Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 689 del 13/01/2011

Cassazione civile sez. trib., 13/01/2011, (ud. 23/09/2010, dep. 13/01/2011), n.689

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – rel. Consigliere –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

l’AGENZIA delle ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12

presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

la s.p.a. Cave San Bartolo, con sede in

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante, elettivamente

domiciliata

in Roma al Viale Paridi n. 43 presso lo studio dell’avv. Francesco

D’AYALA VALVA che la rappresenta e difende, insieme con l’avv.

Antonio CICOGNANI, in forza della procura speciale rilasciata a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 85/14/07 depositata il 5 febbraio 2008 dalla

Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna (notificata il

31 marzo 2008).

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 23 settembre

2010 dal Cons. dr. Michele D’ALONZO;

sentite le difese delle parti, perorate dall’avv. Maria Letizia GUIDA

(dell’Avvocatura Generale dello Stato), per le amministrazioni

ricorrenti, e dall’avv. Francesco D’AYALA VALVA, per la

controricorrente;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dr. ZENO

Immacolata, la quale ha concluso per la declaratoria di

inammissibilità e, in subordine, per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso notificato alla s.p.a. Cave San Bartolo, l’AGENZIA delle ENTRATE – premesso che “con avviso di accertamento … relativo all’anno d’imposta 1999” l’Ufficio, sulla scorta del “processo verbale di constatazione redatto in data 31 luglio 2000 dalla Guardia di Finanza” (dal quale era “emerso che” detta società, “esercente l’attività di estrazione dal sottosuolo di materiali inerti”, “si era resa responsabile …, per … le imposte dirette, della mancata contabilizzazione e dichiarazione di ricavi e, per … l’IVA, della mancata emissione di fatture relative ad operazioni imponibili, dell’omessa autofatturazione da parte del cessionario relativa ad operazioni imponibili, della presentazione della dichiarazione annuale con dati inesatti”) aveva “recuperato a tassazione … ricavi non contabilizzati e non dichiarati ai fini IRPEG ed IRAP e …

omessa fatturazione e registrazione di operazioni imponibili ai fini IVA” (“irrogando le conseguenti sanzioni”) ritenendo “del tutto implausibile”, all’esito dell’esame dei “rapporti commerciali intercorsi tra la signora M. e la “Cave san Bartolo” per gli anni di imposta dal 1995 al 2000-” (avendo appurato che la ” M. era proprietaria di un fondo … di ottanta ettari; che la società “Cave San Bartolo” … aveva per oggetto sociale l’attività di produzione, commercio all’ingrosso ed al minuto di materiali per l’edilizia; che la … M. era legale rappresentate della Case San Bartolo, della quale erano soci il marito ed i figli (in totale … il 90% del capitale); che dal suddetto terreno la “Cave San Bartolo” estraeva materiale lapideo in forza delle disposizioni contenute nella scrittura privata dell’otto luglio 1995, con cui la … M. ha concluso, con la società, le trattative di un contratto definito di vendita di genere ex art. 1378 c.c.; che in forza di tale contratto la M. andava considerata imprenditrice commerciale”), che “la cave San Bartolo sostenesse i costi per l’estrazione dio materiale lapideo senza conseguire alcun profitto” (per cui “il contratto intercorso tra le parti e qualificato … come vendita di cose generiche andava …

qualificato come negozio misto di permuta e di appalto”) – chiedeva di cassare la sentenza n. 85/14/07 della Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna (depositata il 5 febbraio 2008 e notificata il 31 marzo 2008) che aveva respinto l’appello dell’Ufficio avverso la decisione (84/01/06) della Commissione Tributaria Provinciale di Ravenna la quale aveva accolto il ricorso della contribuente.

Nel proprio controricorso, la società intimata instava per il rigetto dell’impugnazione dell’Agenzia.

