Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6891 del 08/04/2016


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Ord. Sez. U Num. 6891 Anno 2016
Presidente: AMOROSO GIOVANNI
Relatore: MAMMONE GIOVANNI

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 7528-2014 proposto da:
ROMANO GIUSEPPE, LIGUORI VINCENZO, LAMENZA FRANCESCO,
PAONE MARIA CRISTINA, elettivamente

domiciliati

in

ROMA, CORSO TRIESTE 16, presso lo studio dell’avvocato
2015

SALVATORE NAPOLITANO, che li rappresenta e difende,

475

per delega a margine del ricorso;
– ricorrenti contro

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI NAPOLI FEDERICO II, in

Data pubblicazione: 08/04/2016

persona

del

legale

rappresentante

pro-tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA BENEDETTO
CAIROLI 2, presso lo studio dell’avvocato ANGELO
ABIGNENTE, che la rappresenta e difende, per delega a
margine del controricorso;
I.N.P.S.

ISTITUTO NAZIONALE

DELLA PREVIDENZA

persona del legale rapresentante pro-tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA
29, presso gli Uffici dell’Istituto stesso,
rappresentato e difeso dall’Avvocato MARIA MORRONE,
per delega a margine del controricorso;
– controricorrenti

avverso la sentenza n. 4001/2013 del CONSIGLIO DI
STATO, depositata il 30/07/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 17/11/2015 dal Consigliere Dott. GIOVANNI
MAMMONE;
uditi gli avvocati Salvatore NAPOLITANO,

Maria

MORRONE, Angelo ABIGNENTE:
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUCIO CAPASSO, che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso.

SOCIALE, quale sucessore ex lege dell’INPDAP, in

un primo ricorso e I iguori Vincenzo con un secondo, rutti medici esercenti
la libera professione, adivano il Tribunale amministrativo regionale della
Campania esponendo di aver svolto per il periodo gennaio 1988-dicembre
1997 attività medico-assistenziale, dapprima presso il Policlinico universitario
della Facoltà di medicina e chirurgia dell’Università Federico Secondo di
Napoli e successivamente presso l’Azienda Policlinico universitario, tutti in
regime di collaborazione libero-professionale in attuazione di apposita
convenzione predisposta dall’Università (c.d. medici a gettone). Tanto
premesso, chiedevano che fosse accertato che il loro rapporto si era svolto in
regime di pubblico impiego c che l’Università e l’Azienda sopra nominate
fossero condannate al pagamento delle differenze tra d trattamento
economico spettante per tale titolo e quanto percepito a titolo di gettone e al
versamento dei relativi contributi previdenziali ed
al pagamento
dell’indennità di buonuscita.
2. Costituitosi il contraddittorio con le Amministrazioni convenute, il
TAR Campania (sentenze 11.04,03 n. 3731 e 3732) accoglieva parzialmente i
ricorsi e condannava le Amministrazioni in questione, ciascuna per il periodo
di competenza, a richiedere l’iscrizione dei ricorrenti ad un ente
previdenziale per il periodo 1.01.88-31.12.97. In particolare il Tribunale,
richiamando la giurisprudenza del Consiglio di Stato, respingeva la domanda
in punto di conversione del rapporto di collaborazione professionale in
rapporto di pubblico impiego e di pagamento delle differenze retributive, e
l’accoglieva nei limiti dell’accertamento che tra le parli era intercorso un
rapporto di pubblico impiego di fatto che imponeva la regolarizzazione della
posizione previdenziale dei ricorrenti per 120 ore mensili, equiparabili alla
durata della prestazione dei medici a tempo definito.
3. I quattro medici interessati, nel 2007, assieme ad altri colleghi,
adivano nuovamente il TAR Campania, deducendo di aver espletato l’attività
di assistenza presso il Policlinico universitario anche negli anni dal 1981 al
1988, e chiedevano che, previa qualificazione del rapporto quale pubblico
impiego di fatto, fosse loro concessa la copertura previdenziale per tale
ulteriore periodo. Il TAR (sentenza 23.06.09 n. 3452), tuttavia, dichiarava
inammissibile la domanda ritenendo realizzata la decadenza prevista dall’art.

