Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6881 del 08/04/2016


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 6881 Anno 2016
Presidente: CIRILLO ETTORE
Relatore: MARULLI MARCO

SENTENZA
sul ricorso 8190-2012 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente 2016
390

contro

FILOTEI GROUP SRL in persona dell’Amm.re Unico,
elettivamente domiciliato in ROMA VIA CRESCENZIO 20,
presso lo studio dell’avvocato CESARE PERSICHELLI, che
lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato
MICAELA GIRARDI giusta delega in calce;

Data pubblicazione: 08/04/2016

- controricorrente

avverso la sentenza n. 1/2011 della COMM.TRIB.REG. di
ANCONA, depositata il 10/02/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 03/02/2016 dal Consigliere Dott. MARCO

udito per il controricorrente l’Avvocato GIRARDI LUIGI
per delega dell’Avvocato GIRARDI MICAELA che ha
chiesto l’inammissibilità o rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUIGI CUOMO che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

MARULLI;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. L’Agenzia delle Entrate ricorre per cassazione avverso l’epigrafata sentenza
della CTR Marche che, in accoglimento dell’appello della contribuente Filotei
Group s.r.l. ed in riforma della decisione di primo grado, ha giudicato

reddito d’impresa dichiarato per l’anno 2006.
La CTR, motivando l’accoglimento del gravame, ha in dettaglio affermato,
quanto alle note di credito per premi alla clientela, che il “rilievo non ha
procurato alcun danno all’erario”; quanto alle note di credito a clienti
irregolari, che, in disparte dalla loro accettazione da parte dell’ufficio in sede
di adesione, la circostanza che esse non rechino il numero della fattura a cui si
riferiscono, “non fa venire meno la motivazione per cui sono state emesse,
cioè la regolarizzazione della contabilità sociale”; quanto ai costi indeducibili
per difetto di documentazione, che, riferendosi essi alla spesa per il gasolio
destinato all’alimentazione di un generatore di corrente, “non si è potuto
compilare la scheda carburanti”, essendo necessaria a questo fine l’indicazione
della targa; quanto ai costi relativi alle spese per ristoranti et similia, che “le
stesse debbono essere considerate deducibili” in ragione della struttura
unipersonale della società, che dispensa da un formale conferimento di
incarico; quanto ai canoni di leasing, riferendosi essi ad un autocarro, che si
tratta di “un’attrezzatura più specifica ai fini produttivi della società”; e quanto
infine all’errata determinazione dell’aliquota IVA sulla vendita di alcuni
prodotti a base di ortaggi, che è “corretta l’applicazione dell’aliquota del 4%”.
Il mezzo ora proposto dall’Agenzia ricorrente si vale di tre motivi.
Resiste con controricorso la parte.
MOTIVI DELLA DECISIONE
2.1. Con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia deduce per gli effetti dell’art.
360, comma primo, n. 4, c.p.c. la nullità dell’impugnata sentenza attesa, sotto
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Cons. E

infondata la ripresa a tassazione di alcuni costi dedotti dalla parte dal proprio

un primo profilo, l’inammissibilità del proposto atto di gravame per difetto di
specificità dei motivi, avendo controparte, come già evidenziato dall’ufficio
nelle proprie controdeduzioni, riproposto pedissequamente le doglianze
esposte in ricorso addirittura con l’utilizzo delle medesime frasi ed espressioni,

