Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 688 del 15/01/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 688 Anno 2014
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: BANDINI GIANFRANCO

SENTENZA

sul ricorso 28603-2008 proposto da:
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE
C.F. 80078750587, in persona del legale rappresentante
pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
0G-C(74′(4e
Centrale
l’Avvocatura
presso
dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati
2013
3159

RICCIO ALESSANDRO e LANZETTA ELISABETTA, giusta delega
in atti;
– ricorrente contro

GOLDONI VINCENZA, SESSAREGO MARINA, CALLEJA ANNAMARIA,

Data pubblicazione: 15/01/2014

PEDEMONTE ANTONELLA;
– intimate –

avverso la sentenza n. 1127/2007 della CORTE D’APPELLO
di GENOVA, depositata il 26/11/2007 r.g.n. 40610(
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
del

07/11/2013

dal

Consigliere

Dott.

GIANFRANCO BANDINI;
udito l’Avvocato LANZETTA ELISABETTA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FRANCESCA CERONI, che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

udienza

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Goldoni Vincenza, Calleja Anna Maria, Pedemonte Antonella e

per sentirlo condannare al pagamento dei compensi incentivanti di
cui all’art. 18 legge n. 88/89, anche per le giornate nelle quali
avevano fruito dei permessi per assistenza a persone con handicap
ex art. 33, comma 3, legge n. 104/92.
Il Giudice adito accolse la domanda e la Corte d’Appello di Genova,
con sentenza del 19.10 – 28.11.2007, rigettò il gravame dell’Istituto.
A sostegno del decisum la Corte territoriale, per ciò che ancora qui
rileva, osservò quanto segue:
– in base alla normativa di riferimento doveva ritenersi che i riposi
ex legge n. 104/92 erano equiparati ai riposi per le lavoratrici madri
e, come gli stessi, erano considerati ore lavorative a tutti gli effetti,
ciò che significava che il trattamento da corrispondere in relazione a
tali permessi doveva essere esattamente quello che veniva
corrisposto in caso di effettiva prestazione lavorativa;
– alla luce di tale assetto normativo di piena equiparazione fra i
permessi ex legge n. 104/92 e quelli per le lavoratrici madri, i quali
ultimi comportavano il diritto ad una indennità corrispondente
esattamente alla retribuzione corrisposta per l’effettiva prestazione
lavorativa, non rilevava la circostanza che il CCNL per il periodo
normativo 1994-97, che oltretutto non aveva disciplinato i permessi
incentivanti di cui alla legge n. 88/89, nulla avesse disposto per i

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Sessarego Marina, dipendenti lnps, convennero in giudizio I”Istituto

permessi anzidetti, ma che lo avesse fatto solo nel 2003, non
potendosi interpretare il silenzio sul punto come eventuale, ma non

– né risultava esistente, non avendone l’Inps mai fatto produzione,
alcuna contrattazione articolata dell’Ente, delegata dall’art. 18 legge
n. 88/89 a disciplinare l’erogazione dei compensi incentivanti, dalla
quale, fatto comunque salvo quanto già osservato, potesse trovare
conferma l’assunto dell’Istituto secondo il quale i compensi
incentivanti de quibus avrebbero dovuto essere corrisposti solo per
le ore effettivamente lavorate.
Awerso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, l’Inps ha
proposto ricorso per cassazione fondato su un motivo.
Le intimate Goldoni Vincenza, Calleja Anna Maria, Pedemonte
Antonella e Sessarego Marina non hanno svolto attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, denunciando violazione di plurime norme di
legge, il ricorrente, richiamata la normativa di riferimento, osserva
che, nel settore privato, i permessi per assistere parenti entro il
quarto grado comportano la riduzione delle ferie e della tredicesima
mensilità, nonché danno diritto al riconoscimento della contribuzione
figurativa, mentre nel settore pubblico nessuna decurtazione avviene
a seguito della fruizione dei permessi in parola e la contribuzione
versata è quella effettiva; sulla base di tali considerazioni deduce

