Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6886 del 24/03/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 6886 Anno 2014
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: MATERA LINA

Data pubblicazione: 24/03/2014

SENTENZA

sul ricorso 12298-2008 proposto da:
FARINA PAOLO MARIA FRNPLA49TO9F205P,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA GAVINANA l, presso lo studio
dell’avvocato PECORA FRANCESCO, che lo rappresenta e
difende unitamente agli avvocati SALOMONE MARCO B,
DOLMETTA ALDO ANGELO;
– ricorrente –

2014

contro

258

lo

BORIO

LUDOVICA

BROLUC56F66L219I,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE LIEGI 49, presso lo studio
dell’avvocato ARNULFO CARLO, che la rappresenta e

difende unitamente agli avvocati NAPOLI MARIO,
VERGANI ROBERTO;
– controricorrente

avverso la sentenza n.

3321/2007 della CORTE

D’APPELLO di MILANO, depositata il 11/12/2007;

udienza del 22/01/2014 dal Consigliere Dott. LINA
MATERA;
udito l’AvvocatoPECORA Francesco,

difensore del

ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUCIO CAPASSO che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 4-7-2001 Ludovica Borio
conveniva dinanzi al Tribunale di Milano l’architetto Paolo Farina e
la società EDILMILO s.r.1., per sentirli condannare, in solido tra

obbligazioni dai medesimi assunte. A sostegno della domanda,
l’attrice deduceva di aver dato ai convenuti, il primo nella qualità di
progettista e di direttore dei lavori e la seconda nella veste di
esecutrice delle opere murarie, l’incarico di ristrutturare una unità
immobiliare di sua proprietà sita in Cassinetta di Legnano; che
all’esito dei lavori eseguiti parte delle opere commissionate aveva
mostrato segni di rovina; che in base ad una perizia fatta eseguire, i
costi per gli interventi di rispristino erano stati quantificati in lire
50.000.000, somma di cui chiedeva l’integrale ristoro.
Nel costituirsi, il Farina eccepiva in limine la decadenza e la
prescrizione del diritto azionato. Nel merito, il convenuto contestava
gli addebiti mossigli sia nella veste di progettista che di direttore dei
lavori. Egli, inoltre, chiedeva in via riconvenzionale la condanna
dell’attrice al saldo del proprio compenso, quantificato in lire
50.000.000.
Con sentenza in data 15-10-2003 il Tribunale accoglieva
parzialmente la domanda attrice e la riconvenzionale, condannando
la contumace EDILMILO s.r.l. a pagare alla Borio, a titolo

loro, al risarcimento dei danni conseguenti all’inadempimento delle

risarcitorio, la somma di euro 20.000,00 oltre interessi, e l’attrice a
pagare al Farina la somma di euro 15.000,00; rigettava, invece, la
domanda proposta dall’attrice nei confronti del Farina.
Avverso la predetta decisione proponevano appello principale

Con sentenza in data 11-12-2007 la Corte di Appello di
Milano, in accoglimento dell’appello principale e in riforma della
sentenza impugnata, condannava il Farina, in solido con la
EDILMILO s.r.1., al pagamento in favore della Borio, a titolo
risarcitorio, della somma di euro 20.000,00 oltre interessi; rigettava
la domanda riconvenzionale proposta dal Farina, che condannava al
pagamento delle spese di doppio grado in favore dell’attrice.
La Corte territoriale, in particolare, disattendeva le eccezioni
di decadenza e prescrizione proposte dall’appellante incidentale,
rilevando che la disciplina prevista dall’art. 2226 c.c. per le
difformità e i vizi dell’opera si applica solo alle prestazioni aventi
ad oggetto la realizzazione di un’opus in senso materiale e non è,
invece, invocabile in caso di prestazioni di servizi o di prestazioni
aventi, comunque, ad oggetto res immateriali. Quanto all’appello
principale, il giudice del gravame osservava che, mentre non poteva
muoversi alcun addebito al Farina in ordine alla sua attività di
progettazione, doveva invece affermarsi la responsabilità del
predetto, quale direttore dei lavori, in relazione alle difformità

2

la Borio e appello incidentale il Farina.