Entrambe le parti, di poi, depositavano memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Nella sentenza gravata la Commissione Tributaria Regionale espone:

– “l’Agenzia .., a seguito di pvc della GdF, ha recuperato le imposte l’IRPEG-IRAP IVA … ritenute dovute dalla società … per aver questa omesso di fatturare la prestazione di servizio resa alla …

M.”; – “la pretesa fiscale trae origine dal fatto che la …

M., … con contratto concluso per corrispondenza il 30 giugno-8 luglio 1995, ha venduto tutto il materiale estraibile lapideo e non lapideo da scavare franco giacimento da un terreno di ottanta ettari di sua proprietà alla soc. CAVE SAN BARTOLO s.p.a.

con autorizzazione richiesta e rilasciata alla società acquirente, con obbligo di escavazione, selezione e lavaggio con macchinar della stessa acquirente, con personale dipendente dell’acquirente e con caricamento su autocarri di proprietà dell’acquirente”; la ” M. ha posto in contratto riserva di poter effettuare controlli periodici del materiale estraibile sulla qualità e quantità a sua discrezione senza preavviso”; “il corrispettivo è stato fissato a prezzi unitari per quintale di ciascun tipo di materiale scavato, come in uso per questa tipologia di contratto, risultante al momento della pesa automatica per la consegna ai clienti della soc. CAVE SAN BARTOLO s.p.a. che ha provveduto a sfruttare la cava in via esclusiva”;

– “la GdF, … interpretando le clausole contrattuali in modo diverso dalla interpretazione data dalle parti, ha qualificato la M. imprenditrice commerciale individuale, proprietaria del materiale estratto dalla cava, per essere la stessa … legale rappresentante della soc. Cave San Bartolo spa ed essere anche titolare di una ditta individuale esercente attività agricola di coltivazioni miste di cereali e altri seminativi”: “per queste presunzioni, la …

M. ha ceduto il materiale estratto con costi di estrazione a suo carico, avendo di fatto stipulato un contratto di appalto e non di vendita con la società CAVE SAN BARTOLO, collegato a un contratto di permuta al fine di compensare i costi di estrazione, con contratto di vendita simulato”;

– “contro l’accertamento ha prodotto ricorso la società …

eccependo, che la … M., quale proprietaria di un terreno destinato a cava, non ha simulato con il contratto stipulato alcun contratto di appalto e di permuta ed eccepisce che il presupposto per il recupero … manca della prova legale per qualificare simulato il contratto di vendita” essendo “contratti di vendita di beni mobili …, per giurisprudenza consolidata, quei contratti che hanno per oggetto la cessione dei prodotti di cava da estrarre determinati in peso e misura con previsione di un corrispettivo unitario per ogni tipo di materiale estratto”;

– “la Commissione Tributaria Provinciale … ha accolto il ricorso con la motivazione”: “il contratto stipulato … è da classificare, per giurisprudenza consolidata, in contratto di vendita di prodotto estraendo quale vendita di genere con oggetto da individuare dopo la sua estrazione”; la ” M. con il contratto di vendita non ha svolto attività impresa” ma “ha agito come proprietaria di un terreno per aver ceduto con un unico atto di vendita, tutto il materiale, estraibile dell’intero giacimento senza svolgere quella continua e professionale attività di commercio ex art. 2082 necessaria per rivestire la qualifica di imprenditore commerciale”;

“per tutte le clausole del contratto e per le prove prodotte nel processo (bilanci, verbali, relazioni dei sindaci) non è possibile dare una diversa qualificazione al contratto rispetto a quello voluto che non consente di qualificare attività d’impresa la vendita mobiliare di prodotti da estrarre”; “l’Agenzia … non ha prodotto prove legali per far qualificare il contratto di vendita simulato con un contratto d’appalto collegato ad un contratto di permuta” (“non avendo considerato anche il fatto che l’autorizzazione all’escavazione è stata rilasciata dal Comune … alla soc. Cave San Bartolo s.p.a. e non alla … M.”); “se è pur vero che la … M. ha interessi nella soc. Cave San Bartolo s.p.a. e che è titolare di ditta individuale che esercita attività agricola di coltivazioni miste di cereali e altri seminativi, su altro terreno di proprietà, tuttavia non vi è norma che vieti ad un soggetto privato, possessore di un terreno di ottanta ettari destinato a cava, di vendere alla società di capitali della quale è legale rappresentante la estrazione del materiale lapideo e senza rivestire la qualifica di imprenditrice commerciale”.

