Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6890 del 11/03/2021

Cassazione civile sez. II, 11/03/2021, (ud. 11/11/2020, dep. 11/03/2021), n.6890

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20016-2016 proposto da:

A.G., A.L., A.P., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA GIOVANNI PAISIELLO 29, presso lo STUDIO

LEGALE MONACO SORGE, rappresentati e difesi dall’avvocato ANNALISA

GIANNETTI, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

AM.DE.MA.GI., AM.DE.MA.EM.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE CORTINA D’AMPEZZO 269,

presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO DE SANTIS, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato SIGISMONDO MEYER VON

SCHAUENSEE, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1110/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 19/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/11/2020 dal Consigliere Dott. SERGIO GORJAN;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO LUCIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ANNALISA GIANNETTI, difensore dei ricorrenti, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

uditi gli Avvocati FRANCESCO DE SANTIS e SIGISMONDO MEYER VON

SCHAUENSEE, difensori dei resistenti, che hanno insistito per il

rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

G. ed Am.De.Ma.Em., in proprio e quali eredi del padre A. secondo marito di V.T., impugnavano, avanti la Corte d’Appello di Roma, il lodo che aveva definito controversia insorta tra loro e P., L. e A.G., figli nati dal primo matrimonio della V., con relazione alla validità dell’atto contrattuale sottoscritto il 19.10.1999 tra Am.De.Ma.Al. ed i germani A. a definizione della vendita della quota ereditaria, spettante al marito-vedovo, in relazione all’asse relitto morendo dalla rispettiva moglie e madre.

Tra il D.M., ancora in vita ma sottoposto a tutela, ed i germani A. era insorta controversia circa l’inclusione nell’asse ereditario, considerato dalle parti nell’accordo del 1999, consacrato ed in atto notarile e nella scrittura privata coeva, anche di quote sociali che solo apparentemente – alla morte della madre – erano intestate agli A., ma erano in effettiva titolarità della de cuius – come da apposite controscritture a firma dei germani A. ritrovate solo nel 2004 -.

La questione veniva sottoposta agli arbitri, posto che la scrittura privata del 1999 portante transazione tra gli eredi a definizione della questione successoria, portava anche clausola compromissoria.

La prima questione sollevata dagli eredi di Am.De.Ma.Al., i germani E. e Am.De.Ma.Gi., avanti gli arbitri s’incentrava proprio sull’esistenza di atto sottoscritto da questi portante la clausola compromissoria che radicasse la competenza degli arbitri, i quali respinsero l’eccezione e confermarono la validità della clausola.

Quindi erano dibattute questioni afferenti la volontà espressa dalle parti nell’atto transattivo oggetto di lite, che gli arbitri interpretarono siccome diretta a regolare la questione successoria inerente all’asse, comprensivo anche delle quote sociali solo fittiziamente intestate ai figli della V..

La Corte capitolina attinta con l’impugnazione ebbe ad annullare il lodo arbitrale, rilevando il difetto di loro competenza poichè non esistente valida clausola compromissoria.

Difatti il Collegio romano osservava come, erroneamente, gli arbitri ebbero a ritenere tardivo il disconoscimento della sottoscrizione di Am.De.Ma.Al. presente sull’atto di transazione del 19.10.1999 e come, a fronte di detto disconoscimento, gli A. non ebbero a proporre la necessaria istanza di verificazione della scrittura privata, nemmeno implicitamente mai avendo versato in atti l’originale della scrittura ed all’uopo risultando inidonea la prova orale proposta poichè tesa ad illustrare la volontà pattizia effettivamente espressa nel contratto dalle parti stipulanti.

Avverso detta sentenza i germani A. hanno interposto ricorso per cassazione articolato su quattro motivi, illustrato anche con nota difensiva.

I germani Am.De.Ma. hanno resistito con controricorso.

All’odierna udienza pubblica, sentite le conclusioni del P.G. – rigetto del ricorso – e le conclusioni dei difensori delle parti, questo Collegio adottava soluzione siccome illustrato nella presente sentenza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso proposto dai consorti A. s’appalesa privo di fondamento e va rigettato.