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consentita, deroga al quadro normativo;

l’erroneità della pronuncia impugnata per non avere la Corte
territoriale tenuto conto di tali peculiarità proprie del settore pubblico.

periodo, legge n. 104/92 e successive modifiche, “A condizione che

la persona handicappata non sia ricoverata a tempo pieno, il
lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con
handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il
secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il
coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano
compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti
da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti, ha diritto a
fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da
contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa”; il successivo
comma 4 prevede poi che “Ai permessi di cui ai commi 2 e 3, che si

cumulano con quelli previsti all’art. 7 della citata legge n. 1204 del
1971, si applicano le disposizioni di cui all’ultimo comma del
medesimo art. 7 della legge n. 1204 del 1971, nonché quelle
contenute negli articoli 7 e 8 della legge 9 dicembre 1977, n. 903”;
sulla base di tale disposto normativo, anche in relazione all’espresso
richiamo fatto all’art. 8 legge n. 903/77 (abrogato dall’art. 86, comma
2, dl.vo n. 151/01, che tuttavia, all’art. 43 riproduce una disposizione
di analogo contenuto), che, ai primi due commi, prevede che per i
riposi di cui all’art. 10 legge n. 1204T71 sia dovuta dall’ente
assicuratore un’indennità pari all’intero ammontare della retribuzione

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1.10sserva la Corte che, a mente dell’art. 33, comma 3, primo

relativa ai riposi medesimi e che tale indennità sia anticipata dal
datore di lavoro e sia poi portata a conguaglio con gli importi

pubblico e privato poste a fondamento del motivo.
Tuttavia l’art. 2, comma 3 ter, di n. 324/93, convertito con
modificazioni in legge n. 423/93, stabilisce che “Al comma 3
dell’articolo 33 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, le parole “hanno
diritto a tre giorni di permesso mensile” devono interpretarsi nel
senso che il permesso mensile deve essere comunque retribuito”; lo

stesso ricorrente osserva, condivisibilmente, che con tale norma di
interpretazione autentica si è voluto chiarire che anche nel settore
pubblico i permessi de quibus dovevano intendersi retribuiti; dal che
derivano però conseguenze del tutto opposte a quelle prospettate
nel ricorso, posto che l’inequivoca previsione dell’obbligo di
retribuzione dei permessi anche per il settore pubblico esclude, per
evidente contrasto con la suddetta portata della norma di
interpretazione autentica, l’interpretazione secondo cui, proprio nel
settore pubblico, dovrebbe essere esclusa la corresponsione della
retribuzione comprensiva dei compensi incentivanti a causa delle
evidenziate differenze rispetto al settore privato.
2. Con il secondo motivo, denunciando violazione di plurime norme

di legge, il ricorrente, sulla premessa che il pagamento dei compensi
incentivanti, corrisposti al personale che partecipa alla elaborazione
e realizzazione dei progetti a termine elaborati dall’Istituto, è disposto

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contributivi dovuti, l’Istituto ricorrente delinea le differenze tra settore

previa valutazione e verifica dei risultati conseguiti (art. 18, comma 3
bis, ultimo capoverso, legge n. 88/89), deduce che i suddetti

per i permessi de quibus, in quanto legati alla singola valutazione
dell’effettivo impegno profuso nel conseguimento degli obiettivi fissati
dall’Ente ed alla verifica dell’effettiva realizzazione dei medesimi
obiettivi.
2.1 Osserva il Collegio che, a mente dell’art. 18, comma 2, legge n.
88189, “Con la contrattazione articolata di ente sono stabiliti i criteri
per la corresponsione, al personale e ai dirigenti che partecipano alla
elaborazione e realizzazione dei progetti di cui al comma 1, di
compensi incentivanti la produttività”; secondo quanto già esposto
nello storico di lite, la Corte territoriale ha dato atto che l’Inps non
aveva prodotto la contrattazione articolata dalla quale dovrebbe
trovare conferma l’assunto secondo cui il compenso in parola
dovrebbe essere corrisposto solo per le ore effettivamente lavorate;
né dell’esistenza di una previsione in tal senso ad opera della
contrattazione articolata il ricorrente fa cenno nel motivo all’esame.
Ne discende che, prevedendo la normativa legale il pagamento dei
compensi incentivanti unicamente “previa valutazione e verifica dei
risultati conseguiti”, risulta privo di base normativa l’assunto del
ricorrente secondo cui tali compensi non dovrebbero essere
corrisposti nei giorni di permesso retribuito di cui all’art. 33, comma
3, legge n. 104/92 e successive modifiche.