omessa pronuncia, avendo la CTR omesso di pronunciarsi sull’eccezione di
giudicato che l’ufficio aveva opposto in relazione al capo della decisione di
primo grado non oggetto di impugnazione.
2.2.1. La prima censura espressa con il motivo in esame è infondata.
2.2.2. Invero, ricordato che l’art. 53 Dig. 546/92 sotto la rubrica “Forma
dell’appello” recita espressamente al primo comma, sul filo della
corrispondente previsione recata dall’art. 342 c.p.c. nel testo risultante dall’art.
50 L. 26 novembre 1990 n. 353, e prima dell’ulteriore modifica di cui all’art.
54, comma 1, lett. a), D.L. 22 giugno 2012 n. 83, convertito in L. 7 agosto
2012 n. 134, che “il ricorso in appello contiene l’indicazione della
commissione tributaria a cui è diretto, dell’appellante e delle altre parti nei cui
confronti è proposto, gli estremi della sentenza impugnata, l’esposizione
sommaria dei fatti, l’oggetto della domanda ed i motivi specifici
dell’impugnazione. Il ricorso in appello è inammissibile se manca o è
assolutamente incerto uno degli elementi sopra indicati o se non è sottoscritto
a norma dell’art. 18, comma 3”, è noto che secondo questa Corte i motivi di
appello, che possono essere espressi anche in forma sintetica o concisa,
possono definirsi specifici quando alle argomentazioni svolte nella sentenza
vengano contrapposte argomentazioni dell’appellante volte ad incrinare il
fondamento logico-giuridico delle prime e tale criterio può ritenersi
soddisfatto quando in base ad un giudizio ex ante l’eventuale fondatezza
dell’argomentazione priverebbe di base logica la sentenza (3200/15; 22781/14;
15936/03). Più in dettaglio si osserva che “nell’atto di appello, ossia nell’atto
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Cons.

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nonché, sotto un secondo profilo, la ricorrenza nella specie di un vizio di

che, fissando i limiti della controversia in sede di gravame consuma il diritto
potestativo di impugnazione, alla parte volitiva deve sempre accompagnarsi, a
pena di inammissibilità del gravame, rilevabile d’ufficio e non sanabile per
effetto dell’attività difensiva della controparte, una parte argomentativa che

sufficiente che l’atto di appello consenta di individuare le statuizioni
concretamente impugnate, ma è altresì necessario, pur quando la sentenza di
primo grado sia censurata nella sua interezza, che le ragioni sulle quali si
fonda il gravame siano esposte con sufficiente grado di specificità da
correlare, peraltro, con la motivazione della sentenza impugnata” (23553/14;
12801/14; 8771/10). Questo tuttavia non esclude, come hanno precisato le
SS.UU. (28057/08), che le ragioni dell’appello possono sostanziarsi anche
nella prospettazione delle medesime ragioni addotte nel giudizio di primo
grado, a condizione però che “ciò determini una critica adeguata e specifica
della decisione impugnata e consenta al giudice del gravame di percepire con
certezza il contenuto delle censure, in riferimento alle statuizioni adottate dal
primo giudice”.
2.2.3. Ora, come il resistente si dà precipuamente cura di rammentare nel
controricorso, la riproposizione in sede di appello dei medesimi motivi fatti
valere con il ricorso di prima istanza era diretta conseguenza del rigetto di essi
pronunciato dal giudice di primo grado, di talchè, oltre a correlarsi
logicamente con il dictum adottato in quella sede, la loro riproposizione, in
guisa di rinnovata confutazione della pretesa e, rifiessamente, delle ragioni che
avevano indotto il primo giudice, rigettando il ricorso, a confermarne la
legittimità, era propriamente intesa a contestare il fondamento giuridico della
decisione impugnata, soddisfacendo in tal modo puntualmente il requisito in
questione.
Ne deriva perciò l’inconsistenza dell’addebito che si muove in parte qua
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confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, al qual fine non è

all’impugnata sentenza.
2.3.1. La seconda censura condensata nel motivo in disamina si espone ad un
preliminare rilievo di inamissibilità per difetto di autosufficienza.
2.3.2. E’ noto infatti, secondo un consolidato insegnamento di diritto vivente,

