Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6879 del 24/03/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 6879 Anno 2014
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: FALASCHI MILENA

Risoluzione —
Interpretazione Risarcimento

SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 5588/08) proposto da:
IMPRESA EDILE VILLARBOITO GEOM. PIERO, in persona del legale rappresentante pro
tempore, rappresentata e difesa, in forza di procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv.to Prof.
Luigi Paolo Comoglio del foro di Vercelli e dall’Avv.to Mario Menghini del foro di Roma, domiciliata
presso la cancelleria della Corte di Cassazione in Roma, piazza Cavour n. 1;
– ricorrente é

contro
FALEGNAMERIA BRUNERO DI BRUNERO ROBERTO, in persona dell’omonimo titolare,
rappresentata e difesa dall’Avv.to Giovanni Carecchio del foro di Vercelli, in virtù di procura
speciale apposta in calce al controricorso, ed elettivamente domiciliata presso lo studio
dell’Avv.to Alessandra Gallini in Roma, via Vestricio Spurinna n. 105;

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Data pubblicazione: 24/03/2014

- controricorrente e contro
VILCO s.r.l. in liquidazione, in persona del liquidatore pro tempore, rappresentata e difesa in
appello dall’Avv.to Alberto Villarboito e domiciliata presso il suo studio in Torino, Corso Vinzaglio

– intimata avverso la sentenza della Corte d’appello di Torino n. 341 depositata il 5 marzo 2007.
Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 3 dicembre 2013 dal
Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;
uditi gli Avv.ti Cinzia De Micheli (con delega dell’Avv.to Luigi Paolo Comoglio), per parte
ricorrente, e Giovanni Carecchio, per parte resistente;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa
Francesca Ceroni, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso, in subordine, per il rigetto.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 30 novembre 1998 Piero VILLARBOITO, quale titolare della
IMPRESA VILLARBOITO geom. Piero, evocava, dinanzi al Tribunale di Vercelli, Roberto
BRUNERO, quale titolare della FALEGNAMERIA BRUNERO, esponendo di avere stipulato, in
data 20.5.1996, con il convenuto contratto di subappalto per la fornitura e posa in opera dei
serramenti interni ed esterni da collocare nel complesso residenziale Residenza del Viale, sito in
Santhià, la cui costruzione era stata appaltata dalla VILCO s.r.l. a parte attrice; aggiungeva di
avere contestato alla parte convenuta la presenza di vizi e di qualità dei lavori eseguiti, sicchè in
data 18.12.1997 avevano stipulato una transazione per la definizione stragiudiziale delle
controversie insorte, decidendo di risolvere il contratto di subappalto, prevedendo all’art. 7 della
medesima scrittura privata la prestazione da parte convenuta di garanzia decennale per i vizi e i

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n. 2;

difetti dei serramenti posati; proseguiva che con lettera del 2.9.1998 aveva segnalato alla
controparte le lamentele degli acquirenti in ordine ai serramenti, invitandola ad eliminare i vizi
riscontrati, difetti meglio precisati con successiva lettera, oltre a contestarne ulteriori, ma la
FALEGNAMERIA BRUNERO rifiutava di provvedervi, comportamento che integrava un grave