Tanto premesso il giudice di appello ha respinto il gravame dell’Ufficio osservando:

– “la diversa lettura del contratto di vendita, fatta dall’appellante trae origine dal fatto che la GdF nel pvc ha ritenuto il contratto stipulato simulato, per aver di fatto le parti stipulato un contratto di servizio costituito da un contratto di appalto collegato ad un contratto di permuta, per la presunzione che la … M. abbia rivestito nelle vendita dei prodotti estratti dalla cava la qualifica di imprenditrice commerciale, per quanto già esposto”: “la GdF”, però, “senza prova, ha ritenuto la … M. la vera proprietaria del materiale già estratto e non di quello estraibile”;

– “le eccezioni mosse in appello, per censurare la motivazione della sentenza di primo grado, non sono veri motivi di appello, sono solo intuizioni o sensazioni non provate che non invalidano il contratto perfezionato dalle parti per corrispondenza, avente per oggetto la vendita dei prodotti da estrarre e che non si possono confondere con materiali estratti in nome e per conto del proprietario di terreno e poi da questa ceduti alla società acquirente, autorizzata all’estrazione”;

– “queste sensazioni/intuizioni da sole non possono assumere valore di prova, le intuizioni non sono confortate da indizi o presunzioni legali che possano far ritenere il contratto di vendita simulato”.

La Commissione Tributaria Regionale aggiunge:

– “l’Agenzia delle Entrate per far valere come attività d’impresa quella occasionalmente svolta dalla … M. per gli effetti del contratto in esame, ricorre ad altra presunzione con il ritenere che la … M., abbia organizzato un sistema di controllo del materiale estratto senza provare prima come questa attività sia stata materialmente organizzata”: “le affermazioni riportate”, però, prosegue il giudice a quo, “non provano che la venditrice abbia messo in atto la conduzione di una attività organizzata e abbia tenuto comportamenti continuativi non occasionali nel tempo nella cessione dei prodotti da estrarre”;

– “nell’accertamento è stata ritenuta attivata organizzativa quella di rilascio della ricevuta di riscossione del corrispettivo unitario del materiale estratto determinato in peso e misura come contrattualmente pattuito”;

– “la … M. con la soc. Cave San Bartolo ha stipulato un contratto di vendita mobiliare – così come viene qualificato dalla giurisprudenza consolidata – per aver posto quale oggetto della prestazione la vendita dei prodotti da estrarre determinati in peso e misura per il corrispettivo unitario per ogni tipo di materiale estratto” e “per questo motivo … ha rilasciato quietanza della somma periodicamente percepita, come normalmente fa un proprietario di immobili che riscuote il corrispettivo della locazione”;

– “tale operazione di riscossione non può far presumere una attività di impresa trattandosi invece di una semplice elementare attività di godimento senza assunzione di costi per realizzare ricavi” in quanto “per qualificare una attività come d’impresa non si può fare ricorso a semplici intuizioni o sensazioni che non hanno valore di prova, non è possibile confondere l’attività di godimento di un bene immobile posseduto da un persona fisica con l’attività svolta per la società di capitali titolare dell’autorizzazione comunale all’estrazione, nè si può confondere il diritto di godimento con l’attività agricola di coltivazioni miste di cereali e altri seminativi esercitata dalla venditrice su altri terree posseduti”: “sono fatti giuridici diversi tra di loro”;

“tutta la documentazione prodotta non è stata contestata nel processo verbale e nell’accertamento: bilanci, verbali, relazione degli organi societari, autorizzazione per l’utilizzo della cava della soc. Cave San Bartolo, sono prove che escludono la presunzione di stipula di un contratto simulato a meno che non si voglia, per sola intuizione, ritenere che tra tutti gli organi societari, con la collaborazione del socio di minoranza che possedeva il 10% della quota della società e che, ha sempre anche svolto funzione di segretario nella stesura dei verbali di assemblea, vi sia stato un patto scellerato finalizzato all’evasione fiscale al solo fine di procurare vantaggi fiscali alla sola … M., contro gli interessi dello stesso socio di minoranza della stessa società”.

2. Con il suo ricorso l’Agenzia – riprodotti (1) la motivazione della “ripresa a tassazione relativa ai ricavi omessi e non contabilizzati”, (2) le ragioni esposte dal giudice di primo grado a fondamento della decisione di accoglimento del ricorso della società nonchè (3) il “ricorso in appello” dell’Ufficio – denunzia, in relazione “al rilievo IRPEF di omessa contabilizzazione di ricavi e al rilievo IVA di omessa fatturazione di operazioni imponibili”, “insufficiente motivazione su un fatto decisivo e controverso” dato “non tanto e non solo” dal “se il contratto di cui alla scrittura privata dell’8 luglio 1995 andasse qualificato come vendita ovvero come negozio misto di permuta e appalto, quanto piuttosto (dal) se l’Ufficio avesse offerto la prova dei fatti costitutivi della pretesa fiscale”.

