Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6871 del 02/03/2022

Cassazione civile sez. I, 02/03/2022, (ud. 27/01/2022, dep. 02/03/2022), n.6871

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 21330/2015 R.G. proposto da:

A & D s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile

della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’Avvocato

Fausto Bianchi, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Curatela Fallimento (OMISSIS) s.r.l., in persona del curatore Dott.

B.G., elettivamente domiciliata in Roma, Via Trionfale n.

5637, presso lo studio dell’Avvocato Domenico Battista,

rappresentata e difesa dall’Avvocato Fabrizio Spagnoli, giusta

procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza del Tribunale di Livorno del 1/7/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

27/1/2022 dal Cons. Dott. Alberto Pazzi.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Il giudice delegato al fallimento di (OMISSIS) s.r.l. accoglieva parzialmente la domanda di rivendica di alcuni beni mobili presentata da A&D s.r.l..

2. Il Tribunale di Livorno, a seguito dell’opposizione presentata da A&D s.r.l., disattendeva le istanze istruttorie formulate da parte opponente in sede di memoria di replica, ritenendole tardive, inammissibili e irrilevanti.

Osservava che la documentazione prodotta, priva di data certa, non era idonea a dimostrare che A&D s.r.l. fosse proprietaria di larga parte dei beni rivendicati.

Reputava, infine, che la domanda non potesse essere accolta neppure in relazione ai beni di cui ai punti 4, 9 e 10 del ricorso, stante la fondatezza a questo proposito dell’eccezione, sollevata dalla curatela, di revocabilità della cessione dei contratti di leasing concernenti i medesimi beni.

3. Per la cassazione di tale decreto, depositato il 1 luglio 2015, ha proposto ricorso A&D s.r.l., prospettando quattro motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso il fallimento di (OMISSIS) s.r.l..

Ambedue le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

4.1 Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione della L. Fall., art. 99, comma 2, n. 4 e art. 26, in relazione all’art. 101 c.p.c.: il tribunale – in tesi di parte ricorrente – non ha ammesso le prove richieste, in violazione di questo compendio normativo che non detta alcuna disposizione relativamente all’istruttoria dell’opposizione; la quale, quindi, deve intendersi regolata dalle norme del codice di rito che disciplinano il giudizio di cognizione di primo grado.

Il collegio dell’opposizione, d’altra parte, poteva, sentite le parti, assumere d’ufficio i mezzi di prova, secondo le regole proprie del reclamo endofallimentare.

4.2 Il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione della L. Fall., art. 99, comma 2, n. 4, in relazione all’art. 101 c.p.c., in quanto l’opponente, a fronte dell’eccezione della curatela di mancanza di data certa della documentazione prodotta, aveva diritto a replicare sul punto e a indicare prove a confutazione, sollecitando l’acquisizione in giudizio di documentazione di pertinenza di (OMISSIS) in bonis.

4.3 Il terzo motivo di ricorso si duole della falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione agli artt. 2709 e 2710 c.c., perché queste norme – in tesi di parte ricorrente – consentono l’utilizzazione delle scritture contabili della fallita al fine di fornire la prova della data certa della documentazione prodotta dall’opponente.

5. I motivi, da esaminarsi congiuntamente, risultano l’uno (il terzo) non fondato, gli altri, di conseguenza, inammissibili.

5.1 Il collegio dell’opposizione ha ritenuto che le istanze istruttorie formulate da A&D s.r.l. in sede di memoria di replica (costituite dalla richiesta di acquisizione del fascicolo fallimentare, dall’ordine di esibizione in giudizio dei libri contabili e degli estratti conto della fallita e dall’eventuale espletamento di c.t.u. contabile onde accertare la corrispondenza degli importi pagati dalla fallita con quelli dei canoni e dei cespiti acquistati: v. pag. 21 ricorso) risultassero “tardive e inammissibili, dovendo l’opponente, a pena di decadenza, formulare le istanze istruttorie in sede di ricorso”.

Ha aggiunto, subito dopo, che la richiesta di acquisizione del fascicolo fallimentare era, del pari, inammissibile, “essendo onere della opponente la produzione della documentazione necessaria a supportare la propria tesi”.

Ha rilevato, infine, che “la richiesta esibizione dei libri e delle scritture contabili della società fallita” risultava “peraltro irrilevante”, dato che “nel giudizio di opposizione allo stato passivo non trovano applicazione le norme contenute negli artt. 2709 e 2710 c.c.”, atteso che il curatore non può essere annoverato tra i soggetti considerati dalle stesse.

Si tratta di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggere la decisione di diniego dell’ammissione delle istanze istruttorie presentate, l’una fondata sul mancato rispetto del termine di decadenza previsto dalla L. Fall., art. 99, comma 2, n. 4, l’altra giustificata dall’irrilevanza della esibizione richiesta (anche in funzione dell’espletamento della C.T.U.) e dall’inammissibilità della domanda di acquisizione del fascicolo fallimentare (peraltro non specificamente censurata in ricorso).