le istanze asseritamente inevase, “siano riportate puntualmente, nei loro esatti
termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, nel
ricorso per cassazione, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo
e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde
consentire al giudice di verificarne ‘in primis’, la ritualità e la tempestività ed,
in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi” (26070/15;
25404/15; 15367/14).
2.3.3. Nella specie, l’Agenzia ricorrrente, pur lamentando un vizio di omessa
pronuncia in capo alla sentenza in esame in ordine all’eccezione di giudicato,
ha omesso tuttavia di dare di essa una compiuta rappresentazione, limitandosi
a denunciare il vizio senza tuttavia indicare in che termini il giudice territoriale
fosse stato sollecitato all’adozione della pronuncia asseritamente omessa ed in
pari tempo in quale specifico luogo processuale la detta eccezione fosse stata
portata al suo esame.
E dunque anche sotto questo aspetto il motivo non merita alcuna adesione.
3.1. Il secondo motivo del ricorso erariale si sofferma a rilevare ai sensi
dell’art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c., l’errore di diritto consumato dal
giudice d’appello, che, pronunciandosi nel merito delle singole riprese nei
riferiti termini, ha violato, nell’ordine, l’art. 109, primo comma, Tuir ovvero
“il principio della competenza economica” in relazione alle note di credito per
premi alla clientela; l’art. 26 D.P.R. 633/72, in quanto nelle note di credito per
regolarizzare la contabilità “non è stato riportato il benché minimo riferimento
alle fatture che si intendevano annullare”; l’art. 21 D.P.R. 633/72, in qu nto, in
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Con

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che ai fini della configurazione del vizio denunciato è, tra l’altro, richiesto che

merito alle spese di gasolio, “la norma in parola impone che i documenti di
costo siano dotati di un contenuto minimo in questo caso mancante”; l’art. 108,
comma secondo, Tuir, in relazione alle spese di ristorazione et similia,
risultando “la documentazione prodotta dalla parte insufficiente”, non

alla società; l’art. 164, comma primo, lett. b), Tuir, in relazione ai canoni di
lesasing, dal momento che la statuizione pronunciata nell’occasione, laddove
non ha tenuto conto dei limiti di deducibilità imposti dalla norma richiamata,
“è evidentemente svincolata da qualsiasi riferimento giuridico”.
3.2.1. La prima (imputazione delle note di credito in violazione del principio
di competenza) e la seconda censura (redazione delle note di credito in
violazione dei requisiti di legge) espresse con il motivo in esame sono
entrambe fondate.
3.2.2. In ragione della loro natura di costo indiretto le note di credito ricadono
tra le componenti negative che concorrono alla formazione del reddito di
impresa, sicché, coerentemente con il principio di competenza stabilito dall’art.
109, comma primo, Tuir, la loro imputazione al conto economico non è
rimessa alla libera discrezionalità della parte, ma deve uniformarsi al detto
principio ed è perciò è conseguentemente errata la impugnata statuizione che
ha reputato invece legittima la deduzione nell’anno di contestazione (2006) di
note di credito venuta ad esistenza l’anno precedente (2005).
3.2.3. Parimenti, quanto alla seconda censura, va qui ribadito a conforto della
ritenuta illegittimità della statuizione impugnata — come questa Corte ha già
avuto occasione di affermare — che “ai sensi del combinato disposto dei
commi secondo e terzo dell’art. 26 d.P.R. 633/1972, il soggetto passivo
dell’IVA, che abbia rilasciato note di credito, è vincolato, ove desideri
avvalersi della riduzione normativamente prevista, a preordinare, in sede di
registrazione delle operazioni, la prova che la riduzione si reali zi entro un
,

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riportando le ricevute esibite il nome dei fruitori, ma la generica intestazione

anno dall’effettuazione dell’operazione imponibile. Tale prova può
legittimamente essere fornita soltanto attraverso l’indicazione di quei dati che
risultino idonei a collegare le due operazioni — essendo lo scopo perseguito
dalla legge quello di impedire pericolose forme di elusione degli obblighi del