Secondo la ricorrente “la ripresa a tassazione … si fondava … su ciò, che, uno schema contrattuale in cui i costi di cessione alla società intimata del materiale estratto erano determinati per relationem ai costi praticati alla clientela era del tutto implausibile, tenuto conto che i costi di estrazione erano a carico della stessa società, e dovendosi ipotizzare che questa si era impegnata a tenere per la durata di trent’anni un comportamento antieconomico, e cioè ad acquistare materiale lapideo dalla M. allo stesso prezzo praticato alla propria clientela” per cui, “secondo l’assunto dell’Ufficio”, “i costi di cessione del materiale lapideo dalla … M. alla Cave San Bortolo …

inglobavano necessariamente i costi inerenti alle attività preliminari di escavazione, selezione, lavaggio e quant’altro, che, secondo l’art. 3 del contratto dell’8 luglio 1995, erano posti a esclusivo carico della società”.

L’Agenzia – “ricordato” che “secondo un costante orientamento” di questa Corte “in presenza di un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell’economia, che il contribuente non spieghi in alcun modo, è legittimo il ricorso alle metodologie di accertamento di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. d), e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2”: “in tal caso, “il giudice di merito, per poter annullare l’accertamento, deve specificare, con argomenti validi, le ragioni per le quali ritiene che l’antieconomicità del comportamento del contribuente non sia sintomatico di possibili violazioni di disposizioni tributarie” (“Cass. 24 luglio 2002 n. 10802, nonchè, da ultimo, Cass. 24 gennaio 2007 n. 1546″)”; prospettato che “la CTR” ha (2) “emesso la sua decisione qualificando apoditticamente le … deduzioni dell’Ufficio in punto di antieconomicità del comportamento che la società intimata aveva e avrebbe anche in futuro posto in essere (…costi tutti addossati alla società: ricavi tutti attribuiti alla M.) come mere intuizioni/sensazioni”, (2) omesso “di considerare le … modalità di determinazione del prezzo di vendita nonchè il contenuto dell’art. 3 della scrittura … (secondo cui “tutte le operazioni di escavazione, selezione, lavaggio e quant’altro … avrà luogo a totale cura e spese della Società acquirente”)” e (3) “ritenuto che la società avesse provato l’assenza della simulazione addotta dall’Ufficio sulla base di documentazione, “bilanci, verbali relazione degli organi societari, autorizzazioni per utilizzo della cava della soc. Cave San Bartolo”, del tutto incoerente allo scopo, trascurando di considerare l’evidente significato indiziario della commistione tra la famiglia M. e la società intimata (partecipata, come già detto, al 90% dalla famiglia M., e della quale la signora M. era Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante oltre che soda; mentre il signor D.V.G., marito della M. era amministratore delegato, oltre che socio” – adduce, infine, che “la motivazione della statuizione di annullamento delle riprese a tassazione concernenti l’omessa contabilizzazione di ricavi e l’omessa fatturazione di operazioni imponibili in relazione alla prestazione di servizio consistita nell’attività di escavazione è insufficiente e inidonea a giustificare la decisione per non avere la CTR considerato la ragione fondamentale della ripresa a tassazione, i.e. l’ipotizzato comportamento antieconomico della società intimata, per avere escluso l’ipotizzata qualificazione della scrittura privata dell’8 luglio 1995 in termini di contratto misto sulla base di una lettura parziale dello stesso e, infine, per aver trascurato di valutare il significato indiziario della commistione tra la società e la famiglia M.” e che “è consequenzialmente mancata la specificazione … delle ragioni per le quali l’antieconomicità dei comportamento del contribuente non fosse sintomatico di possibili violazioni di disposizioni tributarie”.

3. La società – assunto che “il fatto della causa … è stato descritto” nel ricorso “in modo tale che per molti ed essenziali versi non corrisponde anzi contrasta con la realtà” -, dopo una minuta esposizione delle ragioni di “inconsistenza giuridica del PVC e conseguente nullità e invalidità dei rilievi in esso contenuti”, oppone (per quanto rileva) quello che “si legge” nel “contratto concluso … il 30 giugno-8 luglio 1995″ tra essa e ” M.M. L.” (“dopo la premessa che esso va inteso, data la particolare natura delle cose che ne sono oggetto, come vendita di genere nel senso previsto dall’art. 1378 cod. civ.”):

– ” M.M.L. “cede e vende alla Soc. Cave San Bartolo s.p.a. che acquista”, “tutto il materiale estraibile, lapideo e non lapideo, contenuto nel terreno di sua proprietà … della superficie di ha. 80.00.00 circa ecc.” (art. 1)”;