condanna della convenuta al risarcimento dei danni.
Instaurato il contraddittorio, nella resistenza della BRUNERO, la quale eccepiva la carenza di
legittimazione dell’attrice a chiedere la risoluzione del contratto di transazione per essere
l’accordo intervenuto fra la VILCO, appaltante principale, il VILLARBOITO, appaltatore e
subappaltante ed il BRUNERO subappaltatore, con il quale si impegnava a prestare garanzia
decennale su eventuali vizi e difetti futuri, riservandosi il VILLARBOITO di non pagare il prezzo
dei serramenti forniti ed installati qualora nelle more delle scadenze fossero insorte gravi
anomalie, con la conseguenza che la risoluzione poteva essere chiesta dalla committente, in
quanto ad ella spettante la garanzia, nonché la inammissibilità dell’azione ex art. 1975 c.c., in
quanto la risoluzione richiesta avrebbe avuto effetti anche nei confronti della VILCO, che nessuna
contestazione aveva mosso, precisato che l’annullamento del contratto di transazione avrebbe
portato le parti nella situazione giuridica precedente, con reviviscenza del contratto di
compravendita del 20.5.1996 e del contratto di fornitura in pari data, eccepiva, altresì, il difetto dei
presupposti di cui all’art. 1670 c.c. per far valere i vizi, oltre a spiegare riconvenzionale per
ottenere la condanna dell’attrice al pagamento di £. 17.000.000, il giudice adito, intervenuta ex
art. 105 c.p.c. la VILCO s.r.l. che si associava alle difese attoree, domandando la risoluzione della
transazione ed il risarcimento dei danni, dopo adeguata trattazione, dichiarava inammissibile
l’intervento, risolveva il contratto di transazione per inadempimento della convenuta,
condannandola al pagamento di €. 29.239,42 a titolo di risarcimento dei danni, rigettate le altre

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inadempimento, per cui chiedeva dichiararsi la risoluzione del contratto di transazione, con

domande attoree; condannava il VILLARBOITO al pagamento a favore del BRUNERO di €.
8.779,77.
In virtù di rituale appello interposto dal BRUNERO, con il quale — articolando sette motivi —
censurava la decisione di primo grado sia per avere ritenuto inammissibile l’intervento ex ad. 167

nonostante gli unici mezzi istruttori ammessi fossero stati dedotti dalla società interveniente, oltre
ad avere dato una erronea interpretazione della garanzia prestata con la clausola di cui all’ad. 7
della transazione, che non era diversa da quella prevista dall’ad. 1667 c.c. e che comunque
doveva ritenersi annullata ex art. 1677 c.c., non sussistente nella specie una tempestiva denuncia
dei vizi alla subappaltatrice, inoltre, non si era tenuto conto che la transazione risolveva non solo il
contratto di subappalto, ma anche di quello di compravendita, per cui riviveva integralmente il
diritto dell’appellante di ottenere il pagamento in contanti del prezzo dei serramenti forniti, la Corte
di appello di Torino, nella resistenza della appellata impresa VILLARBOITO, la quale proponeva
anche appello incidentale, disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti della VILCO,
presentato in sede di costituzione, anche da quest’ultima, appello incidentale, in riforma
dell’impugnata sentenza e in accoglimento dell’appello principale, rigettava la domanda attorea di
risoluzione del contratto di transazione e di risarcimento dei danni, nonché quella riconvenzionale
del BRUNERO.
A sostegno della decisione adottata la corte territoriale — ritenuta la carenza di interesse ad
impugnare la pronuncia di inammissibilità dell’intervento della VILCO s.r.l. e riaffermato il principio
secondo il quale le prove acquisite al processo, una volta ammesse ed espletate giovano a tutte
le parti – evidenziava con riferimento a tutte le altre doglianze che il loro esame poneva la
questione preliminare dell’interpretazione del contratto di transazione del 18.12.1997 stipulato tra
la VILCO s.r.I., il VILLARBOITO ed il BRUNERO in relazione al contenzioso enunciato nella
premessa dell’accordo medesimo. Dal tenore letterale del negozio la code distrettuale traeva il

