Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6879 del 24/03/2011

Cassazione civile sez. VI, 24/03/2011, (ud. 24/02/2011, dep. 24/03/2011), n.6879

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 23380/2010 proposto da:

M.D., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

TIZIANA MELONI, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE D’APPELLO, MINISTERO

DELL’INTERNO – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA

PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI ROMA, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA

CASSAZIONE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 19/2010 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI del

9/04/2010, depositata il 07/07/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/02/2011 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO DIDONE;

udito l’Avvocato Tiziana Meloni, difensore del ricorrente che si

riporta agli scritti;

è presente il P.G. in persona del Dott. LIBERTINO ALBERTO RUSSO che

ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

1.- M.D., cittadino del (OMISSIS), ha proposto ricorso per cassazione – affidato a cinque motivi – contro la sentenza della Corte di appello di Cagliari depositata il 7.7.2 010 con la quale è stato respinto il suo reclamo contro la sentenza del Tribunale che aveva rigettato il ricorso proposto contro il provvedimento di diniego di protezione internazionale emesso dalla Commissione territoriale di Roma, richiesta sulla base della seguente situazione di fatto: è stato costretto ad abbandonare il proprio Paese a seguito degli scontri feroci che si sono verificati in occasione dell’elezione del capo villaggio e nel corso dei quali è rimasto ferito e suo fratello ucciso. Alla morte del capo villaggio una parte degli abitanti voleva eleggere il figlio dodicenne e “gli altri” evidentemente contrari, hanno rapito il minore e lo hanno nascosto nella capitale dello Stato. La fazione opposta alla sua riteneva che lui e suo fratello “molto forte fisicamente”, avessero ucciso “due dei loro” e pertanto, al fine di “pareggiare i conti”, li cercavano per vendicarsi e dunque ammazzarli. Il fratello è stato purtroppo ucciso mentre lui, per mettersi in salvo, è stato costretto a scappare. Inoltre, poichè lui e il fratello appartenevano alla “frazione debole”, sarebbe stato inutile andare alla polizia. Il loro stato di indigenza non avrebbe consentito loro di pagare i poliziotti e questo, “in un sistema corrotto”, significava esporsi al rischio “di essere presi, trattenuti e picchiati”. Non poteva chiedere l’aiuto e la protezione dello Stato poichè la corruzione delle forze dell’ordine espone i ceti sociali più poveri al rischio di abusi, maltrattamenti e torture.

E’ dapprima fuggito in Libia e da qui, non essendo ivi previsto un sistema di protezione per rifugiati, si è imbarcato per l’Italia.

1.1.- Il ricorso è stato notificato, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c., al ricorrente, al Ministero dell’Interno e al P.G. presso la Corte di appello di Cagliari.

Gli intimati non hanno svolto difese.

Il P.G. e la difesa del ricorrente hanno depositato memorie con le quali evidenziano la mancanza della relazione ex art. 380 bis c.p.c..

2.- In ordine alla mancanza della relazione ex art. 380 bis c.p.c., va ricordato che, secondo quanto già chiarito da questa Corte (Sez. 6, Ordinanza n. 17576/2010) nel giudizio di cassazione relativo ad una domanda di protezione internazionale il richiamo operato dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, (modificato dal D.Lgs. n. 159 del 2008, art. 1, lett. M, e dalla L. n. 94 del 2009, art. 1, comma 13, lett. C), al rito camerale, prescelto per l’esigenza di celerità del procedimento si applicano le seguenti prescrizioni:

a) al ricorso si applicano gli artt. 360, 360 bis, 365 e 366 c.p.c..

b) il procedimento si introduce con deposito del ricorso presso la cancelleria della Cassazione; nel termine perentorio di trenta giorni dalla notifica, a cura della cancelleria della Corte d’Appello, della sentenza che ha deciso sul reclamo ai sensi dell’art. 35, commi 11, 12 e 13;

c) l’instaurazione del contraddittorio avviene, in forma esclusivamente officiosa, mediante fissazione dell’udienza camerale con decreto presidenziale, notificata, a cura della cancelleria della Corte alle parti (Il Ministero dell’Interno presso la Commissione competente; il P.G. presso la Corte d’appello; il P.G. presso la Cassazione);

d) il rito camerale richiamato dall’art. 35, comma 14 del d.lgs. n. 25 del 2008 è incompatibile con la procedura prevista dall’art. 380 bis c.p.c.;