– “l’art. 2 stabilisce”:

(a) “l’escavazione del materiale lapideo qui compravenduto avverrà totalmente a cura della Società acquirente, la quale utilizzerà all’uopo … il proprio complesso di macchinari che sono serviti e che servono tuttora per l’escavazione del materiale contenuto nel terreno confinante con quello oggetto del presente contratto”;

(b) “Pertanto, tutte le operazioni di escavazione, selezione, lavaggio e quant’altro fino al caricamento del materiale (di volta in volta consegnato) (dalla società escavatrice ai propri clienti) “sull’autocarro, dopo che questo è stato portato sull’apparecchio di pesatura, avrà luogo a totale cura e spese della Società acquirente, che si avvarrà materialmente della propria organizzazione già in atto e del proprio personale dipendente”;

(c) “la venditrice si riserva di effettuare i controlli sulla qualità e quantità del materiale escavato a sua totale discrezione e senza alcun preavviso”;

– “l’art. 3 prevede i vari tipi di materiale che verranno scavati ed i prezzi unitari per quintale di ciascun tipo di materiale”;

– “l’art. 4 fissa il modo e i tempi di pagamento del materiale via via scavato (e contemporaneamente consegnato alla società escavatrice), risultante dalla pesa automatica ove transitano gli autocarri che escono dalla cava per la consegna del materiale dalla società escavatrice ai propri clienti”: “la suddetta pesatura è il primo momento in cui il detto materiale (la cui consegna è avvenuta “franco giacimento”), dall’inizio dello scavo, può essere quantificato”;

– “l’art. 7 prevede l’obbligo per la società acquirente di provvedere alla sistemazione ed al ripristino dell’area in cui ha avuto luogo l’escavazione secondo le disposizioni delle autorità competenti”;

– “l’art. 8 dispone che “la società acquirente si impegna a spingere le escavazioni fino alla profondità che risulterà utile secondo le tecniche del settore purchè non in contrasto con le leggi vigenti”;

– “al termine dell’art. 11 sta scritto testualmente: “sempre in riferimento agli aspetti fiscali dell’esecuzione del presente contratto e in particolare al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 51, le parti convengono che – come si desume dalle clausole sopratrascritte – le attività di sfruttamento della cava in oggetto vengono svolte esclusivamente dalla società acquirente per cui, nessuna attività di sfruttamento grava sulla venditrice, se non il controllo delle qualità e quantità vendute che la stessa si riserva di effettuare saltuariamente e con sua più ampia discrezione, come previsto all’art. 2 della presente scrittura”.

Per la società, inoltre:

– l’affermazione di controparte per la quale “secondo la scrittura privata, i costi di produzione e di acquisto dei materiali sono in carico alla Cave San Bartolo, mentre i corrispettivi per vendita materiali sono a favore della M.. E’ di palmare evidenza che il sinallagma sia sbilanciato in relazione ai costi che sono spostati solo verso la Cave ecc.” contiene “un’altra esposizione volutamente distorta della realtà” essendo “evidente che se è una vendita di materiale lapideo franco-giacimento dalla M.M. (ad essa) Cave San Bartolo s.p.a. la prima consegue i ricavi (attraverso le ricevute mensilmente rilasciate alla compratrice) essendo il dante causa, la seconda in quanto avente causa ne paga il prezzo”;

– “la circostanza poi che quest’ultima si assuma anche costi ed oneri di escavazione è solo un fatto di quantum dappoichè ciò va ad incidere solo sul prezzo complessivo del materiale scavato dalla “Cave San Bartolo s.p.a.” e pronto per la rivendita ai propri clienti”; “in altri termini se il prezzo corrisposto dalla “Cave San Bartolo s.p.a.” alla M.M. per tutto il materiale compravenduto “franco giacimento” è di 100 e il costo totale di tutte le operazioni di escavazione ammonta a 10 il costo complessivo del materiale scavato pronto per la vendita dalla Cave San Bartolo s.p.a. ai propri clienti è ovviamente di 110″.

4. Il ricorso dell’Agenzia deve essere accolto.

A. Per l’art. 820 cod. civ. (“frutti naturali …”), invero, “sono frutti naturali quelli che provengono direttamente dalla cosa, vi concorra o no l’opera dell’uomo, come i prodotti agricoli, la legna, i parti degli animali, i prodotti delle miniere, cave e torbiere” (comma 1); “finchè non avviene la separazione”, poi (comma 2)” “i frutti formano parte della cosa”, anche se “si può” (“tuttavia”) “disporre di essi come di cosa mobile futura”.

