Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6874 del 16/03/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 16/03/2017, (ud. 02/02/2017, dep.16/03/2017),  n. 6874

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16761-2015 proposto da:

F.R., elettivamente domiciliato in ROMA, ERITREA 91,

presso lo studio dell’avvocato CARLO POLIDORI, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

AZIENDA TERRITORIALE EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA DEL COMUNE DI

ROMA, (ATER di Roma), in persona del Direttore Generale pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PAOLUCCI CALBOLI 20-E, presso

l’Avvocatura dell’Ente rappresentata e difesa dall’avvocato EDMONDA

ROLLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7469/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 22/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 02/02/2017 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA

BARRECA.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

– con la sentenza impugnata, la Corte d’Appello di Roma ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da F.R. contro la sentenza del Tribunale di Roma che, pronunciando sull’opposizione avanzata dal predetto nei confronti dell’A.T.E.R. del Comune di Roma, aveva ritenuto legittimo il decreto emesso dall’Azienda per il rilascio dell’alloggio occupato dal F. in (OMISSIS), rigettando la domanda del F.;

– nella sentenza della Corte d’appello si legge che “è documentato in atti” che la sentenza di primo grado, non notificata, è stata emessa, “ai sensi dell’art. 429 c.p.c.”, all’udienza del 5 luglio 2013 e depositata in pari data, mentre l’atto d’appello (erroneamente proposto con citazione, anzichè con ricorso) è stato depositato il 27 febbraio 2014, oltre il termine di sei mesi di cui all’art. 327 c.p.c.; la Corte d’appello ha altresì precisato, rigettando la corrispondente obiezione dell’appellante, che il giudice di primo grado dispose il mutamento del rito, e che perciò il gravame avrebbe dovuto essere proposto con ricorso e non con citazione;

– F.R. impugna la sentenza con due motivi;

– l’Azienda Territoriale Edilizia Residenziale Pubblica del Comune di Roma si è difesa con controricorso;

– ricorrendo uno dei casi previsti dall’art. 375 c.p.c., comma 1, su proposta del relatore della sezione sesta, il presidente ha fissato con decreto l’adunanza della Corte, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.;

– il decreto è stato notificato come per legge.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

il ricorrente non contesta il principio di diritto secondo cui “in tema di appello nelle controversie soggette al rito del lavoro (tra le quali quelle in materia di locazioni, ex art. 447 bis c.p.c.), l’art. 434 c.p.c., comma 2, nel fissare il termine di trenta giorni dalla notificazione della sentenza di primo grado per il deposito in cancelleria del ricorso introduttivo del procedimento di secondo grado, è applicabile anche nel caso in cui l’appellante irritualmente adotti la forma della citazione, a condizione che tale atto sia depositato nella cancelleria del giudice dell’impugnazione nel suddetto termine di trenta giorni dalla notificazione della sentenza impugnata” (Cass. n. 1396/01 ed altre successive). Ne contesta l’applicazione fatta nel caso concreto, perchè, a suo dire, il primo grado di giudizio si sarebbe svolto col rito ordinario, e non col rito locatizio;

deduce perciò il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione o falsa applicazione della norma di diritto ed in particolare:

1) “degli artt. 342 e 347 c.p.c. che prescrive la notificazione ai sensi dell’art. 163 c.p.c. ed il perfezionamento con l’iscrizione a ruolo nei dieci giorni successivi alla notificazione”;

2) “dell’art. 426 c.p.c. che prevede il mutamento del rito solo con pronuncia di ordinanza che conceda i termini per la integrazione degli atti”;

– il ricorrente sostiene che, contrariamente a quanto riportato nella sentenza impugnata, il giudice di primo grado non decise la causa mediante la lettura del dispositivo, secondo il rito c.d. locatizio, ma avrebbe “emesso sentenza ex art. 281 sexies come si evince dagli atti di causa”; quindi, non vi sarebbe stato alcun mutamento di rito, e la causa, iniziata col rito ordinario, si sarebbe conclusa con una sentenza emessa ai sensi della norma da ultimo citata – perciò, impugnabile con citazione, e non con ricorso;

– in subordine, il ricorrente contesta l’affermazione della Corte di merito secondo cui l’ordinanza di mutamento di rito si rinviene nel provvedimento col quale il giudice di primo grado rinviò “ad udienza di discussione ex comb. disp. artt. 420 e 429 c.p.c.”: si limita a sostenere che la menzione di questi articoli sarebbe frutto di un “refuso” e comunque, si tratterebbe di provvedimento non conforme a quello previsto per il mutamento di rito dall’art. 426 c.p.c.;

– i motivi sono inammissibili per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, poichè non riportano il contenuto dei verbali di causa e dei provvedimenti del giudice su cui si fondano (rimandando genericamente “agli atti di causa”), ma soprattutto non indicano le date delle udienze cui si riferiscono ed il luogo del fascicolo d’ufficio in cui sono reperibili i provvedimenti richiamati, nè questi sono allegati al ricorso;

– il secondo motivo difetta inoltre di specificità poichè ripropone l’interpretazione dell’art. 426 c.p.c. sostenuta dal ricorrente già nel grado di appello, senza farsi carico di censurare l’affermazione del giudice a quo circa il fatto che la (eventuale) violazione della norma (per mancata concessione dei termini per integrazione degli atti) potrebbe comportare tutt’al più un vizio del procedimento, ma non impedire il mutamento di rito disposto con ordinanza ai sensi della norma medesima;

perciò, il ricorso va dichiarato inammissibile;

non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità poichè l’ATER non ha depositato l’avviso di ricevimento del controricorso (notificato a mezzo posta, ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 1), sicchè, non essendovi prova del compimento del procedimento notificatorio, l’atto è inammissibile;

sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Nulla sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione sesta civile – 3 della Corte suprema di cassazione, il 2 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2017

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