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c.p.c. e non già ex ad. 105 c.p.c., sia per avere ritenuto provato l’inadempimento dell’appellante,

convincimento che si trattava di atto contenente due distinti contratti: il contratto di compravendita,
stipulato il 20.5.1996 dalla VILCO, quale parte promittente venditrice, ed il BRUNERO, quale
parte promissaria acquirente; il contratto di subappalto stipulato in pari data dall’IMPRESA
VILLARBOITO, subappaltante, ed il BRUNERO, subappaltatore, con sequenza temporale che

subappalto.
Aggiungeva che l’art. 3 del contratto di vendita prevedeva solo una modalità di pagamento del
prezzo, dalchè desumeva essere stata concordata fra le parti contraenti una delegazione di
pagamento ex art. 1269, comma 1, c.c., del tutto atecnicamente denominata ‘compensazione’,
atteso che nulla era dovuto dalla VILCO al BRUNERO, in forza della quale il prezzo del
subappalto concordato fra VILLARBOITO-BRUNERO sarebbe stato versato dal subappaltante
VILLARBOITO alla VILCO quale prezzo di acquisto della unità immobiliare promessa in vendita
da quest’ultima al BRUNERO. Detta modalità di pagamento a mezzo di delegazione in tanto
vigeva fra la VILCO ed il BRUNERO, quale delegante, e la VILLARBOITO, quale delegata, in
quanto il subappalto fosse valido ed efficace. Detto atto risultava sottoscritto dal VILLARBOITO
per accettazione della delegazione, ex art. 1269, comma 2, c.c., per cui ove per qualsiasi ragione
il subappalto fosse venuto meno, dipendendo da esso solo una modalità di soluzione,
l’obbligazione del BRUNERO verso la VILCO restava quella del pagamento del prezzo della
compravendita, contratto quest’ultimo al quale il VILLARBOITO era terzo estraneo, essendosi
obbligato solo, in forza della delegazione, al versamento alla VILCO del prezzo di subappalto,
ovviamente nei limiti in cui esso fosse dovuto al BRUNERO. Coerentemente e simmetricamente a
tale situazione giuridica e di fatto, il contratto del 18.12.1997 conteneva due negozi diversi: il
primo era costituito da un negozio di scioglimento della compravendita per mutuo consenso ex
art. 1372 c.c., con rinunzia ai danni e quale conseguenza, lo scioglimento della compravendita
comportava il venir meno della delegazione di pagamento; il secondo negozio, stipulato fra il

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vedeva concluso prima il subappalto e poi la vendita, giacchè solo la vendita menzionava il

VILLARBOITO ed il BRUNERO, era la vera e propria transazione ex art. 1965 c.c. e concerneva il
subappalto, che si articolava in un negozio di accertamento contenente la determinazione del
prezzo dei lavori eseguiti dall’appellante in £. 197.000.000, la riduzione di detto imposto a £.
180.000.000, la corresponsione del residuo importo, detratto l’acconto corrisposto di E.

mutuo consenso del subappalto, con obbligazione a carico del subappaltatore di eliminare tutti i
vizi dei serramenti installati e già emersi alla data della transazione (clausola contrattuale n. 8),
con assunzione da parte dello stesso subappaltatore della garanzia (clausola contrattuale n. 7),
diversa dagli obblighi di garanzia contrattuale propri dell’appalto, ex artt. 1667 e 1668 c.c., in
conseguenza anche della natura novativa della transazione, ritenuta dal primo giudice e non
oggetto di appello, non sottoposta ai termini decadenziali e prescrizionali previsti dalle norme
invocate. Concludeva che detta garanzia, però, era destinata ad operare solo in relazione a quei
vizi denunciati da ciascun singolo acquirente alla VILCO, da tale società fatti oggetto di rivalsa nei
confronti della VILLARBOITO, che a sua volta fosse intervenuta sostenendo i prezzi di ripristino.
Da ciò discendeva che spettava all’originaria parte attrice l’onere di provare la specifica denunzia
dell’acquirente alla VILCO, dopo il termine del 18.12.1997, della sussistenza del vizio, l’intervento
riparatore, con il conseguente esborso, mentre le circostanze dedotte o documentate attenevano
solo alle lamentele degli acquirenti verso la VILCO, dato di per sé insufficiente per l’accoglimento
della domanda, per cui mancava la prova di un inadempimento rilevante del BRUNERO ex art.
1455 c.c..
Rimaneva superata la domanda riconvenzionale di pagamento del residuo prezzo di E.
17.000.000, non essendo stata pronunciata la risoluzione della transazione.
Per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Torino agisce l’Impresa Edile
VILLARBOITO geom. Pietro, articolando quattro motivi, cui ha replicato con controricorso la

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30.000.000, in tre soluzioni, direttamente dal VILLARBOITO al BRUNERO, lo scioglimento per

FALEGNAMERIA BRUNERO di Roberto Brunero, non anche la VILCO, seppure regolarmente
intimata.