Ritenuto in fano e diritto
1. P-done Maria Cristina, Romano Giuseppe, Lamenza Francesco con

69, e. 7, del d.lgs. 30.03.01 n. 165 (già art. 45, c. 17, del d.lgs. 31.03.98 n. 80),
trattandosi di domanda attinente a rapporto di lavoro anteriore al 30.06.98,
attribuita alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, proposta
dopo il 15.09.00.
il quale con sentenza 30.07.13 n. 4001 (Sesta Sezione giurisdizionale)
rigettava l’impugnazione, ritenendo che la decadenza in questione opera
anche per il diritto alla tutela previdenziale, al pari che per gli altri diritti
riconnessi al rapporto di lavoro. Nella specie, pur trattandosi di rapporto di
fatto, assimilabile al pubblico impiego, l’azione avrebbe dovuto essere
esercitata dinanzi al giudice amministrativo nel rispetto di tutti i presupposti,
le condizioni ed i limiti dell’azione ivi posti dalla legge, ed in particolare nel
rispetto dell’art. 69, e. 7, del d.lgs. n. 165 del 2001.
5. Nelle more del giudizio altri medici venenti nella stessa condizione
giuridica degli odierni ricorrenti avevano fatto ricorso alla Corte europea dei
diritti dell’uomo (Corte EDU) rilevando che l’interpretazione del richiamato
art. 69, e. 7, accolta dal Consiglio di Stato, già presente in precedenti
pronunzie, li privava del diritto di ottenere il trattamento previdenziale per
un periodo in cui avevano svolto una prestazione lavorativa, come tale
riconosciuta. Ne derivava la violazione dell’art. 6, c. 1, della Convenzione
EDU, per il quale “ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata
equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale
indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a
pronunciarsi sulle controversie sui Suoi diritti e doveri di carattere civile …”.
6. La Corte 1 2,DIJ con sentenza del 4.02.14 (Aloitola ed altri 4″. Italia,
ruolo n. 29932/07), assieme ad altra pronunzia in pari data, relativa a
fattispecie concernente analoga censura di violazione della Convenzione
(Sia/Un ed altri o. Italia, ruolo n. 29907/07), riteneva che la legge italiana, nel
fissare la decadenza prevista dall’art. 69, c. 7, del d.lgs. n. 165 del 2001,
avesse posto un ostacolo procedurale costituente sostanziale negazione del
diritto invocato. La Corte prendeva atto dell’evoluzione giurisprudenziale in
punto di interpretazione della norma in questione, che in un primo
momento si era orientata nel senso di ritenere che i ricorsi per questioni
attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore al 30.06.98, dopo il
15.09.00, avrebbero dovuto essere proposti non al giudice amministrativo,

4. I soccombenti proponevano, dunque, appello al Consiglio di Stato,

ove operava la decadenza, ma al giudice ordinario, in modo da garantire la
fruizione della giurisdizione. Rilevava, però, che la giurisprudenza, del
giudice civile e di quello amministrativo, si era evoluta nel senso che la

avessero agito prima del 15.09.00.
Mancava, dunque, un giusto equilibrio tra gli interessi pubblici e
privati in gioco; e la decisione del Consiglio di Stato, nel ritenere realizzata la
decadenza aveva privato i ricorrenti della legittima aspettativa di vedere
riconosciuto il loro diritto al trattamento previdenziale. Tenuto inoltre conto
che il diritto a pensione, pur dando luogo ad un credito di prestazione,
avrebbe costituito un bene della persona ove stabilmente riconosciuto, la
Corte riteneva violati l’art. 6, c. 1, della Convenzione e l’art. 1 del Protocollo
aggiuntivo n. 1.
7. Con queste premesse i dottori Paone, Romano, Liguori e Lamenza
propongono ricorso avverso la sentenza del Consiglio di Stato n. 4001/13
(v. n. 4) sostenendo che, alla luce della sentenza della Corte 1:’,DU Abito/a,
l’interpretazione data alla norma dall’art. 69, c. 7, del d.lgs. 165 del 2001 dal
giudice amministrativo si risolve in un diniego di tutela, contrastante con il
diritto alla tutela giurisdizionale riconosciuto dall’art. 6 della Convenzione,
come tale sanzionabile dinanzi alle Sezioni unite ai sensi dell’art. 362, e. 1,
c.p.c. Il Consiglio di Stato sarebbe, dunque, incorso nel diniego di
giurisdizione evidenziato dalla Corte F.DU ponendosi in contrasto con il
diritto alla tutela affermato dall’art. 6, c. 1, della Convenzione. Il giudice
avrebbe dovuto, invece, interpretare la norma nel senso non di escludere il
ricorso a qualsiasi giurisdizione, ma di riconoscere la persistente azionabilità
del diritto pur dopo il 15.09.00, in ragione dell’obbligo del giudice nazionale
di interpretare la norma interna in termini concordanti con la Convenzione.
8. Con lo stesso ricorso i predetti propongono eccezione di
illegittimità costituzionale, in quanto, ove il giudice non riesca a ricomporre
in via interpretativa l’antinomia tra norma interna e Convenzione EDU, ne
risulterebbero violati gli arti. 117 e 38 della Costituzione, in quanto la norma
dell’art. 69, c. 7, del d.lgs. n. 165 del 2001 da un lato risulterebbe in contrasto
con gli obblighi internazionali assunti dall’Italia con l’adesione alla
Convenzione 1-i,DU (art. 6) ed al Protocollo aggiuntivo (art. 1), ma d’altro
-3-

