Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6881 del 24/03/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 6881 Anno 2014
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: MANNA FELICE

SENTENZA

sul ricorso 12626-2008 proposto da:
PASQUINI

DANILOC.F.PSQDNL34R10F205B,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA MARIANNA DIONIGI 17, presso
lo studio dell’avvocato SANTUCCI ROBERTO,
rappresentato e difeso dall’avvocato SANZO SALVATORE;
– ricorrente contro

2014
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CATALANO
FRANCESCA

PASQUALE

C.F.CTLPQL55D17I907T,

C.F.TREFNC57M59E974Q,

TIERI

elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA MATTEO BOIARDO 17, presso lo
studio dell’avvocato MANCINI ERNESTO, rappresentati e

Data pubblicazione: 24/03/2014

difesi dall’avvocato CASILI GIORGIO;
– controricorrenti

avverso la sentenza n. 748/2007 della CORTE D’APPELLO
di MILANO, depositata il 13/03/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

MANNA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. SERGIO DEL CORE che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

udienza del 08/01/2014 dal Consigliere Dott. FELICE

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 1866 del 13.6.2003 la Corte d’appello di Milano,
definendo nel merito una controversia fra l’arch. Danilo Pasquini e i coniugi
Pasquale Catalano e Francesca Tieri, in ordine al compenso professionale

della decisione di primo grado quantificava il credito in € 14.336,94 e
condannava il predetto professionista a restituire ai committenti la somma in
esubero già corrispostagli.
Tale sentenza era impugnata sia per revocazione ai sensi del n. 4 dell’art.
395 c.p.c., sia per cassazione, con esito negativo in entrambi i casi.
In particolare, l’impugnazione per revocazione si basava su ciò, che “…
nel procedere alla verifica (ritenuta preliminare ed assorbente) circa la
effettiva esecuzione da parte dell’arch. Pasquini della complessa attività
progettuale esposta nella parcella, la Corte ha incentrato il proprio esame
esclusivamente sulle 13 tavole prodotte dall’appellante nel giudizio di
secondo grado (doc. 1 fascicolo secondo grado), erroneamente ritenendo che
quelle n. 13 tavole fossero il “progetto” su cui essa era chiamata ad
esprimersi: al contrario, la produzione di quelle 13 tavole (come la difesa
dell’attore in revocazione aveva invano sottolineato nell’atto d’appello e poi
nella comparsa conclusionale ed ancora nella memoria di replica), lungi dal
rappresentare dimostrazione della esecuzione dell’attività progettuale
esposta in parcella (prova già ampiamente fornita), era stata effettuata
dall’appellante per comprovare l’erroneità delle affermazioni contenute nella
sentenza di primo grado, secondo cui, nel caso di specie, sarebbe totalmente
mancata la collaborazione tra committente e professionista, con la
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spettante al primo per un progetto di ristrutturazione immobiliare, in riforma

conseguenza che il progetto finale — sulla cui effettiva realizzazione nessuno,
prima dell’estensore della sentenza che qui si impugna, ha mai nutrito dubbi
di sorta — non sarebbe stato completamente rispondente alle esigenze dei
sigg.ri Catalano e Tieri …”.

Milano, con sentenza n. 748/07, escludeva che ricorressero gli estremi del
dedotto errore revocatorio, consistente, secondo l’arch. Pasquini, nell’avere la
Corte di merito ritenuto non depositato il progetto su cui si era incentrato il
dibattito fra le parti. In particolare, il giudice della revocazione riteneva che il
dedotto errore di fatto non fosse di natura sostanziale, ma processuale, e che
ad ogni modo esso non sarebbe stato decisivo perché non necessariamente
l’esistenza dei (Incumenti asseritamente prodotti avrebbe comportato una
decisione favorevole all’arch. Pasquini.
Per la cassazione di quest’ultima sentenza Danilo Pasquini propone ricorso
affidato a due motivi, illustrati da memoria.
Resistono con controricorso Pasquale Catalano e Francesca Tieri.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Col primo motivo d’impugnazione è dedotta la violazione dell’art. 395,
n. 4 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 3 (rectius, 4) c.p.c.
La Corte territoriale, sostiene parte ricorrente, ha errato lì dove ha ritenuto
che la natura processuale del fatto oggetto d’errore osterebbe alla
configurabilità della fattispecie revocatoria dedotta. Al contrario, anche il
fatto processuale — come, appunto, l’avvenuta produzione o non di
determinati documenti — può essere oggetto di errore percettivo e, dunque, di
revocazione.
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Nel decidere tale impugnazione per revocazione la Corte d’appello di

La falsa rappresentazione da cui è affetta la sentenza n. 1866/03 della
Corte milanese consiste nell’aver ritenuto l’inesistenza del progetto esecutivo,
lì dove si afferma che “… esiste per la verità un elenco maggiore di tavole
comunicato dall ‘arch. Pasquini al legale delle controparti dove si allude