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compensi non possono essere ricompresi nella retribuzione dovuta

3. Con il terzo motivo, denunciando plurime violazione di norme di
accordo collettivo e di legge, il ricorrente deduce che il CCNL 1994-

permessi retribuiti di cui all’art. 33, comma 3, legge n. 104/92, non
conteneva, a differenza di quanto stabilito per l’astensione dal lavoro
delle lavoratrici madri, alcuna disposizione volta al riconoscimento
del diritto alla corresponsione dei compensi incentivanti per le
giornate di fruizione di tali permessi; soltanto nell’accordo collettivo
del 3.4.2003, dopo che il CCNL 1998-2001 aveva inserito nella
struttura della retribuzione anche i compensi incentivanti, era stato
concordato che in permessi in parola fossero equiparati al servizio
espressamente prestato con decorrenza dal 1 0 .1.2003; ne deduce
che le le parti collettive non avevano voluto inserire, prima di tale
data, nel computo della retribuzione dovuta ai dipendenti in
permesso ai sensi dell’art. 33, comma 3, legge n. 104/92 i compensi
incentivanti per cui è causa.
3.111 motivo presenta profili di inammissibilità per violazione del
principio di autosufficienza, non essendo stato specificato in ricorso il
periodo di tempo durante il quale si è verificata la fruizione dei
permessi ex art. 33, comma 3, legge n. 104/92 in relazione ai quali h
.

Mliè stata richiesto il pagamento dei compensi incentivanti e non
essendo stato riportato il testo dell’accordo integrativo del 3.4.2003
(che peraltro, come già rilevato dalla Corte territoriale, neppure
risulta essere stato prodotto).

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97, pur avendo richiamato all’art. 19, comma 6, ma ad altri fini, i

3.2 Per completezza di motivazione deve comunque rilevarsi altresì
l’infondatezza della doglianza.

svolte nella disamina dei precedenti motivi, legislativamente conduce
alla ricomprensione anche dei compensi de quibus nella retribuzione
relativa ai giorni di fruizione dei permessi, il silenzio al riguardo del
CCNL 1994-97 non può valere ad escludere dalla retribuzione (e,
quindi, dal pagamento) tali compensi.
Né va dimenticato che comunque la stessa contrattazione collettiva,
con il CCNL 1998-2001, ha espressamente indicato i compensi
incentivanti nella struttura della retribuzione (cfr, art. 28, comma 1,
lett. e) e che sempre il medesimo contratto collettivo, disciplinando il
trattamento economico-normativo del personale a tempo parziale
(che, per definizione, svolge la propria prestazione lavorativa in
orario inferiore a quella dei dipendenti a tempo pieno), ha previsto
che i trattamenti accessori collegati al raggiungimento di obiettivi o
alla realizzazione di progetti (fra i quali, come si è detto, rientrano i
compensi incentivanti de quibus) sono applicati a quei dipendenti “…

anche in misura non frazionata o non direttamente proporzionale al
regime orario adottato”

(cfr, art. 23, comma 5), con ciò

implicitamente riconoscendo che la “previa valutazione e verifica dei

risultati conseguiti” richiesta dalla legge non è limitata al numero
delle ore o dei giorni effettivamente lavorati.
4. In definitiva il ricorso va rigettato.

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Infatti, a fronte di un quadro normativo che, giusta le considerazioni

Non è luogo a provvedere sulle spese, in difetto di attività difensiva
delle parti intimate.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.
Così deciso in Roma il 7 novembre 2013.

P. Q. M.

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