Con il primo articolato mezzo di impugnazione i ricorrenti deducono violazione del disposto ex art. 274 c.p.c. ovvero, in subordine, violazione dell’art. 215 c.p.c., n. 2 in tema di tempestività del riconoscimento della scrittura privata portante la clausola compromissoria.

Osservano i germani A. come la medesima questione, dibattuta avanti gli arbitri – e risolta con il lodo impugnato – ossia la portata transattiva generale di ogni questione afferente l’asse relitto morendo da V.T., comprese le quote sociali fittiziamente intestate ai figli, era stata radicata anteriormente avanti il Tribunale ordinario di Roma, siccome pacifico in causa tra le parti e riconosciuto dallo stesso Collegio romano.

Tuttavia la Corte territoriale non ebbe a sospendere il giudizio ex art. 274 c.p.c. pur avendone rilevato i presupposti di necessità per evitare contraddittorietà dei giudicati.

Comunque – in via subordinata a questo primo rilievo – i germani A. rilevano come, erroneamente, il Collegio romano ebbe a ritenere tempestivo il disconoscimento della scrittura privata portante la clausola compromissoria, posto che pacificamente il disconoscimento non intervenne nella prima risposta successiva – seconda memoria ex art. 183 c.p.c. – al deposito della scrittura privata da parte loro, bensì solo successivamente.

In particolare, secondo i ricorrenti, la Corte distrettuale aveva errato nel ritenere validamente effettuato il disconoscimento con atto del procedimento arbitrale precedente al deposito del documento, poichè espressamente la norma ex art. 215 c.p.c., comma 2 fissa la decorrenza del termine per valido disconoscimento solo successivamente al deposito del documento da disconoscere e non anche in momento anteriore.

Il primo profilo proposto con l’articolato motivo – problematica afferente la sospensione ex art. 274 c.p.c. – oltre a proporre questione non sindacabile in sede di legittimità – Cass. sez. 2 n. 9638/99 -, appare fattualmente superata posto che ambedue le sentenze assunte dalla Corte capitolina ad esito dei due giudizi fondati sulla medesima questione – quello arbitrale e quello ordinario – sono state trattate contemporaneamente all’odierna udienza pubblica e quindi decise da questa Suprema Corte in unico contesto.

Con il secondo profilo del medesimo mezzo d’impugnazione – proposto nell’ipotesi di rigetto dell’istanza fondata sulla sospensione – i consorti A. attingono la statuizione del Collegio romano afferente la ritenuta tempestività della dichiarazione – effettuata dagli eredi dell’asserito firmatario – di non conoscere la sottoscrizione del padre presente in calce alla transazione del 1999.

I ricorrenti osservano come, erroneamente poichè in contrasto con le specifiche disposizioni ex art. 215 c.p.c., comma 2 – disconoscimento possibile solo dopo l’avvenuta produzione in giudizio della scrittura oggetto del riconoscimento -, la Corte territoriale ha ritenuto rituale il disconoscimento effettuato prima del deposito del documento, che venne ripetuto solamente in momento successivo alla scadenza del termine fissato dalla legge processuale per evitare l’effetto del riconoscimento tacito, e ciò contrariamente all’insegnamento di questa Corte Suprema – Cass. sez. 2 n. 3431/98 -.

Reputa, invece, questo Collegio condivisibile l’argomentazione logico-giuridica esposta dalla Corte capitolina sul punto, anche in relazione alla peculiarità della fattispecie, dando così continuità all’insegnamento più recente in materia formulato da questa Suprema Corte – Cass. sez. 5 n. 16232/04 -.

Difatti, nella specie, la scrittura privata, la cui sottoscrizione è oggetto di disconoscimento, è il contratto di transazione stipulato tra Am.De.Ma.Al. ed i germani A. il 19.10.1999, portante la clausola compromissoria posta alla base dell’atto d’avvio del giudizio arbitrale proprio dai consorti A..

Inoltre, come dato atto nella stessa sentenza impugnata, la procedura arbitrale fu avviata dai consorti A. dopo che Am.De.Ma.Al. ebbe – a mezzo del figlio tutore – ad adire il Tribunale di Roma per ottenere l’accertamento dell’effettivo ammontare dell’asse relitto morendo da V.T. ed ottenere il conguaglio afferente alla sua quota.