B. I “contratti di diritto privato aventi per oggetto lo sfruttamento di cave”, come da tempo chiarito (Cass., 1^, 16 settembre 1995 n. 9785), “possono assumere configurazioni giuridiche diverse, a seconda dell’intenzione dei contraenti”; in essi, infatti, è ravvisabile:

(a) “una vendita immobiliare” (a sua volta distinguibile (Cass., 2^, 15 aprile 1999 n. 3750) in “vendita immobiliare della cava nel suo complesso” ovvero “del solo sottosuolo interessato dal giacimento rimanendo il soprasuolo ed il restante sottosuolo in proprietà del venditore”), “quando il negozio abbia ad oggetto il giacimento nella sua complessiva stratificazione intesa in unità di superficie e di volume e ne sia previsto il completo trasferimento per un prezzo commisurato al volume dell’intera cava”;

(b) “una vendita mobiliare, se le parti abbiano invece considerato il prodotto dell’estrazione, ragguagliato a peso o a misura”;

(c) “un contratto riconducibile nello schema dell’affitto, quando l’intenzione dei contraenti sia invece finalizzata allo scopo di consentire il godimento (sfruttamento) temporaneo del bene secondo la sua destinazione (Cass. 9 luglio 1982, n. 4090; 7 novembre 1989, n. 4646)” (sull’inquadramento “nello schema dell’affitto” del contratto avente ad oggetto la “concessione dello sfruttamento di una cava” cfr., altresì, Cass., 3^, 16 novembre 2006 n. 24371 e 28 marzo 2001 n. 4503): “il legislatore”, infatti, come visto, “annovera espressamente i prodotti delle cave” (al pari di “quelli delle miniere e delle torbiere”) “tra i frutti naturali (art. 820 c.c., comma 1) e considera quindi la cava (non diversamente dalla miniera e dalla torbiera) alla stregua di una cosa produttiva, la cui esistenza costituisce il necessario presupposto per la stipulazione di un contratto di affitto (art. 1615 c.c.)”.

C. L’art. 51 (poi 55, secondo la numerazione introdotta dal D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344) del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 – dopo aver previsto (comma 1) che “sono redditi d’impresa quelli che derivano dall’esercizio di imprese commerciali”, con l’ulteriore specificazione che “per esercizio di imprese commerciali si intende l’esercizio per professione abituale, ancorchè non esclusiva, delle attività indicate nell’art. 2195 c.c., e delle attività indicate alle lett. b) e c), art. 32, comma 2 che eccedono i limiti ivi stabiliti, anche se non organizzate in forma d’impresa” -, tenuto conto della caratteristica dei beni, al secondo comma dispone che “sono inoltre considerati redditi d’impresa … b) i redditi derivanti dall’attività di sfruttamento di miniere, cave, torbiere, saline, laghi, stagni e altre acque interne”.

L’avverbio “inoltre” univocamente conferisce alla disposizione un valore aggiuntivo a (nonchè specificativo di) quella generale del primo comma per cui alla stessa può attribuirsi solo il senso di una qualificazione ex lege, quali “redditi d’impresa”, di tutti i “redditi” comunque “derivanti” (non già dall’alienazione e/o dalla compressione del diritto reale di proprietà ma solo) “dall’attività di sfruttamento di miniere, cave, torbiere, saline, laghi, stagni e altre acque interne”.

La correlazione tra la peculiarità della previsione – additiva, come tutte le ulteriori fattispecie considerate nelle lett. a) e c), medesimo comma 2, di quella generale del comma precedente – ed i principi in tema di “contratti di diritto privato aventi per oggetto lo sfruttamento di cave” richiamati al punto B. di questo stesso p.5, impone, quindi, di considerare come “redditi d’impresa” tutti quelli ricavati dal proprietario della cava (e degli altri beni (“miniere, … torbiere, saline, laghi, stagni e altre acque interne”) indicati nella norma) in conseguenza e per effetto dell'”attività di sfruttamento” (indipendentemente dal soggetto che materialmente esegua l’attività stessa) in tutte le ipotesi in cui non si trasferisce a terzi il diritto di proprietà della cava ovvero non si costituisce sulla stessa un diritto reale di godimento perchè solo tale interpretazione consente di attribuire un senso logico concreto alla previsione: non essendo, infatti, dubitabile che l'”attività di sfruttamento” della cava costituisca, per il soggetto che la svolge materialmente (nel caso la s.p.a. Cave San Bartolomeo), “esercizio di imprese commerciali” ex art. 2195 cod. civ. – e, quindi, che i redditi dalla stessa ricavati da tale soggetto rientrino nella previsione del primo comma della norma tributaria -, la disposizione del secondo comma non può che riguardare la qualificazione fiscale ex lege, anch’essa quale “redditi d’impresa” e della controprestazione contrattuale ricevuta dal proprietario della cava (la M.) per il trasferimento a terzi (non già del diritto di proprietà o del diritto reale di godimento sul bene ma) della sola “attività di sfruttamento” del bene fruttifero.