e) il procedimento è incompatibile con la proposizione di un’impugnazione incidentale, attesa l’inesistenza di un impulso di parte a fini acceleratori;

f) è necessario proporre autonomo ricorso nel termine di trenta giorni dalla notifica della sentenza, da riunirsi ex art. 335 c.p.c., a quello principale;

g) le parti possono svolgere le proprie difese mediante deposito di controricorso nel termine di venti giorni dalla notificazione a cura della cancelleria della Corte del decreto di fissazione d’udienza;

h) il controricorso non deve essere notificato alle altre parti nè dal controricorrente nè a cura della cancelleria;

i) le parti costituite possono depositare memorie ex art. 378 c.p.c..

Ciò premesso, va evidenziato che l’espressa previsione legislativa del dovere di notificazione del ricorso e del decreto a cura della cancelleria rende incompatibile il rito in questione – camerale necessario – con le norme di cui agli artt. 380 bis e 380 ter c.p.c., Si che non è possibile accedere all’interpretazione suggerita dal P.G..

2.1.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 35, commi 2 e 9 (D.Lgs. n. 25 del 2008?); art. 75 c.p.c.; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 4, in relazione al D.L. 416/9039/90.

Deduce che erroneamente il Tribunale ha dichiarato il difetto di legittimazione passiva del Ministero dell’Interno e altrettanto erroneamente la Corte di appello ha omesso di rimettere la causa al primo giudice ai sensi dell’art. 354 c.p.c.. A ciò dovrebbe provvedere la Cassazione ai sensi dell’art. 383 c.p.c..

2.1.1.- Il ricorrente è privo di interesse a dedurre la legittimazione di soggetto, rispetto al quale si è formato il giudicato interno circa il difetto di legittimazione.

2.2.- Con il secondo motivo denuncia violazione di norme di diritto e omessa motivazione su punto decisivo perchè con il ricorso al Tribunale aveva eccepito la nullità o inefficacia del provvedimento di rigetto della Commissione perchè non tradotto in lingua comprensibile al destinatario.

2.2.1.- La censura è inammissibile perchè dal provvedimento impugnato non risulta che la questione relativa alla traduzione sia stato oggetto di reclamo e nel ricorso, in violazione del principio di autosufficienza, non risulta indicato in quale atto e in quali termini la censura sia stata sottoposta alla Corte di merito.

2.3.- Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, e relativo vizio di motivazione perchè la Corte di merito ha dapprima ritenuto necessario richiedere informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale del Paese d’origine del ricorrente e, successivamente, ha ritenuto sufficienti informazioni fornite dalla Commissione nel gennaio 2010 benchè con esse non si rispondesse ai quesiti formulati dalla Corte di appello.

2.4.- Con il quarto motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione lamentando la mancata valutazione dei documenti prodotti.

2.5.- Con il quinto motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione lamentando che erroneamente la Corte di merito abbia ritenuto insussistenti le condizioni per la concessione del permesso umanitario.

3.- Il terzo, il quarto e il quinto motivo, esaminabili congiuntamente perchè connessi, sono infondati. La censura relativa alla valutazione delle prove documentali è inammissibile per difetto di autosufficienza, posto che non sono indicati specificamente i documenti ed il relativo contenuto, che avrebbero, se valutati, comportato l’accoglimento del reclamo.

Quanto al vizio di motivazione e alla lamentata mancata integrazione delle acquisizioni probatorie, va ricordato che il regime dell’onere della prova previsto nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, è nel senso che, se il richiedente non ha fornito la prova di alcuni elementi rilevanti ai fini della decisione, le allegazioni dei fatti non suffragati da prova vengono ritenuti comunque veritieri se: a) il richiedente ha compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) è stata fornita un’idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi, le dichiarazioni rese sono coerenti e plausibili e correlate alle informazioni generali e specifiche riguardanti il suo caso; c) il richiedente ha presentato la domanda il prima possibile o comunque ha avuto un valido motivo per tardarla; d) dai riscontri effettuati il richiedente è attendibile.

Alla luce di quanto innanzi esposto il motivo è infondato perchè la Corte di merito ha correttamente escluso la sussistenza dei requisiti per il riconoscimento dello status di rifugiato o per la concessione della protezione sussidiaria alla luce delle medesime affermazioni del ricorrente, evidenziando che quest’ultimo ha esposto problemi sorti all’interno del proprio villaggio e non ricollegati ad una situazione generale del Paese di origine.

Inoltre, la Corte di merito ha, con congrua e logica motivazione, adeguatamente giustificato il giudizio di inattendibilità delle dichiarazioni rese dal ricorrente, escludendo – con accertamento in fatto – l’esistenza della situazione di pericolo invocata dal richiedente. Il ricorso non censura se non genericamente l’accertamento operato dal giudice del merito, il quale ha correttamente escluso che la protezione umanitaria spetti automaticamente in ogni ipotesi di insussistenza delle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato ovvero di concessione della protezione sussidiaria.

Il nuovo sistema di protezione internazionale, ha introdotto una nuova misura, la protezione sussidiaria che, per le caratteristiche intrinseche ed il regime normativo cui è assoggettata, può ritenersi in parte nuova ed in parte assimilabile, esclusivamente sotto il profilo dei requisiti necessari per il suo riconoscimento, ai permessi di natura umanitaria enucleabili dalla lettura coordinata del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, ed art. 19.

In particolare, la protezione sussidiaria deve essere riconosciuta quando esiste il rischio effettivo di essere sottoposto a pena di morte, tortura o trattamenti inumani e degradanti.

Il riscontro positivo di questa condizione non costituisce più una condizione idonea soltanto al rilascio di un permesso di natura umanitaria, di natura temporanea, garantito dall’obbligo di osservare il divieto stabilito nell’art. 3 CEDU, nella lettura fornitane dalla Corte di Strasburgo, rilasciato dal Questore D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6, ma da diritto ad una misura di protezione internazionale, stabile, accompagnata da permesso di soggiorno triennale e dalla fruizione di un complesso quadro di diritti e facoltà (accesso al lavoro, allo studio alle prestazioni sanitarie), direttamente scrutinato dalle Commissioni territoriali.

Peraltro la coincidenza di requisiti tra la misura di protezione sussidiaria e i permessi umanitari preesistenti, trova un espresso riconoscimento giuridico nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 34, comma 4.

La norma prevede che un permesso umanitario, rilasciato ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 251 del 2007, su richiesta dell’organo tenuto all’esame dell’istanza dello status di rifugiato, al momento del rinnovo muta il titolo in protezione sussidiaria.

Da questa disposizione discendono due rilevanti conseguenze: la prima riguarda la conferma della pluralità delle forme di protezione internazionale nelle quali trova attuazione l’art. 10 Cost.; la seconda fa emergere il netto favore legislativo per l’esame unico delle condizioni e delle ragioni umanitarie del richiedente asilo.

Con la domanda di protezione internazionale, ancorchè indistinta, il richiedente ha diritto all’esame delle condizioni di riconoscimento delle due misure di protezione internazionale, previste nelle Direttive, ma senza escludere la possibilità del rilascio di un permesso sostenuto da ragioni umanitarie o da obblighi internazionali o costituzionali diversi da quelli derivanti dal citato art. 3 CEDU (ormai ricompreso espressamente nella protezione sussidiaria) o da quelli indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno od internazionale).

Come nel vigore della L. n. 189 del 2002, e del D.P.R. n. 303 del 2004 (L. n. 189 del 2002, art. 1 quater), anche nel nuovo sistema normativo, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, stabilisce che le Commissioni territoriali, quando ritengano sussistenti gravi motivi umanitari (diversi da quelli posti a base del riconoscimento della misura della protezione sussidiaria) devono trasmettere gli atti al Questore, per l’eventuale rilascio del permesso di soggiorno ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. La Corte di merito ha ben sottolineato la specificità della tutela residuale in disamina, nel senso che essa, non casualmente correlata ad un predeterminato arco di tempo, spetta quando le gravi ragioni di protezione accertate, ed aventi gravità e precisione pari a quelle sottese alla tutela maggiore, siano sol temporalmente limitate (ad esempio per la speranza di una rapida evoluzione del paese di rimpatrio o per la stessa posizione personale del richiedente, suscettibile di un mutamento che faccia venir meno l’esigenza di protezione).

Il ricorso va, dunque, rigettato.

Nulla va disposto in ordine alle spese per l’assenza di attività difensiva degli intimati.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 24 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2011

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