decadenza comminata aveva carattere sostanziale, con il conseguente difetto
assoluto di giurisdizione e la definitiva perdita del diritto di coloro che non

canto violerebbe anche l’art. 38, c. 2, della Costituzione, che considera il
godimento della pensione diritto fondamentale del lavoratore.
9. Rispondono con controricorso l’Università degli Studi di Napoli
Federico Secondo e l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (IN PS),
quale successore ex Ice dell’Istituto Nazionale per la Previdenza dei
Dipendenti dell’Amministrazioni Pubblica (INPDAP).
Fissata la discussione del ricorso all’odierna pubblica udienza, prese in
esame le memorie prodotte dalle parti, udita la discussione dei difensori e del
Procuratore generale, la Corte, pronunziando a Sezioni unite, ritiene fondata
l’eccezione di costituzionalità nei termini che seguono.
10. Con il ricorso oggi in esame si chiede al Collegio di indicare una
via per superare il contrasto tra la legislazione nazionale e la Convenzione
KW, come evidenziato dalle sentenze della Corte di Strasburgo. Al pari di
quanto ritenuto nella stessa materia dall’Adunanza plenaria del Consiglio di
Stato, seppure sulla base di parametri legislativi e costituzionali diversi da
quelli oggi in considerazione (v. ord. 4.03.15 n. 2), il Collegio ritiene che in
tale evenienza debba percorrersi la via della verifica costituzionale della
norma interessata, prospettandosi rilevante e non manifestamente infondata
la questione di costituzionalità dell’art. 69, c. 7, del d.lgs. 30.03.01 n. 165 in
relazione all’art. 117, c. 1, della Costituzione.
11. Preliminare all’esame di qualsiasi altra questione è verificare se
esistano le condizioni per il ricorso alle Sezioni unite della Corte di
cassazione, per motivi inerenti la giurisdizione ai sensi degli artt. 362 c.p.c. e
110 c.p.a., contro la sentenza del Consiglio di Stato n. 4001 del 2013, che ha
rigettato l’appello dei ricorrenti contro la sentenza del TAR.
La sentenza n. 4001 della Sezione Sesta giur. risulta depositata in
30.07.13, di modo che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 362, c.1,
325 e 327 ed in mancanza della notificazione prevista dall’art. 326, e. 1, c.p.c.
la decadenza dall’impugnazione mediante ricorso per cassazione si sarebbe
realizzata solamente allo scadere di un anno dalla pubblicazione della
sentenza (art. 327, c. 1). :1 tale riguardo giova rilevare che nella specie non
trova applicazione la formulazione dell’art. 327, c. 1, c.p.c. introdotta dall’art.
46 della 1. 18.06.09 n. 69 (che riduce il detto termine di decadenza a sei mesi
dalla pubblicazione della sentenza), atteso che il seguente art. 58, nel dettare
le disposizioni transitorie, prevede che le disposizioni che modificano il
-4-