In tale contenzioso i consorti A. ebbero ad opporre a detta pretesa proprio il contratto di transazione datato 19.10.1999 e successivamente alla dichiarazione del tutore di non conoscere la sottoscrizione del padre formulata in quel procedimento, i germani A. avviarono il procedimento arbitrale – così in controricorso.

La censura portata con il secondo profilo del primo motivo d’impugnazione si fonda, quindi, sull’interpretazione del disposto ex artt. 214 e 215 c.p.c. nel senso che la legge processuale pone una precisa e non derogabile scansione temporale per la formulazione di valido disconoscimento.

Dapprima deve essere depositata in causa la scrittura e solo dopo può operarsi validamente il disconoscimento – così l’insegnamento di questa Corte del 1998 -. Questo Collegio non concorda con detta interpretazione poichè non coglie la finalità perseguita dal Legislatore con l’istituto processuale oggetto di esame, il quale risulta strutturalmente – Cass. sez. 3 n 1272/73 – aver natura strumentale ed istruttoria poichè diretta ad accertare – o limitatamente allo specifico procedimento o con valenza di giudicato – la veridicità della sottoscrizione apposta da una delle parti sulla scrittura privata e di conseguenza la valenza probatoria in causa della stessa.

Ciò che assume dirimente rilievo, dunque, non già appare essere il rispetto di una mera scansione temporale nel formulare il disconoscimento, bensì la sua attitudine a delimitare in modo specifico e determinato il thema decidendum e probandum in ordine alla scrittura privata rilevante a supporto della domanda od eccezione.

Peraltro l’insegnamento enfatizzato dalla parte ricorrente non trova un sostegno letterale nella norma ex art. 215 c.p.c. che invece lumeggia una sequela logica fondata sulla necessità di conoscere l’elemento documentale probatorio addotto dalla controparte prima di effettuare il disconoscimento, ma non vieta ex se d’effettuare il disconoscimento anticipatamente quando già a conoscenza del dato probatorio documentale che controparte utilizzerà in causa.

Proprio la rigorosa disciplina in punto tempistica ex art. 215 c.p.c. per impedire il formarsi della presumptio iuris del riconoscimento tacito lumeggia icasticamente l’esigenza di celerità, nel delimitare l’ambito probatorio della causa, perseguito dal Legislatore, che appunto importa la validità processuale anche di un disconoscimento anticipato, concorrendo specifiche condizioni.

Pertanto – e sul punto questo Collegio vuol dar continuità all’insegnamento reso da questo Corte con l’arresto del 2004 sopra citato – una volta che, con certezza, concorrono i requisiti della specificità e determinatezza in ordine alla scrittura privata oggetto del disconoscimento poichè elemento probatorio rilevante in causa, non assume rilievo ai fini della valida formulazione che la parte lo abbia formulato prima che contro parte abbia versato in atti lo scritto. Nella specie poi – come già ricordato dianzi – la scrittura da disconoscere era stata posta alla base dell’atto d’avvio del giudizio arbitrale poichè portante la clausola compromissoria azionata ed anche era già stata utilizzata nel giudizio, avanti il Giudice ordinario antecedentemente avviato, sicchè tra le parti non sussisteva dubbio alcuno e sulla specifica individuazione della scrittura, oggetto di disconoscimento, e sulla sua decisiva rilevanza in causa.

Non assume rilievo nella specie l’insegnamento desumibile ex Cass. sez. 2 n 5189/02 – poi seguito da Cass. n 24022/04 e Cass. sez. 1 n 16551/15 -, afferente la necessità di rinnovare il disconoscimento al deposito della scrittura privata in originale.

Ciò in primo luogo perchè l’insegnamento dato dai citati arresti presuppone che oltre al disconoscimento della firma sulla scrittura in fotocopia sia contemporaneamente stata contestata la conformità di questa all’originale, sicchè il disconoscimento della sottoscrizione deve essere ripetuto al deposito dell’originale ai fini della sua validità processuale, ed in secondo luogo perchè, nel presente procedimento – come infra sarà esaminato – l’originale della scrittura contestata mai risulta depositato.