MOTIVI DELLA DECISIONE

dell’art. 342 c.p.c., oltre ad omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa la natura
trilaterale ed unitaria del negozio stipulato con la scrittura del 18.12.1997. In altri termini, viene
denunciata la interpretazione avallata dalla corte di merito della vicenda contrattuale intercorsa
tra le tre parti del giudizio, che risulta avere scisso arbitrariamente in due separate pattuizioni
l’atto di transazione, mentre si è di fronte ad un fenomeno di ‘collegamento negoziale’, che
impedisce di scindere le singole posizioni. Del resto detta natura unitaria e trilaterale del contratto
di transazione non poteva essere messa in discussione dalla corte distrettuale non avendo
formato oggetto di impugnazione da alcuna delle parti, con conseguente formazione di giudicato
interno. A conclusione del mezzo viene posto il seguente quesito di diritto “Dica codesta Ecc.ma
Corte di Cassazione se violi il combinato disposto di cui agli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c. la
decisione della Corte di appello che, pur in assenza di gravame sul punto, interpreti un
determinato accordo in modo del tutto difforme dalla decisione di primo grado, negando in
particolare la natura unitaria, pur se trilaterale, dell’accordo stesso”.
Il motivo, nelle sue articolate censure, è infondato.
Giova invero precisare che non possono trovare ingresso nel giudizio di legittimità le doglianze
sollevate nel ricorso che lamentano una errata lettura e valutazione del materiale probatorio da
parte del giudice di merito, trattandosi di apprezzamenti di fatto incensurabili in cassazione, se
non sotto il profilo della sufficienza e congruità della motivazione. In particolare, appartengono
alla specifica competenza del giudice di merito tanto l’interpretazione del contratto, quanto il
giudizio in ordine alla rilevanza delle prove, sindacabili, in sede di legittimità, il primo, sotto il

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Con il primo motivo parte ricorrente lamenta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e

profilo della applicazione delle regole ermeneutiche stabilite dalla legge, e, entrambi, sotto il
profilo della motivazione.
Tanto precisato, assume il ricorso che la conclusione cui è giunta la Corte territoriale, di negare
carattere unitario all’atto concluso il 18.12.1997 è errata in quanto, pur in mancanza di

BRUNERO in relazione al contenzioso enunciato nella premessa dell’accordo medesimo, tale
invocata qualità, pertanto, risultava impressa per implicito dalla presenza di un collegamento nel
contratto de quo dalle posizioni trilaterali dell’accordo. Aggiunge, altresì, il ricorrente che detta
natura unitaria del contratto di transazione non poteva essere riesaminata dal giudice del
gravame, atteso che su detta statuizione non vi era stata alcuna impugnazione delle parti.
Sul punto può osservarsi che è legittimamente predicabile l’operazione di interpretazione del
Giudice d’appello, il quale può sempre dare al rapporto oggetto della contesa una qualificazione
giuridica diversa da quella data dal giudice di primo grado o prospettata dalle parti, avendo egli il
potere-dovere di inquadrare nell’esatta disciplina giuridica gli atti ed i fatti che formano oggetto
della controversia, anche in mancanza di una specifica impugnazione e indipendentemente dalle
argomentazioni delle parti, purché nell’ambito delle questioni riproposte con il gravame e con il
limite di lasciare inalterati il “petitum” e la “causa petendi” e di non introdurre nel tema
controverso nuovi elementi di fatto (Cass. 23 febbraio 2006 n. 4008; Cass. 25 settembre 1998 n.
9597; anche Cass. 9 giugno 1987 n. 5040).
Corretta appare, altresì, la soluzione della Corte distrettuale che nell’esaminare la complessiva
vicenda contrattuale, che vedeva in origine due distinti contratti, uno di compravendita, stipulato il
20.5.1996 fra la VILCO, quale promittente venditrice, ed il BRUNERO, quale promissario
acquirente, e l’altro di subappalto, concluso in pari data fra l’impresa VILLARBOITO,
subappaltante, ed il BRUNERO, subappaltatore, menzionato solo nella vendita il subappalto, ha
negato rilevanza tecnica alla denominazione ‘compensazione’, contenuta nella vendita, ritenendo

