valutato che il concetto di salute ex art. 32 Cost., andava riferito al benessere generale della persona e non alla mera integrità psico – fisica;

3.9. secondo la giurisprudenza di questa Corte, di per sè, isolatamente e astrattamente considerata, l’integrazione socio – lavorativa sul territorio italiano del richiedente asilo non costituisce un elemento sufficiente per il riconoscimento della protezione umanitaria (cfr. Sezioni Unite n. 24960/2019; Cass. n. 17072/2018, 4455/2018) e la condizione di fragilità e di particolare vulnerabilità soggettiva del richiedente asilo è stata motivatamente esclusa dal Tribunale con riguardo alle sue condizioni di salute;

3.10. a tale valutazione il ricorrente contrappone una generica deduzione volta ad attribuire rilevanza al diritto costituzionale al benessere generale della persona, priva di ogni concretezza e determinazione, che si risolverebbe con il riconoscimento della protezione umanitaria tutte le volte in cui il richiedente persegua con il viaggio migratorio un obiettivo di miglioramento delle sue condizioni personali di benessere, e ciò in difetto del requisito imprescindibile di un’inaccettabile compressione dei diritti umani sotto la soglia della tollerabilità nel Paese di provenienza, riferibile in modo soggettivo e personalizzato anche al richiedente asilo;

3.11. inammissibile risulta, infine, la doglianza circa il mancato esame della documentazione relativa all’attività lavorativa del ricorrente in Italia, poichè, dall’esame della documentazione prodotta dal medesimo, emerge che trattasi di circostanza nuova, mai dedotta nel ricorso introduttivo, e che la relativa documentazione è stata quindi prodotta per la prima volta in sede di legittimità;

4. sulla scorta di quanto sin qui illustrato, il ricorso va integralmente rigettato;

5. non vi è luogo a provvedere sulle spese, attesa la mancata costituzione della parte intimata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Corte di Cassazione, Prima Sezione Civile, il 17 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2020

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