Quindi può esser formulato il seguente principio di diritto ” il disconoscimento preventivo della firma apposta su scrittura privata, non ancora depositata in giudizio, è valido ai fini ex art. 214 e 215 c.p.c. allorquando v’è certezza del riferimento a scrittura determinata e conosciuta dalle parti e la stessa rappresenta un elemento probatorio rilevante nell’economia della controversia “. Con la seconda doglianza i consorti A. rilevano violazione del disposto ex art. 829 c.p.c., comma 2 in relazione all’art. 214 c.p.c. poichè il Collegio romano ebbe a ritenere erronea la decisione degli arbitri in punto inidoneità del disconoscimento rispetto al termine perentorio di sua proposizione sulla scorta di inammissibile sindacato dell’apprezzamento di merito operato sul punto dagli arbitri.

In realtà l’argomento critico sviluppato si fonda non tanto sull’apprezzamento delle espressioni utilizzate al fine di valutare la loro idoneità ad individuare l’intervenuto disconoscimento – invero estremamente puntuali siccome è dato rilevare dal passo ritrascritto nello stesso ricorso -, bensì sul ragionamento fattuale e giuridico esposto dagli arbitri per ritenere non tempestivamente formulato detto disconoscimento.

Ma nella specie il Collegio romano ha esaminato la questione afferente la tempestività o non dell’intervenuto disconoscimento, non già, se la formula utilizzata era perspicua al fine, posto che un tanto non ha formato oggetto di controversia tra le parti ed esame da parte della Corte territoriale.

Ed al riguardo, posto che venne denunziato error in procedendo – Cass. SU n 23463/16 -, la Corte d’Appello era Giudice del merito circa la questione validità o non dell’intervenuta dichiarazione di non conoscenza della sottoscrizione attribuita all’attore da parte del figlio tutore di Am.De.Ma.Al..

Con la terza ragione di impugnazione i germani A. hanno dedotto violazione delle norme portate nell’art. 2719 c.c. ed art. 215 c.p.c., comma 2 e art. 216 c.p.c. in quanto la Corte capitolina, pur avendo ritenuto che essi ebbero a proporre implicitamente istanza di verificazione nel corso del procedimento avanti gli arbitri, tuttavia ha reputato la stessa proposta irritualmente poichè mai versato in atti l’originale della scrittura privata da sottoporre alla verifica.

Osservano i consorti A. come è insegnamento costante del Supremo Collegio che la fotocopia, non tempestivamente disconosciuta siccome conforme all’originale, tenga luogo dello stesso a tutti gli effetti – Cass. sez. L n. 3314/99, Cass. sez. 1 n. 10912/03 – e nel presente procedimento mai i consorti Am.De.Ma. ebbero a formulare disconoscimento della conformità all’originale della fotocopia depositata in casa.

La critica sviluppata nel dianzi menzionato mezzo d’impugnazione non coglie l’effettivo contenuto dell’argomentazione sviluppata dalla Corte capitolina sul punto.

Difatti il Collegio romano ha esaminato la questione se la condotta processuale tenuta dai germani A. configurava la proposizione implicita dell’istanza di verificazione della scrittura privata, ritenuta validamente disconosciuta, ex art. 216 c.p.c., e, non già, quale valenza probatoria assumeva la copia fotostatica – questione oramai superata dal disconoscimento -.

Ed al riguardo la Corte territoriale ha messo in evidenza come la proposizione, ancorchè implicita, dell’istanza di verificazione necessitava comunque del deposito in originale della scrittura privata disconosciuta – incombente mai osservato dai ricorrenti – ovvero almeno la dichiarazione di incolpevole perdita del documento.

Ciò anche perchè, nello specifico procedimento, la prova dell’esistenza della clausola compromissoria, che radicava la competenza degli arbitri, deve necessariamente esser data per iscritto ex artt. 807 e 808 c.p.c., sicchè al riguardo non poteva soccorrere la pur dedotta prova testimoniale.

Questa puntuale argomentazione – non specificatamente attinta con censura nel ricorso per cassazione – risulta conforme alla disciplina processuale dell’istituto e in forza di un dato testuale e della struttura sistematica della questione.