e.cf

codice di procedura civile si applicano ai giudizi instaurati dopo la data di
riferimento l’inizio del giudizio di primo grado e non il momento della
proposizione dell’impugnazione (Cass. 5.10.12 n. 17060, 4.05.12 n. 6784 e
17.04.12 n. 6007), nel caso di specie l’impugnazione deve ritenersi proposta
ritualmente in pendenza del richiamato termine di decadenza, essendo stato
il ricorso presentato al TAR Campania nell’anno 2007 ed essendo stato il
ricorso per cassazione notificato all’Università Federico Secondo presso il
suo difensore il 21.03.14 ed al legale rappresentante dell’INPS (soggetto non
costituito nel giudizio dinanzi al giudice amministrativo) il 19.04.14. Ne
consegue che, non essendosi ancora creato un giudicato al riguardo, la
questione della corretta affermazione della giurisdizione è tuttora aperta.
12. Nel caso di specie, nella controversia conclusasi con la sentenza
30.07.13 n. 4001 né le parti in causa, né il giudice si erano chiesti se l’art. 69,
c. 7, del digs. 30.03.2001 n. 165 si ponesse in contrasto con le disposizioni
della Convenzione e del Protocollo aggiuntivo. La questione è emersa solo
dopo la sentenza, ma in costanza del termine per proporre l’impugnazione
per motivo inerente la giurisdizione, successivamente alle indicate pronunzie
della Corte EDU, intervenute in data 4.02.14. I principi enunziati dalla Corte
della Convenzione sono oggi invocati dai ricorrenti, che in sede di
impugnazione sostengono, nella sostanza, che se il Consiglio di Stato avesse
conosciuto il principio in questione non avrebbe potuto rigettare l’appello,
affermando che la domanda era estranea alle sue attribuzioni giurisdizionali,
ma avrebbe dovuto o conformarsi ai principi in questione, mediante il
canone ermeneutico dell’interpretazione in senso “convenzionalmente
conforme”, oppure, nell’impossibilità di risolvere in via interpretativa il
contrasto tra la norma interna e la Convenzione, investire la Corte
costituzionale.
13. Tanto premesso, deve rilevarsi che è principio consolidatosi nella
giurisprudenza di queste Sezioni unite che il sindacato esercitato dalla Corte
di cassazione sulle decisioni rese dal Consiglio di Stato, ai sensi degli arti.
362, c. I , c.p.c. e 110 c.p.a., è consentito ove si richieda l’accertamento
dell’eventuale sconfinamento del Consiglio dai limiti esterni della propria
giurisdizione, per il riscontro di vizi che riguardano l’essenza della funzione
giurisdizionale e non il modo del suo esercizio, restando, per converso,

entrata in vigore della stessa legge (4.08.09). Dovendo a tal fine prendersi a

sentenza del Consiglio di Stato abbia violato l’ambito della giurisdizione in
generale — ad esempio esercitando la giurisdizione nella sfera riservata al
legislatore o alla discrezionalità amministrativa, oppure, al contrario negando
la giurisdizione sull’erroneo presupposto che la domanda non possa formare
oggetto in modo assoluto di funzione giurisdizionale — ovvero nell’ipotesi in
cui abbia violato i cosiddetti limiti esterni della propria giurisdizione. Il
giudice amministrativo incorre in tale ultima violazione laddove si pronunci
su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione
speciale, oppure neghi la propria giurisdizione nell’erroneo convincimento
che essa appartenga ad altro giudice” (sentenza 23.07.15 n. 15476).
14. Quanto al confine oltre il quale non può spingersi il sindacato
delle Sezioni unite sull’esercizio della giurisdizione da parte del Consiglio di
Stato, è andata affermandosi una nozione di “limite esterno” collegato
all’evoluzione del concetto di giurisdizione, da intendere in senso dinamico,
nel senso dell’effettività della tutela giurisdizionale. Il diritto a tale tutela,
secondo tale visione, non è costituito dalla possibilità non solo di accedere in
senso formale alla giurisdizione mediante il diritto all’azione, ma anche dalla
possibilità di ottenere una concreta tutela giudiziale, esercitata secondo i
canoni del giusto processo.
In quest’ambito, d giudizio sulla giurisdizione rimesso alle Sezioni
unite non è più riconducibile ad una verifica di pura qualificazione della
situazione soggettiva dedotta, alla stregua del diritto oggettivo, né è rivolto al
semplice accertamento del potere di conoscere date controversie attribuito ai
diversi ordini di giudici di cui l’ordinamento è dotato, ma costituisce uno
strumento per affermare il diritto alla tutela giurisdizionale dei diritti e degli
interessi. Dunque, “è norma sulla giurisdizione non solo quella che individua
i presupposti dell’attribuzione del potere giurisdizionale, ma anche quella che
dà contenuto a quel potere stabilendo le forme di tutela attraverso le quali
esso si estrinseca” (S.u. 23.12.08 n. 30254).
A. tale principio le Sezioni unite hanno fatto ricorso in un caso in cui
il Consiglio di Stato aveva interpretato la norma di diritto interno in termini
contrastanti con il diritto dell’Unione europea, secondo quanto risultante da
6