29.6.1992 allegata alla relazione del ctp), ma — al di là delle 13 tavole
menzionate non è stato prodotto altro nel presente giudizio al fine di
consentire al Collegio di verificarne il contenuto”.
Formula al riguardo i seguenti quesiti di diritto ai sensi dell’art. 366-bis
c.p.c., applicabile alla fattispecie ratione temporis: “dica la Suprema Corte se
nell’alveo dell’art. 395, n. 4 c.p.c. siano comprese tutte le ipotesi di falsa
rappresentazione della realtà (processuale e/o sostanziale), in conseguenza di
un errore, tale per cui in sua assenza la sentenza sarebbe stata in tutto o in
parte di segno opposto; dica la Suprema Corte se l’erroneo convincimento del
giudice d’appello circa il mancato deposito di documenti che invece sono stati
assunti dal giudice di primo grado a base della propria decisione integri o
meno un vizio revocatorio ex art. 395, n. 4 c.p.c.”.
2. – Col secondo motivo parte ricorrente lamenta l’insufficiente e
contraddittoria motivazione circa il fatto controverso e decisivo della natura
revocatoria dell’errore denunciato, in relazione all’art. 360, n. 5 c.p.c.
Posto che la sentenza n. 1866/03 della Corte d’appello di Milano,
impugnata per revocazione, era stata chiara e netta nel rilevare che l’esito
negativo della controversia per l’arch. Pasquini era la diretta ed esclusiva
conseguenza dell’affermata (ed errohea) insussistenza agli atti del progetto
esecutivo, che la Corte ritenne in allora mai presentato e non compendiato
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anche a schemi, stati finali, demolizioni e particolari costruttivi (lettera

nelle 13 tavole, non si vede come l’accertamento positivo dell’avvenuto
deposito del documento sarebbe stato privo di valore decisivo. Ed in ciò
risiede la contraddizione logica della sentenza impugnata.
3. – I due motivi, da esaminare congiuntamente per la loro

La sentenza impugnata ha escluso l’esistenza delle condizioni della
proposta impugnazione per revocazione ex art. 395, n. 4 c.p.c. sulla base di
due considerazioni — la natura processuale e non sostanziale del fatto su cui è
caduto l’errore e la non decisività di esso, nel senso che l’esistenza del
documento non necessariamente avrebbe comportato una decisione
favorevole all’arch. Pasquini — entrambe errate rispetto alla corretta
interpretazione della norma citata.
3.1. – Com’è noto, l’errore previsto come motivo di revocazione consiste in
una falsa percezione della realtà, in una svista obiettivamente ed
immediatamente rilevabile, che abbia portato ad affermare o supporre
l’esistenza di un fatto decisivo, incontestabilmente escluso dagli atti e
documenti di causa, ovvero l’inesisterwa di un fatto decisivo, che dagli atti e
documenti medesimi risulti positivamente accertato (giurisprudenza costante
di questa Corte: cfr. per tutte S.U. n. 26022/08). Tale errore, oltre a riguardare
un fatto sul quale la sentenza revocanda non si è pronunciata, deve essere
essenziale e decisivo (nel senso che tra l’erronea percezione del giudice e la
pronuncia da lui emessa deve sussistere un rapporto causale tale che senza
l’errore la pronuncia medesima sarebbe stata diversa) e deve risultare sulla
sola base della sentenza, nel senso che in essa sussista una rappresentazione

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complementarietà, sono fondati.

della realtà in contrasto con gli atti e i documenti processuali regolarmente
depositati (v. Cass. n. 75/99).
3.1.1. – Contrariamente a quanto supposto nella sentenza impugnata, la
revocazione ai sensi dell’art. 395, n. 4 c.p.c. è esperibile non soltanto

precedenti di questa S.C. sulla differenza tra errore revocatorio ed errore
motivazionale, quest’ultimo censurabile in sede di legittimità ai sensi del n. 5
dell’art. 360 c.p.c., non autorizzano a ritenere che, sostituito all’errore di
valutazione logico-giuridica il suo contrario, vale a dire l’errore di tipo
percettivo, le suddette previsioni normative siano fra loro perfettamente
simmetriche; e che dunque l’ambito applicativo dell’una abbia un’estensione
pari a quello dell’altra. La falsa rappresentazione in cui si sostanzia l’errore
revocatorio può avere ad oggetto tanto un fatto sostanziale quanto un fatto
processuale, cioè tanto il dato storico quanto l’atto che lo immette all’interno
del processo. Relativamente ad un documento, l’errore può riguardare,
pertanto, il suo contenuto dichiarativo (fatto sostanziale) ovvero la sua
avvenuta produzione in giudizio secondo le norme di rito (fatto processuale).
Che la revocazione possa riguardare anche l’errore sul fatto processuale è,
del resto, conclamato dalla giurisprudenza di questa Corte sulla revocazione
della sentenza chz (senza una previa attività valutativa di supporto al proprio
assunto) abbia erroneamente affermato o escluso la proposizione di una
domanda giudiziale (cfr. Cass. nn. 27555/11 e 12958/11).
3.1.2. – Per assumere carattere revocatorio l’errore di fatto deve essere,
altresì, decisivo. Tale requisito ricorre — e si passa così ad esaminare il
secondo errore di diritto in cui è incorsa la sentenza impugnata — allorché vi
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nell’ipotesi di errore ricadente su di un fatto sostanziale. I numerosi