immodificabilità, sia unilaterale, sia concordata tra le parti, delle registrazioni
obbligatorie, fatto salvo il caso di successive variazioni dell’imponibile o
dell’imposta, ex art. 26 citato — mercé dimostrazione, da parte del contribuente,
dell’identità tra l’oggetto della fattura e della registrazione originarie, da un
canto, e l’oggetto della registrazione della variazione, dall’altro, si da palesare
inequivocabilmente la corrispondenza tra i due atti contabili” (9188/01).
3.3. La terza (indeducibilità delle spese di gasolio) e la quarta censura
(indeducibilità delle spese di ristorazione et simil(a), espresse sempre con il
secondo motivo di ricorso, sono affette da pregiudiziale inammissibilità per
difetto di autosufficienza.
Ricordato che alla stregua del detto principio, di cui è espressione l’art. 366,
comma primo, n. 6, c.p.c. la redazione del ricorso per cassazione deve
racchiudere in s‘ tutti gli elementi di cognizione che consentano alla Corte di
poter adempiere l’ufficio decisionale ex actis senza la necessità di procedere
alla consultazione del fascicolo processuale e senza perciò operare alcuna
selezione inerpretativa del materiale conoscitivo che in essi vi è riversato, non
si può qui non rilevare che l’illustrazione di entrambe lagnanze si riveli
generica ed obiettivamente lacunosa, non riproducendosi neppure
sinteticamente il contenuto delle fatture oggetto di contestazione.
3.4. La quinta censura (indeducibilità del canoni di leasing) è fondata e merita
perciò di essere accolta.
Invero l’art. 35, comma 11, d.l. 223/06 convertito in 1. 248/06

con

decorrenza dall’anno di imposta in contestazione .ffligm25)’ — ha pii-evisto
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contribuente, ed essendo tale scopo perseguibile attraverso il principio di

l’estensione del regime di deducibilità stabilito dall’art. 164 Tuir per le spese e
e gli altri componenti negativi relativi ai mezzi di trasporto a motore utilizzati
nell’esercizio di imprese, arti e professioni ai c.d. finti autocarri, stabilendo
testualmente che “al fine di contrastare gli abusi delle disposizioni fiscali

dell’Agenzia delle entrate, sentito il Dipartimento per i trasporti terrestri del
Ministero dei trasporti, sono individuati i veicoli che, a prescindere dalla
categoria di omologazione, risultano da adattamenti che non ne impediscono
l’utilizzo per il trasporto privato di persone. I suddetti veicoli devono essere
assoggettati al regime proprio degli autoveicoli di cui al comma 1, lettera b),
dell’articolo 164 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del
Presidente delle Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 ai fini delle imposte
dirette, e al comma 1, lettera c), dell’articolo 19-bis I del decreto del Presidente
delle Repubblica n. 633 del 1972, ai fini dell’imposta sul valore aggiunto”.
Poiché l’art. 164, nella disposizione richiamata, adotta un regime di speciali
limitazioni ai fini della deducibilità delle spese concernenti determinate
categorie di veicoli utilizzati quali beni strumentali nell’esercizio delle attività
di impresa e delle attività professionali (“Le spese e gli altri componenti
negativi relativi ai mezzi di trasporto a motore utilizzati nell’esercizio di
imprese, arti e professioni, ai fini della determinazione dei relativi redditi sono
deducibili secondo i seguenti criteri: … b) nella misura del 50 per cento …”}
ne discende che è manifestamente errato il diverso convincimento fatto
proprio dal giudice d’appello con la statuizione qui censurata, in quanto la
deducibilità delle spese relative al veicolo in questione, rientrando esso nella
categoria dei finti autocarri, non è consentita per l’intero ma solo nei limiti
richiamati dal citato art. 35, comma 11, di. 223/06.
4.1. Il terzo motivo del ricorso erariale evidenzia ai sensi dell’art. 360, comma
primo, n. 5, c.p.c. vizio di motivazione, sotto il profilo nella specie
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disciplinanti il settore dei veicoli, con provvedimento del Direttore

dell’insufficienza di quella adottata dal decidente, posto, nell’ordine, che,
quanto alle note di credito per premi alla clientela, “i giudici hanno risolto in
modo assolutamente semplicistico la questione”; che, quanto alle note di
credito per regolarizzare la contabilità, la CTR è incorsa in un “travisamento