La disposizione ex art. 216 c.p.c. bensì rimette alla parte l’indicazione delle prove a sostegno della verificazione, ma richiede anche il deposito delle scritture di comparazione, posto che i risultati della consulenza grafologica o dell’esame diretto del testo scritto risultano affidabili solamente se esaminato l’originale e non anche la mera fotocopia, per quanto certamente conforme all’originale.

Inoltre la disposizione ex art. 217 c.p.c. detta le cautele da disporre in caso di proposizione della verificazione per garantire l’originale della scrittura da esaminare.

Quindi se è ben vero che la parte proponente la verificazione non è esentata dal relativo onere probatorio e che non necessariamente deve procedersi all’espletamento di una consulenza, tuttavia comunque non può esser impedito al Giudice d’avvalersi, secondo suo prudente apprezzamento, anche di tale strumento istruttorio attivabile ex officio ovvero di poter esaminare direttamente l’originale con le scritture di comparazione – Cass. sez. 2 n. 887/18 -.

E’ ben vero che la proposizione in forma implicita dell’istanza si configura – come insegna costantemente questo Supremo Collegio – nel mantenere ferma la richiesta di accoglimento della domanda, la cui fondatezza riposa essenzialmente sul documento contestato, tuttavia ciò non esenta la parte dal fornire l’indispensabile prova al riguardo ossia l’originale della scrittura, specie in tema di clausola compromissoria necessariamente da provare per iscritto – Cass. sez. 2 n. 7267/14 -.

Pertanto deve concludersi che la proposizione dell’istanza, anche implicita, di verificazione della scrittura privata disconosciuta prodotta in copia fotostatica onera la parte proponente al deposito in causa dell’originale dello scritto da verificare – ovvero provare la perdita senza sua colpa -, sicchè in difetto di tale adempimento non risulta validamente proposta l’istanza ex art. 216 c.p.c.

Con il quarto mezzo d’impugnazione i ricorrenti rilevano omesso esame di fatto decisivo, ossia l’implicita istanza di verificazione della scrittura privata disconosciuta ovvero in subordine la violazione delle norme portate negli artt. 829 c.p.c., comma 2, artt. 115 e 116 c.p.c. poichè i Giudici romani non ebbero ad esaminare l’istanza di verificazione implicitamente proposta, in quanto ritennero superata la questione per il difetto del deposito dell’originale, come asserito nel motivo d’impugnazione, non necessario.

Quindi i ricorrenti rilevano l’erronea valutazione dell’efficacia probatoria ai fini del procedimento di verificazione della prova orale proposta niente affatto esclusivamente tesa a provare la volontà contrattuale, effettivamente sottesa al contratto transattivo di causa, poichè invece chiaramente anche utile allo scopo. All’evidenza l’argomentazione critica proposta nel su ricordato mezzo d’impugnazione rimane superata dalla decisione assunta in relazione alla terza doglianza, ma comunque appare priva di pregio.

Difatti all’evidenza il fatto denunziato siccome non valutato risulta invece puntualmente esaminato dal Collegio romano tanto da formare oggetto del terzo motivo di doglianza afferente le ragioni, in forza delle quali la Corte territoriale ha ritenuto non validamente proposta l’istanza di verificazione implicita.

Mentre non concorre la violazione delle norme evocate nel motivo di censura poichè la prova orale inutile a fronte della decisione circa la non intervenuta proposizione dell’istanza di verificazione.

Al rigetto del ricorso segue la condanna solidale dei germani A. alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità in favore dei germani Am.De.Ma., tassate in Euro 8.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, accessori di legge e rimborso forfetario ex tariffa forense, siccome indicato in dispositivo.

Concorrono in capo ai ricorrenti le condizioni per il pagamento dell’ulteriore contributo unificato.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna, in solido fra loro, i consorti A. a rifondere ai consorti Am.De.Ma., in solido fra loro, le spese di questo giudizio di legittimità, liquidate in Euro 8.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, accessori di legge e rimborso forfetario nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, ad esito della pubblica udienza, il 11 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2021

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