D. Con le sentenze 23 dicembre 2008 nn. 30055, 30056 e 30057 – i cui principi sono stati ribaditi in seguito anche da questa sezione nella decisione 9 dicembre 2009 n. 25726 -, di poi, le sezioni unite di questa Corte (dichiaratamente aderendo “all’indirizzo di recente affermatosi nella giurisprudenza della sezione tributaria (…, da ultimo, Cass. 10257/08, 25374/08)”) hanno confermato l'”esistenza”, nel vigente ordinamento fiscale, di un “generale principio antielusivo” (la cui “fonte”, “in tema di tributi non armonizzati, quali le imposte dirette, va rinvenuta non nella giurisprudenza comunitaria quanto piuttosto negli stessi principi costituzionali che informano l’ordinamento tributario italiano”) condivisibilmente osservando che “i principi di capacità contributiva … e di progressività dell’imposizione” di cui all’art. 53 Cost.

“costituiscano il fondamento sia delle norme impositive in senso stretto, sia di quelle che attribuiscono al contribuente vantaggi o benefici di qualsiasi genere, essendo anche tali ultime norme evidentemente finalizzate alla più piena attuazione di quei principi” per cui “non può non” (quindi deve) “ritenersi insito nell’ordinamento, come diretta derivazione delle norme costituzionali, il principio secondo cui il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall’utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale”: “nè”, si è aggiunto, “siffatto principio può in alcun modo ritenersi contrastante con la riserva di legge in materia tributaria di cui all’art. 23 Cost., in quanto il riconoscimento di un generale divieto di abuso del diritto nell’ordinamento tributario non si traduce nella imposizione di ulteriori obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensì nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l’applicazione di norme fiscali”.

Nelle medesime decisioni, inoltre, sì è precisato che “(il tema relativo all’esistenza, validità e opponibilità all’amministrazione del negozio” da cui deriva, nella sostanza, la pretesa fiscale “è acquisito al processo per effetto dell’allegazione da parte del contribuente” e che da tanto discende la “sicura rilevabilità d’ufficio delle eventuali cause di invalidità o di inopponibilità all’amministrazione del contratto stesso” (“sempre che, ovviamente, ciò non sia precluso, nella fase di impugnazione, dal giudicato interno eventualmente già formatosi sul punto o (nel giudizio di legittimità) dalla necessità di indagini di fatto”).

E. Dai principi innanzi richiamati discende l’irrilevanza del giudicato (invocato dalla società nella memoria depositata) che copre – per effetto delle ordinanze (pronunciate ai sensi dell’art. 375 c.p.c.) nn. 23206/08 (“avviso di rettifica per IRPEG e ILOR anno 1997”), 23368/08 (“avviso di rettifica per IVA 1997”) e 23368/08 (“avviso di rettifica per IRPEG e ILOR anno 1996″), tutte rese tra le medesime parti del presente giudizio, pubblicate da questa sezione il 9 settembre 2009, dichiarative dell'”inammissibilità” dei ricorsi dell’Agenzia – le statuizioni (nn. 54/09/06, 55/09/06 e 53/09/06) con le quali la Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna (giusta quanto si legge nelle ordinanze dette) ha “qualifica(to) come contratto di vendita di genere di cui all’art. 1378 c.c. l’accordo intercorso tra la contribuente, società esercente l’attività di estrazione dal sottosuolo di materiali inerti, e … M.M. L., proprietaria …, in base al quale la seconda cedeva alla prima tutto il materiale estraibile dalla sua proprietà”: quella qualificazione, infatti, non esclude in alcun modo nè la natura di “redditi di impresa”, ex art. 51 (ora art. 53) del TUIR, del corrispettivo percepito dalla proprietaria della cava nè, soprattutto e comunque, la possibile natura elusiva (rilevabile d’ufficio perchè non coperta da nessun giudicato interno ostativo) della specifica operazione economica conclusa con l'”accordo intercorso” tra la società e la M., in ordine al quale l’Agenzia ha evidenziato che “secondo la scrittura privata” intervenuta tra dette parti private “1 costi di produzione e di acquisto dei materiali sono in carico alla “Cave …”, mentre i corrispettivi per vendita materiali sono a favore della M.”, per cui “il sinallagma” risulterebbe “sbilanciato in relazione ai costi” in quanto “dalla scrittura privata si evince che, mentre i proventi delle vendite corrispondono ai costi di acquisto materiali, i costi di estrazione sono compensati da non dichiarati ricavi per cessioni di beni”.