escluso) ogni sindacato sui limiti interni della giurisdizione, cui attengono gli
erro rei iì imdicando o in procedendo (vedi, tra le altre, le sentenze 16.02.09 n. 3688
e 9.06.11 n. 12539). 11 rimedio in questione “è esperibile nell’ipotesi in cui la

una pronunzia della Corte di Giustizia successivamente intervenuta, ove si
riteneva la cassazione della sentenza impugnata “indispensabile per impedire
suoi effetti in contrasto con il diritto comunitario, … con grave nocumento
per l’ordinamento europeo e nazionale e con palese violazione del principio
secondo cui l’attività di tutti gli organi degli Stati membri deve conformarsi
alla non-nativa comunitaria”. Le Sezioni unite, in altri termini, ritenevano che
la Corte di cassazione, investita di un motivo di difetto di giurisdizione,
“applica, nel momento in cui decide, la regola che risulta dalla giurisprudenza
della Corte di giustizia e, se riscontra che la regola applicata dal Consiglio di
Stato è diversa, cassa la decisione impugnata” (v. S.u. 6.02.15 n. 2403).
La tutela giurisdizionale che gli odierni ricorrenti assumono negata
trova fondamento non nel diritto dell’Unione, ma nella Convenzione
europea dei diritti dell’uomo. La situazione giuridica creatasi, tuttavia, è
analoga, in quanto anche in questo caso il giudice dell’impugnazione si trova
nella condizione di evitare che il provvedimento giudiziario impugnato, una
volta divenuto definitivo esplichi i suoi effetti in maniera contrastante con
una norma sovranazionale cui lo Stato italiano è tenuto a dare applicazione.
Ad avviso del Collegio la situazione in questione rientra in uno di quei “casi
estremi” in cui il giudice adotta una decisione anomala o abnorme,
omettendo l’esercizio del potere giurisdizionale per errores in iudicando o in
procedendo che danno luogo al superamento del limite esterno (v. S.u. 4.02.14
n. 2403 e la giurisprudenza ivi citata).
La conclusione è che l’impugnazione, per come oggi proposta, è in
linea generale idonea a promuovere l’intervento rescindente delle Sezioni
unite, così rendendo rilevante la questione di costituzionalità di seguito
indicata.
15. Nell’ambito di un contenzioso analogo (ma non coincidente) a
quello ora in esame, la questione della conformità dell’art. 69, c. 7, all’art. 117
Cost. è stata già sottoposta a queste Sezioni unite, le quali con la sentenza
30.09.14 n. 20566 ne ritennero l’irrilevanza. L’incostituzionalità in quella
occasione era stata dedotta nell’ambito di un giudizio promosso dinanzi al
giudice del lavoro, di modo che fu giocoforza rilevare che, essendo la
richiesta di regolarizzazione previdenziale consequenziale a quella di
accertamento del rapporto di pubblico impiego di fatto, l’aver proposto la
-7-

… che il provvedimento giudiziario, una volta divenuto definitivo, esplichi i

domanda — relativa a rapporto di lavoro cessato prima del 30.06.98 — dinanzi
al giudice ordinario rendeva il difetto di giurisdizione sulla domanda