è addirittura falsa”; che, quanto ai costi per gasolio, non si dà conto “dell’iter
logico-giuridico percorso né degli elementi valutati per giungere alla
decisione”; che, quanto alle spese di ristorazione et similia, “nulla rileva il
fatto che la società sia unipersonale qualora non sia possibile risalire
all’identificazione di chi abbia fruito dei servizi in questione e a quale titolo
l’abbia fatto”; che, quanto ai canoni di leasing, sono state “completamente”
ignorate le deduzioni dell’ufficio in ordine alle restrizioni intervenute in
materia; che, quanto infine alla determinazione dell’aliquota, “non viene data
la benché minima spiegazione dei motivi che hanno indotto la Commissione a
ritenere applicabile l’aliquota del 4% anziché quella del 20%”.
4.2. La prima (insufficiente motivazione in ordine alla riconosciuta
deducibilità delle note per premi alla clientela) e la seconda censura
(insufficiente motivazione in ordine alla riconosciuta deducibilità delle note di
credito emesse per regolarizzare la contabilità) formulate con il motivo in
disamina riproducono sotto il profilo del vizio motivazionale le medesime
censure espresse in diritto con il secondo motivo di ricorso, di modo che
l’accoglimento di esse che si è decretato in quella sede solleva dal loro esame,
per cui se ne può dichiarare l’assorbimento.
4.3. La terza (insufficiente motivazione in ()ridile alla riconosciuta deducibilità
delle spese di gasolio) e la quarta censura (insufficiente motivazione in oridne
alla riconosciuta deducibilità delle spese di ristorazione et similia), oggetto
sempre di rilievo con il motivo in esame, sono infondate posto che,
configurandosi il denunciato vizio quando nel ragionamento del giudice di
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dei fatti … visto che l’affermazione per cui l’ufficio avrebbe accettato tali note

merito sia evidenziabile una lacuna nel iter logico-giuridico che lo ha condotto
alla decisione, nella specie l’approdo fatto segnare dalla sentenza impugnata in
relazione ad entrambe le pretese è immune da vizi quanto al suo sviluppo
argomentativo, articolandosi in modo coerente rispetto alle rilevate premesse

4.4. Anche la quinta censura (insufficiente motivazione in ordine alla
riconosciuta deducibilità dei canoni di leasing) riproduce la medesima
doglianza sollevata in punto di diritto con il secondo motivo di ricorso, sicché,
analogamente a quanto già si è detto in relazione alla prima e alla seconda
censura del motivo in esame, l’accoglimento decretato in quella sede ne
comporta l’assorbimento.
4.5. La sesta censura (insufficiente motivazione in ordine all’applicazione
dell’aliquota del 4% in luogo dell’aliquota ordinaria) è fondata, poiché, tenuto
conto di quanto già si è innanzi osservato riguardo alla configurabilità del
denunciato vizio motivazionale, la motivazione sviluppata dalla CTR sul
punto è frutto di un ragionamento apodittico e puramente assertivo, privo di
ogni pur minima rappresentazione del percorso logico-giuridico che ha
condotto il decidente ad assumere la statuizione impugnata.
5. Il ricorso va dunque accolto nei limiti anzidetti e, cassata la sentenza, la
causa andrà rinviata al giudice territoriale per il doveroso riesame.
PQM
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il primo motivo di ricorso; accoglie la prima, la seconda e la quinta
censura del secondo motivo di ricorso e rigetta le restanti; dichiara assorbite la
prima, la seconda e la quinta censura del terzo motivo, accoglie la sesta e
rigetta le restanti; cassa nei limiti delle cesure accolte l’impugnata sentenza e
rinvia avanti alla CTR Marche che, in altra composizione, provvederà pure
alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
RG 8190/12 Ag. Entrate-Fiiotei

Cons.

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di fatto e risultando perciò immune da un vulnus motivazionale.

Cosi deciso in Roma nella camera di consiglio della V sezione civile il giorno
3.2.2016
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