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espressioni contrattuali esplicite, era stato stipulato tra la VILCO s.r.I., il VILLARBOITO ed il

concordata frate parti contraenti una delegazione di pagamento ex art. 1269, comma 1, c.c., atto
sottoscritto dal VILLARBOITO per accettazione della delegazione ex art. 1269, comma 2, c.c., da
cui ha desunto che tra i due contratti — vendita e subappalto — la colleganza costituisse solo una
modalità di soluzione delle obbligazioni assunte, in quanto ciascuna delle parti rimaneva

Coerentemente e simmetricamente a tale situazione giuridica e di fatto, la Corte di merito ha
concluso nel senso che la scrittura del 18.12.1997 conteneva non già una unitaria disciplina,
bensì due diversi negozi.
Ferma la valutazione di fatto operata sul punto dal giudice di merito, quale risultato della attività di
interpretazione del contratto (Cass. n. 14611 del 2005), deve infatti osservarsi, in linea di diritto,
che il collegamento negoziale è fenomeno incidente direttamente sulla causa della operazione
contrattuale che viene posta in essere, risolvendosi in una interdipendenza funzionale dei diversi
atti negoziali rivolta a realizzare una finalità pratica unitaria. Al fine di acquisire autonoma
rilevanza giuridica, specie nel caso in cui le parti contrattuali siano diverse e laddove la
connessione rifletta l’interesse soltanto di uno dei contraenti, è necessario tuttavia che il nesso
teleologico tra i negozi o si traduca nell’inserimento di appropriate clausole di salvaguardia della
parte che vi ha interesse ovvero venga quanto meno esplicitato ed accettato dagli altri contraenti,
in guisa da poter pretendere da essi una condotta orientata al conseguimento dell’utilità pratica
cui mira l’intera operazione. In altri termini, la fattispecie del collegamento negoziale se, da un
lato, è configuratale anche quando i singoli atti siano stipulati tra soggetti diversi, richiede,
dall’altro, pur sempre che i negozi siano concepiti ed accettati come funzionalmente connessi e
tra loro interdipendenti (in questo senso: Cass. n. 18655 del 2004).
La sentenza impugnata ha invece escluso tanto la presenza di clausole contrattuali espressione
della dedotta interdipendenza tra i due contratti, quanto che un tale legame fosse noto e fosse

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obbligata nei limiti di quanto dovuto in forza del contratto che la vedeva contraente.

stato condiviso e fatto proprio dagli altri contraenti. L’affermata inesistenza di questi presupposti
rende la soluzione adottata pienamente condivisibile.
Con il secondo motivo è dedotta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362, 1363
e 1367 c.c., nonché omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione in ordine