Il giudicato invocato, peraltro, è improduttivo di effetti sulla presente controversia anche in base agli ordinar principi (da ribadire per carenza di qualsivoglia argomento contrario) secondo i quali:

(1) per quanto riguarda l’imposta sul valore aggiunto (IVA) (“tributo armonizzato”), “il diritto comunitario osta all’applicazione di una disposizione del diritto nazionale, come quella di cui all’art. 2909 c.c., tesa a sancire il principio dell’autorità di cosa giudicata, allorchè l’applicazione di tale norma si ponga in contrasto col diritto comunitario (Cass. n. 26996/2007…)” (Cass., trib., 30 novembre 2009 n. 25200);

(2) “il giudicato relativo ad un singolo periodo di imposta”, di norma, “non è idoneo a far stato in periodi successivi od antecedenti in via generalizzata ed aspecifica” perchè (Cass., trib., 28 maggio 2008 n. 13897) “il giudicato incentra la sua potenziale capacità espansiva in funzione regolamentare” solo “su quegli elementi che abbiano un valore condizionante inderogabile sulla disciplina degli altri elementi della fattispecie esaminata per cui la sentenza che risolva una situazione fattuale in uno specifico periodo di imposta non può estendere i suoi effetti automaticamente ad altro periodo se non vi sia un dato preliminare costante e comune che avvinca entrambe le annualità”: di conseguenza “l’accertamento negativo di un tributo non determina in favore del soggetto inciso l’acquisto di uno stato soggettivo (vuoi per non assoggettamento vuoi per esenzione) opponibile all’A.F. attraverso la tecnica del giudicato ove il presupposto di imposta o la situazione esente siano costituiti non già da una condizione personale dell’oblato ma”, come anche nella specie, “da una situazione obbiettiva connessa all’esercizio di una attività od al possesso di un bene”.

La “preclusione” nascente dal giudicato, infatti, suppone (Cass., trib., 30 luglio 2009 n. 17718) di necessità – “oltre”, ovviamente, “all’identità delle parti” – che “l’obbligazione tributaria presenti i medesimi elementi costitutivi e derivi dall’identico titolo mentre è insufficiente la circostanza che il giudicato riguardi un accertamento riferibile ad una questione di fatto comune ad entrambe le cause (vedi Cass. n. 5235/01)”.

F. I medesimi principi, quindi, mostrano l’erroneità della sentenza impugnata che, di conseguenza, deve essere cassata.

La causa, siccome bisognevole dei conferenti ulteriori accertamenti fattuali – non compiuti dal giudice del merito, essendosi questi limitato alla qualificazione del contratto intervenuto tra le parti private, senza però trarre nessuna conseguenza giuridica quanto alla idoneità delle intervenute pattuizioni ad escludere gli specifici obblighi fiscali indicati dall’Ufficio a carico di ciascuna di essa – va, di poi, rinviata a sezione diversa della stessa Commissione Tributaria Regionale che ha pronunciato la decisione annullata affinchè la stessa:

(1) provveda a riesaminare l’appello dell’Ufficio facendo applicazione dei principi di diritto concernenti;

(a) la natura di “reddito d’impresa” ex lege del corrispettivo dell’attività di sfruttamento della cava percepito dal proprietario (salvo che in ipotesi di trasferimento del diritto di proprietà della cava o di costituzione di un diritto reale di godimento sulla stessa) e (b) la eventuale natura elusiva delle pattuizioni contrattuali se riscontrate prive, in effetti, di “ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di (un) … risparmio fiscale”, nonchè (2) provveda anche a regolare tra le parti le spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso dell’Agenzia; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese di questo giudizio di legittimità, ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 settembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2011

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