tutto diversi. L’odierna controversia è stata proposta, innanzitutto, dinanzi al
giudice amministrativo (giudice del rapporto, trattandosi di rapporto ante
30.06.98), di modo che le Sezioni unite, per poter pronunziare sull’odierna
impugnazione — che rende di attualità un aspetto della giurisdizione non
emerso nei corso dei due gradi di giudizio — ed essere in grado di affermare
se il Consiglio di Stato abbia fatto corretto governo della propria
giurisdizione, sono poste dinanzi alla questione della rispondenza di detto
art. 69, c. 7, al parametro costituzionale dell’art. 117, e. 1, della Costituzione.
Detto art. 69, infatti, costituisce la norma interna posta dal Consiglio di Stato
a sostegno dell’accertamento dell’avvenuta decadenza e del conseguente
diniego assoluto di giurisdizione. Pertanto, ogni considerazione circa la
correttezza di tale diniego è subordinata all’accertamento della legittimità
costituzionale della norma in questione, il che rende rilevante la questione di
costituzionalità sotto il primo aspetto dedotto, e cioè il contrasto con l’art.
117,c 1, Cost.
16. La questione, oltre che rilevante, è anche non manifestamente
in fondata.
17. L’art. 69, e. 7, del digs. 30.03.01 n. 165, ora sospettato di
incostituzionalità, prevede che “sono attribuite al giudice ordinario, in
funzione di giudice del lavoro, le controversie di cui all’articolo 63 del
presente decreto, relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di
lavoro successivo ai 30 giugno 1998. Le controversie relative a questioni
attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore a tale data restano
attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo solo qualora
siano state proposte, a pena di decadenza, entro il 15 settembre 2000”.
Quanto alle controversie inerenti questioni attinenti il periodo del
rapporto di lavoro antecedente al 30.06.98, sottoposte al giudice dopo il
15.09.00, come in altra parte rilevato, si creò un primo orientamento
giurisprudenziale favorevole a ricomprendere le controversie in questione
nella giurisdizione del giudice ordinario. Nel tempo è tuttavia prevalso un

-8-

previdenziale conseguente al difetto rilevabile per la domanda di
accertamento del rapporto.
Nel caso oggi in esame, invece, la questione si pone in termini del

valere il diritto dinanzi ad un giudice (v., tra le altre, S.u. 30.01.03 n. 1511 e
3.05.05 n. 9101, nonché Ad. pl. 21.02.07 n. 4).
Tale orientamento è stato ritenuto non in contrasto con la
Costituzione da numerose pronunzie della Corte costituzionale, la quale ha
ritenuto la norma conforme all’art. 3 in quanto “la disparità di trattamento
tra i dipendenti privati e quelli pubblici, soggetti — relativamente ai diritti
sorti anteriormente alla data del 30.06.98 — ad un termine di decadenza, è
ragionevolmente giustificata dall’esigenza di contenere gli effetti, temuti dal
legislatore come pregiudizievoli per il regolare svolgimento dell’attività
giurisdizionale, prodotti dal trasferimento della competenza giurisdizionale al
giudice ordinario e dal temporaneo mantenimento di tale competenza in
capo ai tribunali amministrativi, ed in quanto è ampia la discrezionalità del
legislatore nell’operare le scelte più opportune, purché non manifestamente
irragionevoli e arbitrarie, per disciplinare la successione di leggi processuali
nel tempo”. Parimenti, fu esclusa la violazione dell’art. 24 “dal momento
che, da un lato, non è certamente ingiustificata la previsione di un termine di
decadenza e, dall’altro lato, tale termine (di oltre ventisei mesi) non è
certamente tale da rendere oltremodo dolto.w la tutela giurisdizionale” (v. per
tutte Corte cost., ord. 7.10.05 n. 382).
18. Questa impostazione si pone in contrasto C011 il principio
desumibile dall’art. 6 della Convenzione, secondo l’interpretazione datane
dalla Corte di Strasburgo con le sentenze Motiola e Slaibano, che la legge
italiana, nel fissare la decadenza prevista dal richiamato art. 69, c. 7, pone un
ostacolo procedurale che costituisce una sostanziale negazione del diritto
invocato ed esclude un giusto equilibrio tra gli interessi pubblici e privati in
gioco.
Essendo il contrasto tra norma nazionale e norma convenzionale
insuperabile in sede interpretativa, in ragione della ormai consolidata
interpretazione sopra riferita, è legittimo porsi il dubbio che la norma
dell’art. 69, c. 7. del d.lgs. 30.03.01 n. 165 si ponga in contrasto con l’art. 117,
e. 1, della Costituzione, nella parte in cui prevede che la potestà legislativa sia
esercitata dallo Stato nel rispetto degli obblighi internazionali, quale l’obbligo