18.12.1997 e sulla conseguente errata individuazione dei fatti costitutivi su cui si fonda la
domanda proposta dall’Impresa Villarboito. In altri termini, la corte di merito avrebbe errato
nell’individuare il contenuto dell’obbligazione di garanzia, contenuta nella clausola n. 7 della
transazione, unicamente con la previsione della rifusione dei costi per il ripristino dei serramenti,
senza alcuna obbligazione di facere, volta ad ottenere la riparazione o la sostituzione materiale
dei serramenti, a carico della falegnameria, come emergerebbe dalla clausola n. 8 del contratto.
A corollario dell’illustrazione del motivo viene formulato il seguente quesito di diritto: “Dica codesta
Ecc.ma Corte di Cassazione se violi gli artt. 1362, 1363 e 1366 c.c. l’attribuire natura e contenuto
meramente pecuniario ad un’obbligazione di garanzia relativa ai vizi emersi successivamente alla
stipulazione del contratto, quando, nel medesimo accordo, si prevede che i vizi emersi prima
vengano riparati a regola d’arte”.
Con il terzo motivo è dedotta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362-1367,
nonché dell’art. 2697 c.c., oltre ad omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione a proposito
dell’interpretazione dell’obbligazione di garanzia contenuta nella clausola n. 7 della transazione
del 18.12.1997 e sulla conseguente errata individuazione dei fatti costitutivi della domanda
proposta dall’Impresa Villarboito. In sintesi parte ricorrente lamenta che il giudice del gravame
abbia interpretato l’assunta obbligazione di garanzia attribuendole una arbitraria portata ai costi
necessari per la riparazione, mentre il sorgere della stessa è legata alla sola sussistenza dei vizi
e ciò avrebbe inciso anche sull’erronea applicazione dell’art. 2697 c.c. in tema di riparto
dell’onere della prova. A corollario del mezzo è posto il seguente quesito di diritto: “Dica codesta

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all’interpretazione dell’obbligazione di garanzia contenuta nella clausola n. 7 della transazione del

Ecc.ma Corte di Cassazione se violi gli artt. 1362 e seguenti c.c. l’interpretazione di una
determinata clausola contrattuale che restringa l’applicazione e l’efficacia della stessa rispetto a
quanto risultante dal testo e dall’intenzione delle parti e, in particolare, dica se sia rispettosa di tali
principi l’interpretazione che subordini l’operatività di una obbligazione di garanzia, vincolata

ma all’avvenuto e preventivo esborso dei costi di ripristino”.
“Dica, inoltre, se, ai sensi dell’ad. 2697 c.c., chi agisce per azionare un’obbligazione di garanzia
(subordinata alla sussistenza di vizi e difetti) o, comunque, per farne valere l’inadempimento,
debba allegare e provare unicamente la denuncia dei vizi e la sussistenza dei vizi medesimi”.
Il secondo ed il terzo motivo di ricorso vanno esaminati congiuntamente, in quanto pongono la
medesima questione: l’interpretazione della clausola n. 7 della scrittura del 18.12.1997.
Essi sono infondati.

L’attività interpretativa dei contratti, come è ben noto, è legalmente guidata: art. 1362 del codice
civile e seguenti. Essa è conforme a diritto non già quando ricostruisce con precisione la volontà
delle parti, ma quando segua le regole legali. L’interpretazione del contratto, a sua volta, dal
punto di vista strutturale, si collega anche alla sua qualificazione. La complessa operazione di
interpretazione dei contratti, in definitiva, si articola in fasi diverse: a) la prima, consiste nella
ricerca della comune volontà dei contraenti; b) la seconda, nella individuazione del modello della
fattispecie legale; c) l’ultima, nel giudizio di rilevanza giuridica qualificante gli elementi di fatto
concretamente accertati.

Le ultime due fasi, che sono le sole che si risolvono nell’applicazione di norme di diritto, possono
essere liberamente censurate in sede di legittimità. La prima, invece, configura un tipo di
accertamento che è riservato al giudice di merito, giacché si traduce in un’indagine di fatto a lui
affidata in via esclusiva e, come tale, incensurabile in sede di legittimità se non nelle ipotesi di

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espressamente alla mera sussistenza di vizi o difetti, alla sussistenza non solo di questi ultimi,

motivazione inadeguata o di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui agli
artt. 1362 c.c. e seguenti citati.