verificatesi in sede di esecuzione dell’opera, non avendo esso
convenuto provato di avere svolto alcuna attività di controllo e di
iniziativa per denunciare l’inesatta esecuzione e per evitare che se ne
consolidassero le conseguenze in danno della committente. La Corte

di merito, inoltre, motivava il rigetto della domanda riconvenzionale
del Farina affermando che la responsabilità colposa del
professionista comportava la perdita definitiva del diritto del
medesimo a percepire il compenso.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso Paolo
farina, sulla base di quattro motivi.
Ludovica Borio ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e
falsa applicazione dell’art. 2226 c.c. Deduce che, contrariamente a
quanto ritenuto dalla Corte di Appello, nella specie, in relazione
all’attività di direttore dei lavori svolta dal Farina, trova
applicazione la disciplina prevista dal citato art. 2226 c.c., essendosi
tale attività espletata in un’opera visibile, consistente in tavolati e
muri divisori.
Il motivo si conclude con la formulazione di un quesito di
diritto, con cui si chiede se la norma dell’art. 2226 comma 2 c.c. sia
applicabile ai casi in cui un’unica persona abbia cumulato delle
separate funzioni di progettista e direttore dei lavori, in relazione

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j:

alla quale ultima attività sia configurata un’opera visibile i cui
eventuali difetti siano agevolmente riscontrabili dal committente.
Il motivo è infondato.
Le Sezioni Unite di questa Corte, componendo un contrasto in

intellettuale dell’art. 2226 c.c., decisa in modo difforme dalle
Sezioni Semplici, con sentenza del 28-7-2005 n. 15781 hanno
affermato che la disciplina in tema di decadenza e di prescrizione
dettata dalla citata norma, non si applica alle prestazioni in
questione, ed in particolare alla prestazione del professionista che
abbia assunto l’obbligo della redazione di un progetto di ingegneria o
della direzione dei lavori, ovvero l’uno o l’altro compito, attesa
l’eterogeneità della prestazione rispetto a quella manuale, cui si
riferisce l’art. 2226 c.c., norma che perciò non è da considerare tra
quelle richiamate dall’art. 2230 c.c.
Nella specie, pertanto, correttamente la Corte di Appello di
Milano ha disatteso le eccezioni di decadenza e prescrizione di cui
all’art. 2226 c.c., prospettate dal Farina in rapporto alla prestazione
d’opera professionale dal medesimo espletata, a nulla valendo la
distinzione operata dal ricorrente tra le attività svolte nella veste di
progettista e di direttore dei lavori. E’ incontestabile, infatti, che
l’attività di direzione dei lavori rientri nella categoria delle opere
intellettuali ex art. 2229 c.c.; sicchè, alla luce del principio di diritto

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ordine alla questione dell’applicabilità alle prestazioni di opera

innanzi enunciato, al relativo contratto di opera professionale, che ha
per oggetto la prestazione di un bene immateriale in relazione al
quale non sono percepibili, come per i beni materiali, le difformità o
i vizi eventualmente presenti, non è applicabile la disciplina dettata

in materia di decadenza e prescrizione dalla citata norma codicistica.
2) Con il secondo motivo il ricorrente si duole dell’omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione alla ritenuta
mancanza di diligenza del Farina nella sua veste di direttore dei
lavori. Deduce che il convenuto ha vigilato in modo corretto in
relazione al problema dell’ancoraggio, e ha fatto quanto in suo
potere per rimediare alla mala opera realizzata dall’impresa e dai
committenti. Rileva che il Farina, durante lo svolgimento dei lavori,
si recava con costanza, regolarità e frequenza sul cantiere; che la
Corte di Appello non ha considerato che dagli stessi capitoli di prova
articolati dall’attrice si evince che i lavori di ancoraggio dei tavolati
sono stati compiuti in appena tre giorni, a ridosso delle feste di
Ferragosto, in assenza del Farina; che quest’ultimo fu avvertito del
“cambiamento di materiale utilizzato” solo dopo che l’opera
difforme era stata eseguita; che il giudice del gravame non ha tenuto
conto di quanto affermato nella sentenza di primo grado, secondo cui
dalle dichiarazioni rese all’udienza ex art. 183 c.p.c. dall’attrice
emergeva che il Farina, accortosi della mancata osservanza delle sue
istruzioni in sua assenza, si era visibilmente alterato ed aveva

ft

protestato Sostiene, inoltre, che il giudice di appello ha omesso di
motivare sulla mancata ammissione delle prove orali formulate dalla
controparte, ed ha contraddittoriamente escluso l’ammissione della
prova dedotta dall’appellante per il solo fatto che la stessa era stata