sia un necessario nesso di causalità tra l’erronea supposizione e la decisione
resa (cfr. Cass. n. 11657/06); nesso che deve risultare sulla base della sola
sentenza nel senso che in essa sussista una rappresentazione della realtà in
contrasto con gli atti e i documenti processuali regolarmente depositati (v.

giuridico, ché non si tratta di stabilire se il giudice autore del provvedimento
da revocare si sarebbe, in concreto, determinato in maniera diversa ove non
avesse commesso l’errore di fatto, bensì di stabilire se la decisione della causa
avrebbe dovuto essere diversa, in mancanza di quell’errore, per necessità,
appunto, logico-giuridica (Cass. n. 3935/09; cfr. anche Cass. n. 6367/96 che
parla di “causalità necessaria”).
3.2. – Nel caso specifico, la Corte territoriale, “anche a prescindere da ogni
valutazione sulla effettiva presenza agli atti dei documenti prodotti” (v. pag.
10 sentenza impugnata), ha ritenuto che il fatto decisivo da cui era dipesa la
decisione della causa non era costituito dall’avvenuta produzione dei
documenti in questione, ma dalla circostanza che l’intera progettazione
espressa dalla combinazione delle tredici tavole allegate non si presentava
come un progetto esecutivo. Conclusione negativa, questa, che secondo il
giudice della revocazione non si sarebbe necessariamente e pacificamente
trasformata in positiva per la sola presenza dei documenti ritenuti non
prodotti, “senza la necessità di un’attività di valutazione e di interpretazione
del loro contenuto”, che sarebbe stato “certamente inammissibile compiere in
(…) sede rescindente”.
3.2.1. – Il ragionamento svolto dalla Corte milanese non è corretto sotto
due profili, perché ha finito per confondere il “fatto” oggetto dell’errore con la
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Cass. n. 75/99). Tale causalità va intesa in senso non già storico ma logico-

ratio decidendi della sentenza revocanda, e il requisito di decisività con
l’attitudine dei documenti non esaminati a invertire l’esito della lite.
Così procedendo, la Corte distrettuale ha operato un controllo diverso da
quello imposto dall’art. 395, n. 4 c.p.c., parificandolo impropriamente a quello

documento non considerato nella sentenza di merito ma non per questo dato
per assente agli atti. Non solo, ma non si è avveduta di un vero e proprio
cortocircuito logico-giuridico, reso dalla conclusione per cui sarebbe
revocatorio solo l’errore la cui dimostrazione coincida con un nuovo esame di
merito favorevole alla parte impugnante. Ne risulta inammissibilmente
soppressa la distinzione logico-giuridica fra giudizio rescindente e giudizio
rescissorio, ché il ragionamento operato dalla Corte lombarda condurrebbe a
sovrapporre di necessità l’uno con l’altro. Per contro, la fase rescissoria del
giudizio per revocazione può essere contestuale a quella rescindente (v. Cass.
nn. 2105/87 e 3961/76), ma non per questo vi si identifica, né in senso logicogiuridico né in s enso temporale.
4. – Pertanto e conclusivamente va affermato ex art. 384, 10 comma c.p.c. il
seguente principio di diritto, cui si atterrà il giudice di rinvio, che si designa in
altra sezione della Corte d’appello di Milano: “nella fase rescindente del
giudizio di revocazione, il giudice, una volta verificato l’errore di fatto
(sostanziale o processuale) esposto ai sensi del n. 4 dell’art. 395 c.p.c., deve
valutarne la decisività a stregua del solo contenuto della sentenza impugnata,
vale a dire operando un ragionamento di tipo controfattuale che, sostituita
mentalmente l’affermazione errata con quella esatta, provi la resistenza della
decisione stessa; ove tale accertamento dia esito negativo, nel senso che la
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che il giudice di legittimità compie, ex art. 360, n. 5 c.p.c., sulla decisività del

sentenza impugnata risulti in tal modo priva della sua base logico-giuridica,
deve procedere alla fase rescissoria attraverso un rinnovato esame del merito
della controversia, che tenga conto dell’effettuato emendamento”.
4.1. – Al giudice di rinvio si rimette, ai sensi dell’art. 385, 3 0 comma c.p.c.,

P. Q. M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata con rinvio ad
altra sezione della Corte d’appello dì Milano, che provvederà anche sulle
spese di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile
della Corte Suprema di Cassazione, 1’8.1.2014.

anche la pronuncia sulle spese di cassazione.

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