Nella fattispecie, l’esistenza di diversi contratti, vendita e subappalto, con previsione di

compravendita e di transazione, quanto al subappalto, è stata accertata dalla Corte di appello. Se
ne ricava che l’effetto estintivo degli obblighi fra la VILCO ed il BRUNERO, ha comportato — in
sede di scioglimento per mutuo consenso – la rideterminazione del prezzo concernente il
subappalto, attraverso negozio di accertamento, quanto ai lavori eseguiti dalla Falegnameria, che
ha stabilito in £. 180.000.000 l’intero corrispettivo, da corrispondersi in tre soluzioni, direttamente
dal VILLAEBOITO al BRUNERO (detratto l’acconto versato), con obbligazione a carico del
subappaltatore di eliminare tutti i vizi dei serramenti installati e già emersi alla data della
transazione (clausola contrattuale n. 8), con assunzione da parte dello stesso subappaltatore di
garanzia (clausola contrattuale n. 7) non sottoposta ai termini decadenziali e prescrizionali
previsti dagli artt. 1667 e 1668 c.c.; in tal senso aveva concluso anche il giudice di prime cure,
non impugnata da alcuna delle parti. Ha aggiunto il Giudice distrettuale che poiché per i vizi già
accertati al tempo della stipula della transazione era previsto il rimborso delle somme necessarie
per eliminare i vizi, in mancanza di previsione diversa, tale disciplina è stata applicata anche ai
vizi rilevati successivamente alla data di conclusione della scrittura de qua; detta interpretazione
del contratto offerta dalla Corte di appello non è illogica.

D’altronde, è appena il caso di sottolineare che è pacifico il principio secondo cui, per sottrarsi al
sindacato di legittimità, quella data dal giudice al contratto non deve essere l’unica
interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili
interpretazioni. Per cui, quando di una clausola contrattuale siano possibili due o più

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delegazione di pagamento, e la stipulazione di convenzioni autonome di scioglimento della

interpretazioni, non è consentito – alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal
giudice di merito – dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra.

Con il quarto motivo viene dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e

posteriorità della scoperta dei vizi rispetto alla transazione e sulla quantificazione del danno. Più
precisamente, parte ricorrente si duole che siano state interpretate in modo assolutamente
illogico ed arbitrario le risultanze dell’istruttoria svolta in primo grado, prescindendo dal tenere
conto che i vizi contestati dall’Impresa Villarboito fossero emersi successivamente alla
stipulazione della transazione del 18.12.1997 e ciò nonostante detto capo della decisione non
abbia formato oggetto di impugnazione, per cui la questione sarebbe coperta da giudicato
interno. A conclusione del motivo viene formulato il seguente quesito di diritto: “Dica codesta

Ecc.ma Corte di Cassazione se violi il combinato disposto di cui agli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c. la
decisione della Corte di appello che ritenga non provata una circostanza (vale a dire, nel caso di
specie, la posteriorità della scoperta dei vizi rispetto alla transazione del 18.12.1997) non
contestata dalle parti in primo grado e, comunque, accertata dalla sentenza di primo grado in un
capo di sentenza non oggetto di impugnazione.”.
Le contestazioni della Impresa ricorrente, come riprodotte, anche a volere superare le
considerazioni sopra svolte, si limitano, a ben vedere, ad una censura generica e meramente
contrappositiva, in assenza di specifiche denuncie di incoerenza, contraddittorietà o insufficienza
della sentenza impugnata.
In conclusione, l’intero ricorso deve essere rigettato. Le spese di questo giudizio sono
poste a carico di parte ricorrente, in base alla regola della soccombenza.

P.Q.M.

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dell’art. 342 c.p.c., nonché l’omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione sulla

La Corte, rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di
Cassazione, che liquida in complessivi €. 2.700,00, di cui €. 200,00 per esborsi.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione Civile, il 3 dicembre 2013.

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