5.2 La giurisprudenza di questa Corte, da tempo e costantemente, ha ritenuto che al curatore fallimentare, che agisca non in via di successione in un rapporto precedentemente facente capo al fallito, ma nella sua funzione di gestione del patrimonio di costui (come nei giudizi volti all’accertamento del passivo, nel cui ambito il curatore, quale rappresentante della massa dei creditori, si pone in posizione di terzietà rispetto all’imprenditore fallito), non sia opponibile l’efficacia probatoria tra imprenditori, di cui agli artt. 2709 e 2710 c.c., delle scritture contabili regolarmente tenute, non potendo egli, in questa veste, essere annoverato tra i soggetti considerati da tali norme, che operano soltanto tra imprenditori che assumano la qualità di controparti nei rapporti d’impresa (Cass., Sez. U., 4213/2013; si vedano, nello stesso senso, Cass. 27902/2020, Cass. 14054/2015).

Il che significa che nei confronti del curatore che agisca nella sua funzione di gestione del patrimonio del fallito, ponendosi così in una posizione di terzietà rispetto a quest’ultimo, non trovano applicazione tanto il disposto dell’art. 2710 c.c., rimanendo così precluso all’imprenditore di fare ricorso alle proprie scritture contabili per far valere le sue pretese nei confronti della procedura, quanto la disciplina prevista dall’art. 2709 c.c., dovendosi di conseguenza escludere che i libri contabili del fallito facciano prova contro il curatore.

Non si presta, quindi, ad emenda la statuizione assunta dal collegio dell’opposizione, il quale, facendo corretta applicazione dei principi appena richiamati, ha rigettato la richiesta di esibizione dei libri e delle scritture contabili del fallito, il cui contenuto risultava irrilevante (anche in funzione dell’espletamento della C.T.U. contabile che l’opponente aveva sollecitato) proprio perché inopponibile al curatore fallimentare.

5.3 Ne discende l’inammissibilità dei primi due mezzi.

In vero, qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (Cass. 11493/2018, Cass. 2108/2012).

6. Il quarto motivo di ricorso denuncia la falsa applicazione della L. Fall., art. 67,artt. 2901 e 2697 c.c., artt. 100 e 102 c.p.c.: il Tribunale ha registrato che la domanda di rivendica si riferiva, ai punti n. 4, 9 e 10, a beni mobili concessi in leasing alla fallita e riscattati dalla rivendicante.

In realtà – a dire del ricorrente – il bene n. 9 non era stato concesso in leasing alla fallita ed era stato acquistato da A&D s.r.l. con fattura del (OMISSIS), oltre un anno prima della dichiarazione di fallimento, sicché non era possibile proporre a questo riguardo alcuna eccezione revocatoria.

La curatela, inoltre, nell’eccepire la revocabilità dei contratti di cessione del leasing rispetto ai beni n. 4 e 10, non aveva dimostrato che queste operazioni avessero comportato un pregiudizio alle ragioni dei creditori.

Il Tribunale, inoltre, non aveva considerato la mancanza di interesse in capo al curatore a sollevare una simile eccezione, dato che il suo accoglimento avrebbe comportato la restituzione del bene alla società di leasing, nei cui confronti, per di più, il contraddittorio doveva essere integrato.

7. Il motivo risulta in parte inammissibile, in parte infondato.

7.1 Il primo profilo di censura non evidenzia alcuna criticità in punto di diritto in capo alla decisione impugnata, ma intende lamentare un’interpretazione non corretta (in termini di vendita del bene piuttosto che di cessione del contratto di leasing e di data in cui la stessa era avvenuta) della documentazione probatoria fornita.

Senonché l’errore di valutazione delle prove, consistente nel ritenere la fonte di prova dimostrativa o meno del fatto che con essa si intendeva provare, non è sindacabile in sede di legittimità, non essendo lo stesso previsto dalla tassonomia dei vizi denunciabili con il ricorso per cassazione di cui all’art. 360 c.p.c., mentre l’errore

di percezione, quando investa un fatto incontroverso, è censurabile con la revocazione ordinaria, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4 (Cass. 9356/2017).

7.2 Nell’azione revocatoria fallimentare, a differenza di quella ordinaria, la nozione di danno non è assunta in tutta la sua estensione, perché il pregiudizio alla massa – che può consistere anche nella mera lesione della par condicio creditorum o, più esattamente, nella violazione delle regole di collocazione dei crediti – è presunto in ragione del solo fatto dell’insolvenza; si tratta, peraltro, di presunzione iuris tantum che può essere vinta dal convenuto, sul quale grava l’onere di provare che in concreto il pregiudizio non sussiste (Cass. 13002/2019).

Nessuna prova, dunque, doveva essere fornita ad opera della curatela del pregiudizio arrecato alla massa dalla cessione dei contratti di leasing, rimanendo semmai a carico del rivendicante l’onere di dimostrare l’inesistenza di alcun pregiudizio.

7.3 Le eccezioni di carenza di interesse e di mancata integrazione del contraddittorio non tengono conto del fatto, riscontrato dal Tribunale e ammesso dalla stessa odierna ricorrente, che i beni di cui ai punti 4 e 10 erano stati riscattati dalla società di leasing ad opera del cessionario.

Il venir meno del contratto di leasing, a seguito del riscatto e con il trasferimento della proprietà in capo al rivendicante, faceva sì che il Tribunale non dovesse tener conto del precedente proprietario nel considerare l’interesse a sollevare l’eccezione di revocabilità della cessione del contratto e nel valutare l’integrità del contraddittorio.

8. In forza dei motivi sopra illustrati il ricorso deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 5.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 27 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2022

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