Anche tale motivo è privo di fondamento.
La Corte di Appello ha escluso ogni responsabilità del Farina
in relazione all’attività di progettazione espletata, dando atto che,
secondo quanto risultava dagli stessi capitoli di prova articolati
dall’attrice, il predetto aveva indicato e progettato, in relazione
all’ancoraggio dei muri divisori al primo piano a quelli perimetrali,
• una soluzione tecnica diversa da quella poi in concreto posta in
essere; di modo che si arguiva che tale soluzione era stata realizzata
dall’impresa contro la volontà dell’odierno ricorrente. Il dato di fatto
oggettivo costituito dalla realizzazione dell’opus in modo difforme
dal progetto escludeva, pertanto, secondo il giudice del gravame, la
responsabilità del progettista, non potendosi ravvisare come causa
del danno un vizio del progetto, bensì le modalità con cui esso era
stato in concreto realizzato.
Ad avviso della Corte territoriale, al contrario, il Farina non
poteva esimersi da responsabilità in relazione all’attività prestata
quale direttore dei lavori, per non aver vigilato con la dovuta
diligenza affinchè una simile difformità non si verificasse, o

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articolata in via subordinata all’ammissione delle prove dell’attrice.

comunque per non essersi in alcun modo attivato, dopo che la stessa
si era verificata, per denunciarla ed eliminarla Secondo quanto
accertato nella sentenza impugnata, infatti, il Farina, sul quale
gravava il relativo onere probatorio, non ha in alcun modo

alcuna doverosa attività di controllo e di iniziativa per denunciare
l’inesatta esecuzione e per evitare che se ne consolidassero le
negative conseguenze in danno della committente.
A tali conclusioni la Corte distrettuale è pervenuta sulla base
di argomentazioni esaustive e congrue, con cui ha evidenziato, in
particolare, da un lato che il convenuto, anche in secondo grado,
aveva articolato prova testimoniale solo in via subordinata
all’ammissione della prova capitolata dalla controparte, sicché, una
volta ritenuta la superfluità ed inammissibilità della prova dedotta
dall’attrice, restava esclusa altresì la possibilità di ammettere i
mezzi istruttori richiesti dal Farina; e dall’altro che non era possibile
trarre argomenti di prova a sostegno della tesi del convenuto dalle
pretese dichiarazioni rese in primo grado dalla Borio,

“non si sa

bene se in sede di interrogatorio o addirittura fuori udienza”,
contenendo la sentenza di primo grado solo un generico accenno a
tali dichiarazioni, e mancando in proposito qualunque
verbalizzazione.

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dimostrato di avere svolto, nella sua veste di direttore dei lavori,

Le valutazioni espresse al riguardo dal giudice di appello
costituiscono espressione di apprezzamenti in fatto riservati al
giudice di merito, che, in quanto sorretti da una motivazione immune
da vizi logici, si sottraggono al sindacato di questa Corte.

denuncia di vizi di motivazione, propone sostanziali censure di
merito, che mirano ad ottenere una diversa e più favorevole
valutazione delle emergenze processuali rispetto a quella compiuta
dal giudice di appello ,- il tutto in contrasto con i limiti propri del
giudizio di legittimità, che non può trasformarsi in un terzo grado di
merito, nel quale sia consentito procedere ad un nuovo accertamento
dei fatti oggetto della controversia e ad una nuova valutazione delle
prove.
3) Con il terzo motivo il ricorrente, denunciando la violazione

e falsa applicazione dell’art. 2700 c.p.c., censura la sentenza
impugnata nella parte in cui ha ritenuto di non dare alcun valore alle
attestazioni rese dal Tribunale nella sentenza di primo grado
riguardo alle dichiarazioni rese in udienza dall’attrice, in quanto non
verbalizzate.
Il quesito di diritto posto è il seguente: “Se le attestazioni
compiute dal giudice in sentenza circa fatti avvenuti nel corso
dell’udienza del relativo procedimento siano coperte, oppure no,
dell’efficacia probatoria dell’art. 2700 c.p.c.; e, per la denegata

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E, in realtà, il motivo in esame, attraverso la formale

ipotesi di risposta negativa a tale domanda, da quale efficacia
probatoria siano coperte”.
Il motivo è inammissibile.
La Corte di Appello ha negato ogni valore probatorio alle

dalla Borio circa la condotta attiva tenuta dal Farina, in base a un
duplice ordine di ragioni: essa ha rilevato da un lato che la sentenza
di primo grado conteneva solo un accenno “generico” e “fuggevole”
a tali dichiarazioni, e dall’altro che mancava qualunque
verbalizzazione al riguardo.
La ricorrente, con il motivo in esame, ha censurato solo la
seconda parte della motivazione, senza muovere alcuna doglianza in
ordine all’ulteriore argomentazione addotta dal giudice del gravame,
di per sé idonea a sorreggere la decisione.
Ciò posto, si rammenta che, secondo il costante orientamento
di questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, qualora la
decisione impugnata si fondi, come nel caso in esame, su di una
pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome e singolarmente
idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, l’omessa
impugnazione di tutte le rationes decidendi rende inammissibili, per
difetto di interesse, le censure relative alle singole ragioni
esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime,
quand’anche fondate, non potrebbero comunque condurre, stante

pretese dichiarazioni rilasciate nel corso del giudizio di primo grado

l’intervenuta definitività delle altre non impugnate, all’annullamento
della decisione stessa (tra le tante v. Cass. 11-2-2011 n. 3386; Cass.
18-9-2006 n. 20118; Cass. S.U. 8-8-2005 n. 16602; Cass. 27-1-2005
n. 1658; Cass. 12-4-2001 n. 5493).

insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione al rigetto
della domanda riconvenzionale, diretta ad ottenere il pagamento dei
compensi dovuti dalla Borio al Farina. Deduce che l’eccezione di
inadempimento di cui all’art. 1460 c.p.c. non è idonea a determinare
l’estinzione del diritto del professionista alla percezione del proprio
compenso. Rileva, inoltre, che dalla responsabilità accollata al
ricorrente rimane del tutto estranea l’attività di progettista; che la
responsabilità accertata a carico del Farina non concerne l’intera
attività prestata dal convenuto nella veste di direttore dei lavori, ma
riguarda solo l’episodio dei tavolati; che a parte tale episodio, la
controparte non ha mai sollevato altra contestazione; che, a tutto
voler concedere, l’importo richiesto dal Farina per le varie
prestazioni eseguite a favore della Borio avrebbe dovuto essere
ridotto di una parte, in correlazione alla misura effettiva del preteso
inadempi mento.
Il motivo è fondato.
Si osserva, al riguardo, che, ai sensi dell’art. 1453 c.c., nei
contratti con prestazioni sinallagmatiche, l’inadempimento (o

10

4) Con il quarto motivo il ricorrente lamenta l’omessa,

inesatto adempimento) della prestazione di una parte abilita l’altra
parte, a sua scelta, a chiedere l’adempimento o la risoluzione del
contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno.
E’ pacifico, in giurisprudenza, che la domanda di risarcimento

congiuntamente o separatamente da quella di risoluzione, giacché il
citato art. 1453 c.c., facendo salvo in ogni caso il risarcimento del
danno, esclude che l’azione risarcitoria presupponga il necessario
esperimento dell’azione di risoluzione del contratto (tra le tante v.
Cass. 24-11-2010 n. 23820; Cass. 27-10-2006 n. 23723; Cass. 11-62004 n. 11103; Cass. 23-7-2002 n. 10741).
Nel caso in esame, la Borio non ha chiesto la risoluzione del
contratto d’opera intellettuale stipulato con il Farina, ma ha proposto
solo domanda di risarcimento dei danni subiti per l’inadempimento
della controparte; domanda che presuppone il mantenimento in vita
del. contratto e non il suo scioglimento e non fa venire meno il
diritto del professionista a percepire il corrispettivo per la
prestazione eseguita, trovando le ragioni della committente adeguato
soddisfacimento nell’invocata tutela risarcitoria.
La Corte di Appello, pertanto, nel ritenere che l’acclarata
responsabilità colposa del convenuto comportava di per sé la perdita
definitiva del suo diritto a percepire la controprestazione, non ha
tenuto conto del fatto che, essendosi la Borio limitata a proporre

dei danni per inadempimento contrattuale può essere proposta

azione risarcitoria, dimostrativa del suo interesse alla manutenzione
del contratto stipulato, non era messo in discussione il credito del
professionista per il compenso relativo all’attività espletata. della
quale la committente intendeva comunque avvalersi, sia pure

adempimento (per riferimenti in tema di appalto cfr. Cass. 17-4-2012
n. 6009; Cass. 17-4-2002 n. 5496; Cass. 23-1-1999 n. 644; Cass 147-1981 n. 4606; Cass. 5-3-1979 n. 1386).
5) In accoglimento del quarto motivo di ricorso, di
conseguenza, s’impone la cassazione della sentenza impugnata. con
rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di Appello di
Milano, la quale provvederà anche sulle spese del presente grado di
giudizio.
P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso, rigetta gli altri
motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e
rinvia anche per le spese ad altra Sezione della Corte di Appello di
Milano.
Così deciso nella camera di consiglio del 22-1-2014
Il Presidente

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
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sollecitando il ristoro del pregiudizio subito per l’inesatto

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