-9-

diverso orientamento tanto della Corte di cassazione che del Consiglio di
Stato, che ricollega alla scadenza del termine la radicale impossibilità di far

assunto con l’adesione alla Convenzione EDU, ratificata e posta in
esecuzione con la 1. 4.08.55 n. 848.
Di fronte a tale dubbio il giudice — e con lui le Sezioni unite — è
tenuto a risolvere il contrasto sollevando apposita questione di legittimità
della disposizione di legge, in ragione del noto principio più volte affermato
dalla Corte costituzionale, secondo cui le norme della Convenzione, così
come interpretate dalla Corte di Strasburgo, assumono rilevanza
nell’ordinamento interno quali norme interposte, assumendo esse
un’efficacia intermedia tra legge e Costituzione, idonea a dare corpo agli
“obblighi internazionali” costituenti parametro normativo cui l’art. 117, c. 1,
ricollega l’obbligo di conformazione (valga per tutte il riferimento alle più
volte citate sentenze mi. 348 e 349 dcl 2007).
19. Sotto questo punto di vista è, pertanto, non manifestamente
infondata la questione di costituzionalità dell’art. 69, c. 7, del d.lgs. 30.03.01
n. 165 in relazione all’art. 117, c. 1, della Costituzione, nella parte in cui
prevede che le controversie relative a questioni attinenti al periodo del
rapporto di lavoro anteriore al 30.06.98 restano attribuite alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo solo qualora siano state proposte, a pena
di decadenza, entro il 15 settembre 2000.
20. F,’, invece, manifestamente infondata la seconda questione di
costituzionalità sollevata dagli odierni ricorrenti concernente l’esistenza di un
contrasto tra la norma di detto art. 69, c. 7, e l’art. 38 della Costituzione, in
quanto la comminata decadenza impedirebbe al lavoratore, al di fuori di ogni
principio di ragionevolezza, la fruizione della tutela previdenziale.
Il parametro costituzionale di cui si assume la violazione è, con tutta
evidenza, la disposizione dell’art. 38, c. 2, secondo cui “i lavoratori hanno
diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di
vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione
involontaria”. La giurisprudenza della Corte costituzionale in più occasioni
ha rilevato che tale norma attiene all’adeguamento dei mezzi di carattere
previdenziale alle esigenze di vita dell’interessato, piuttosto che alle modalità
necessarie a conseguirle. In particolare “non’é in contraddizione con il
carattere di imprescrittibilità della pensione il fatto che vicende volte a
determinare i presupposti di consistenza quantitativa si svolgano entro limiti
temporali, come pure il principio, secondo cui ogni diritto, anche

costituzionalmente garantito, put) essere dalla legge regolato e sottoposto a
limitazioni, mentre il termine di decadenza per conseguire il trattamento di
quiescenza è frutto di una scelta discrezionale del legislatore, coerente con il
sistema previdenziale e giustificabile se non altro per ragioni di certezza della
situazione finanziaria dell’Ente erogatore” (v. per tutte Corte cost. 10.05.05
n. 192).
Non proponendo gli interessati argomenti tali da porre in discussione
d principio appena enunziato, la questione in oggetto deve essere dichiarata
manifestamente infondata.
21. In conclusione, il Collegio ritiene non manifestamente infondata
solamente la questione di costituzionalità dell’art. 69, c. 7, del d.lgs. 30.0101
n. 165, in relazione all’art. 117, c. 1, Cost. nei termini sopra indicati.
Per questi motivi
La Corte di cassazione, pronunziando a Sezioni unite, visti l’art. 134
della Costituzione, l’art. 1 della legge costituzionale 9.02.48 n. 1 e l’art. 23
della legge 11.03.53 n. 87:
– dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
costituzionalità dell’art. 69, c. 7, del cl.lgs. 30.03.01 n. 165 in relazione all’art.
117, c. 1, della Costituzione, nella parte in cui prevede che le controversie
relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore al
30.06.98 restano attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo solo qualora siano state proposte, a pena di decadenza, entro
il 15 settembre 2000;
– dichiara manifestamente infondata la questione di costituzionalità di
detto art. 69, c. 7, per violazione dell’art. 38, c. 2, della Costituzione;
– dispone la sospensione del presente giudizio e ordina la trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale;
ordina che a cura della Cancelleria la presente ordinanza sia ‘te
notificata alle parti in causted al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia
jsa.-r—g.n
comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della
Repubblica;
– riserva al definitivo ogni altra decisione.
Così deciso in Roma il 17 novembre 2015
Il Presi4ente

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA