Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6876 del 02/03/2022

Cassazione civile sez. lav., 02/03/2022, (ud. 26/01/2021, dep. 02/03/2022), n.6876

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1100-2018 proposto da:

FASTWEB S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO BERTOLONI, 31, presso

lo studio dell’avvocato FABIO PULSONI, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati SIMONA PRUDENTE, RAFFAELLA RAPONE;

– ricorrente –

contro

FEDERAZIONE LAVORATORI METALMECCANICI UNITI CONFEDERAZIONE UNITARIA

DI BASE FLMUNITI CUB FEDERAZIONE DI (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

GERMANICO, 172, presso lo studio dell’avvocato PIER LUIGI PANICI,

che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati MARGHERITA

GIANNICO, GIOVANNI GIOVANNELLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1298/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 27/06/2017 R.G.N. 119/2015; udita la relazione della

causa svolta nella Camera di consiglio del 26/01/2021 dal

Consigliere Dott. GIUSEPPINA LEO.

 

Fatto

RILEVATO

che la Corte di Appello di Milano, con la sentenza n. 1298/2017 pubblicata il 27.6.2017, in riforma della sentenza n. 2079/2014 resa dal Tribunale della stessa sede, ha dichiarato l’antisindacalità del comportamento di Fastweb S.p.A. “consistito nel non aver operato le trattenute sindacali in favore di FLMUNITI CUB Federazione di (OMISSIS)” ed ha ordinato alla società “di rimuovere detto comportamento antisindacale dando corso alla cessione di credito comunicata dal lavoratore G. a favore del suddetto sindacato”, condannando la medesima al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio; che la Corte di merito, per quanto ancora di rilievo, ha accertato, sulla base della copiosa documentazione prodotta, che l’organizzazione controricorrente in questa sede avesse legittimazione attiva, poiché provvista del carattere “nazionale” richiesto dalla L. n. 300 del 1970, art. 28, essendo “operativa in una buona parte del territorio nazionale” ed orientata “alla tutela dei lavoratori a questo medesimo livello”, secondo l’insegnamento giurisprudenziale prevalente della Corte di legittimità; e, nel merito, che il comportamento che la stessa assumeva essere stato perpetrato in suo danno fosse effettivamente sussistente;

che per la cassazione della sentenza Fastweb S.p.A. ha proposto ricorso articolando due motivi ulteriormente illustrati da memoria;

che FLMUNITI CUB Federazione di (OMISSIS) (Federazione Metalmeccanici Uniti Confederazione Unitaria di Base di (OMISSIS)) ha resistito con controricorso;

che il P.G. non ha formulato richieste.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il ricorso, si deduce: 1) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la violazione e falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 414 c.p.c., n. 5, degli artt. 421, 115 e 116 c.p.c., e dell’art. 2729 c.c., nonché violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 28, “in relazione alla rappresentatività- nazionalità del Sindacato”, perché la Corte di merito non avrebbe considerato che, “nel rito del lavoro, l’omessa indicazione nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado dei documenti e l’omesso deposito degli stessi contestualmente a tale atto determinano la decadenza del diritto a produrli”; ed inoltre in quanto, “dal tenore della motivazione rapportata agli scritti difensivi ed ai documenti agli atti, è evidente che la Corte d’Appello giustificando la propria apparente e approssimativa analisi della prova avversaria con il non consentito apprezzamento atomistico, parcellizzato, di un indizio per volta, si è uniformata alla lettera alla (oggettivamente) non credibile difesa del Sindacato sulla pregnanza probatoria della documentazione fornita a supporto della propria rappresentatività-nazionalità forzando in modo non consentito dalla ratio del combinato disposto dell’art. 2729 c.c., e dell’art. 115 c.p.c., il concetto di presunzione e la rispettiva valenza probatoria”; ed infine, per avere i giudici di secondo grado “ritenuto erroneamente antisindacale la condotta di Fastweb S.p.A. per non avere dato seguito alla richiesta di cessione del credito per disposizione di trattenuta di quota sindacale da parte dei dipendenti (in realtà solo uno, il G.) iscritti al Sindacato”; 2) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “l’omesso esame circa due fatti storici decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti”: al riguardo, si fa riferimento alla “corretta sentenza del giudice dell’opposizione” nella quale si sottolinea che, in sede di “approfondito interrogatorio libero, il rappresentate del Sindacato opponente ha, apprezzabilmente, assunto in udienza l’impegno di fornire “i dati e i relativi riscontri” in ordine al numero degli iscritti alla organizzazione sindacale da lui rappresentata, delle deleghe per il versamento delle quote sindacali e alla loro diffusione sul piano nazionale. Tale impegno non è stato però assolto in alcun modo e misura”; si lamenta, inoltre, che, “a pag. 19 della memoria d’appello, con specifico riferimento alla questione degli iscritti a livello nazionale, si sottolineava che il Sindacato non aveva neppure confermato il numero degli iscritti indicati nel ricorso introduttivo del giudizio delle precedenti fasi in ben 200.000, dato che comunque, pur non dirimente, avrebbe potuto quanto meno rappresentare un importante indice, così come l’allegazione del numero dei lavoratori che avrebbero conferito la delega alla riscossione dei contributi”;

che le censure sollevate nella prima parte del primo mezzo di impugnazione sono inammissibili sotto diversi e concorrenti profili; premesso, infatti, che il giudizio di cassazione – come è noto – è vincolato dai motivi del ricorso che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica, con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate nel codice di rito, le censure sollevate devono possedere i caratteri della tassatività e della specificità e non costituire soltanto critica generica delle sentenze impugnate (cfr., tra le molte, Cass. n. 23797/2019; n. 19959/2014). Ma, nel caso di cui si tratta, la parte ricorrente non ha specificamente indicato sotto quale profilo le norme che si assumono violate sarebbero state incise, né ha precisato, per ciascuna delle argomentazioni esposte nella sentenza sul punto oggetto della controversia, le contrarie ragioni, di fatto e di diritto, idonee a giustificare le censure; e ciò, in violazione della prescrizione di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che esige che il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 codice di rito, comma 1, n. 3, debba essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle disposizioni asseritamente violate, ma anche con specifiche argomentazioni intese motivatamente a dimostrare in quale modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbano ritenersi in contrasto con le disposizioni regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le molte, Cass., Sez. VI, ord. n. 187/2014; n. 635/2015; Cass. n. 19959/2014; n. 18421/2009). Per la qual cosa, le doglianze mosse al procedimento di sussunzione operato dai giudici di seconda istanza si risolvono in considerazioni di fatto inammissibili e sfornite di delibazione probatoria (cfr., ex plurimis, Cass. n. 24374/2015; n. 80/2011);

che, inoltre, le doglianze mosse alla sentenza impugnata non rispettano il canone della specificità del motivo e determinano, nella parte argomentativa dello stesso, la difficoltà di scindere le ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio e, dunque, di effettuare puntualmente l’operazione di interpretazione e di sussunzione delle censure (al riguardo, tra le molte, Cass. n. 21239/2015, n. 7394/2010, n. 20355/2008, n. 9470/2008); al riguardo, va sottolineato che le Sezioni Unite di questa Corte, dinanzi ad un motivo di ricorso che conteneva censure astrattamente riconducibili ad una pluralità di vizi tra quelli indicati nell’art. 360 c.p.c., hanno ribadito la stigmatizzazione di tale tecnica di redazione del ricorso per cassazione, evidenziando “la impossibilità di convivenza in seno al medesimo motivo di ricorso, di censure caratterizzate da irrimediabile eterogeneità” (Cass., S.U., nn. 17931/2013, 26242/2014);

che, comunque, nella sostanza, le doglianze di cui si tratta attengono a censure di fatto, articolate mediante presunti errori di diritto (v. Cass., SS.UU., n. 34476/2019), deducendosi, peraltro irritualmente, la violazione dell’art. 115 codice di rito, dal momento che, in tema di valutazione delle risultanze probatorie, in base al principio del libero convincimento del giudice, la violazione della detta norma è apprezzabile, in sede di ricorso di legittimità, nei limiti del vizio di motivazione di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. (ed in conformità con la nuova formulazione dello stesso) e “deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità” (cfr., ex plurimis, Cass., ord. n. 8763/2019; sent. n. 24434/2016);

che la censura che investe la L. n. 300 del 1970, art. 28, non è fondata: al riguardo, si osserva che, relativamente alla legittimazione del sindacato appellante, la Corte distrettuale si è conformata agli ormai consolidati arresti giurisprudenziali nella materia, del tutto condivisi dal Collegio, che non ravvisa ragioni per discostarsene – ed ai quali, ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., fa espresso richiamo (cfr., ex plurimis, Cass., SS.UU., n. 28269/2005; Cass. n. 1/2020; n. 24612/2019; n. 19272/2017; n. 6206/2012; n. 2314/2012; n. 16787/2011; n. 5209/2010; n. 13240/2009) -, secondo cui, quanto ai profili di legittimazione attiva necessari perché una organizzazione sindacale possa esercitare l’azione di repressione della condotta antisindacale, non devono essere confusi i presupposti di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 19, per la costituzione di rappresentanze sindacali aziendali (che richiedono la sottoscrizione di contratti collettivi nazionali, o anche provinciali o aziendali, purché applicati in azienda, oppure, a seguito dell’intervento additivo della Corte Costituzionale: sent. 23.7.2013, n. 231, la partecipazione del sindacato alla negoziazione relativa agli stessi contratti), con quelli meno stringenti relativi alla legittìmazione prevista ai fini della proposizione di un’azione ai sensi della stessa L., art. 28, per cui è sufficiente che l’associazione sindacale abbia carattere nazionale;

che, ciò premesso, correttamente, la Corte di merito, sulla base dei dati documentali offerti in comunicazione dalla attuale controricorrente (giudicati “produzione organica e dettagliata con indicazione numerica degli atti via via rilevanti e con richiami specifici agli aspetti dedotti così da rendere facile e di immediata individuazione tutte le allegazioni necessarie”; senza “utilizzare presunzioni”), ha ritenuto delibato il carattere nazionale – e, quindi, la legittimazione -, perché la FLMNITI CUB Federazione di Milano svolge una effettiva azione sindacale su gran parte del territorio nazionale, non essendo necessario che la stessa faccia parte di una confederazione, né che sia maggiormente rappresentativa (cfr. Cass., SS.UU. n. 28269/2005, cit.); ed ha, altresì, accertato, nel merito, con argomentazioni del tutto condivisibili e scevre da vizi logico-giuridici, la sussistenza del comportamento in suo danno di cui la stessa si doleva;

che neppure il secondo motivo può essere accolto, perché l’omesso esame di un fatto decisivo non può consistere – come nella fattispecie – nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice di merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo al predetto giudice di individuare le fonti del proprio convincimento, nonché di “valutare le prove e scegliere, tra le risultanze istruttorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione e a dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui un valore legale è assegnato alla prova” (cfr., tra le molte, Cass. n. 24619/2019; n. 16407/2017);

che, pertanto, in considerazione di quanto innanzi osservato, il ricorso va disatteso;

che le spese del presente giudizio – liquidate come da dispositivo e da distrarre, ai sensi dell’art. 93 c.p.c., in favore dei difensori della parte controricorrente, avv.ti Giovanni Giovannelli, Pierluigi Panici e Margherita Giannico, dichiaratisi antistatari seguono la soccombenza;

che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, secondo quanto specificato in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.450,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge, da distrarsi. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 26 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2022

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