Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6870 del 22/03/2010

Cassazione civile sez. I, 22/03/2010, (ud. 11/12/2009, dep. 22/03/2010), n.6870

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mar – Presidente –

Dott. RORDORF Renat – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massim – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vitto – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosari – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Q.M.A. (c.f. (OMISSIS)), domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato BARTOLOMEO MURANA,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

S.L. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA C. MORIN 45, presso l’avvocato PIANA

ALESSANDRA, rappresentato e difeso dall’avvocato TROIANI FRANCESCO,

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 189/2005 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 09/04/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

11/12/2009 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA CULTRERA;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato TROIANI che ha chiesto il

rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per l’inammissibilità, in

subordine il rigetto di tutti i motivi.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Q.M.A., con atto del 22.1994, chiese la condanna di S.L. al risarcimento dei danni che questi le aveva procurato agendo in qualità di amministratore della società Centro Ittico Adriatico s.r.l., con sede in (OMISSIS), nella somma di L. 543.475.351, pari ad Euro 280.681,59, oltre interessi e rivalutazione. Gli addebitò:

1.- d’averla indotta a concedere, con atto 29.4.1988, in favore della s.p.a. Banca Toscana pegno su titoli di Stato per valore nominale di L. 510.000.000 a garanzia dell’affidamento concesso dalla banca alla C.I.A. al fine di accollarglielo;

2.- d’aver aggravato il dissesto economico finanziario della società, perchè, anzichè promuoverne lo scioglimento in presenza delle condizioni previste dall’art. 2448 c.c., aveva contratto con altra banca ulteriore mutuo ipotecario dell’importo di L. 2 miliardi, estinguendo preesistenti passività maturate verso altre banche, ma non il debito contratto con la Banca Toscana, che aveva perciò escusso la garanzia, incamerando l’importo dei titoli dati in pegno;

3.- d’aver precluso ogni possibilità di recupero del suo credito, adoperandosi per ritardare il fallimento della società, che era stato in seguito dichiarato ma dopo il consolidamento dell’ipoteca volontaria;

4.- che per tali motivi, il suo credito era stato ammesso al passivo in chirografo ed era rimasto insoddisfatto a causa dell’assenza d’attivo.

Con sentenza n. 189 depositata il 9 aprile 2005 e notificata il 30 maggio 2005, la Corte d’appello di Ancona, confermando precedente decisione del Tribunale di Ascoli Piceno n. 1476/94, ha respinto la domanda.

Avverso questa decisione Q.M.A. ha proposto il presente ricorso per cassazione in base a cinque motivi resistiti dallo S. con controricorso illustrato anche con memoria difensiva depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

La ricorrente denuncia col primo motivo, violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 146 e degli artt. 2393-2394 e 2395 c.c.. Ascrive alla Corte territoriale d’aver erroneamente affermato che l’azione esercitata rientri fra quelle esperibili dal curatore fallimentare ai sensi della norma in rubrica. L’affermazione secondo cui il danno si materializza nell’incapienza dell’attivo fallimentare esclude implicitamente l’esercizio dell’azione in esame dopo la dichiarazione di fallimento, avocandola in sostanza al curatore ex art. 146 c.c., senza tener conto che, a differenza di quelle ivi previste, l’azione in esame ha natura extracontrattuale, e postula il compimento da parte dell’amministratore di atti dolosi o colposi idonei a danneggiare direttamente i terzi, ai quali spetta relativa diretta legittimazione.

Col secondo motivo, denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2395 c.c.. Censura l’impugnata sentenza per aver identificato i contenuti della norma con quelli dell’azione prevista dagli artt. 2394 c.c., senza coglierne i profili di specialità discendenti dal fatto che essa presuppone la violazione da parte dell’amministratore degli obblighi di lealtà e correttezza verso i terzi, produttivi di pregiudizio diretto. Siffatto errore risulta palese sol se si consideri sia che la causa petendi dell’azione esercitata non era riposta sull’attività gestoria del convenuto ma nella condotta mantenuta in occasione dell’evento dedotto in causa, sia che alcun danno ne ricevette la società essendosi verificata mera sostituzione della sua posizione di garante a quella dell’originario creditore – Banca Toscana -.

Il resistente deduce l’infondatezza dei due motivi, poichè la Corte territoriale ha escluso che i danni lamentati fossero conseguenza diretta dei fatti denunciati.

Col terzo motivo, la ricorrente denuncia violazione dell’art. 2043 c.c., e falsa applicazione dell’art. 2394 c.c., in relazione al rigetto della domanda di risarcimento del danno prodotto dall’ostruzionismo alla dichiarazione di fallimento ed al conseguente pacifico consolidamento dell’ipoteca, che ha impedito il recupero quanto meno della somma di Euro 108.979,31. Questa azione rientra fra quelle esperibili dal curatore fallimentare L. Fall., ex art. 146, che non comprende le azioni esperibili ex art. 2043 c.c. Col quarto motivo, denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2448 e 2449 c.c., assumendo che la violazione della norma è fonte di responsabilità diretta dell’amministratore.

Con l’ultimo mezzo infine, deduce omessa ed insufficiente motivazione in ordine alla dichiarata genericità e conseguente inammissibilità del terzo motivo d’appello, che muoveva censura alla decisione impugnata laddove non aveva riscontrato il pregiudizio denunciato in conseguenza della violazione del disposto dell’art. 2449 c.c..

Il resistente deduce infondatezza del terzo motivo, riferito all’opposizione alla dichiarazione di fallimento, perchè non censura la dichiarazione d’inammissibilità del relativo motivo d’appello, e comunque, ove accertata, tale responsabilità ricadeva nella previsione del disposto dell’art. 2394 c.c.. Del quarto motivo perchè non muove effettiva critica contro la declaratoria d’inammissibilità della doglianza, mossa in appello in ordine all’assenza di prova delle condizioni della società postulate dall’art. 2448 c.c.. Del quinto motivo perchè non coglie nel segno.

I primi due motivi, connessi logicamente e perciò meritevoli d’esame congiunto, non sono fondati.

La Corte territoriale, rilevato che il pregiudizio lamentato dall’attrice sta nell’incapienza dell’attivo fallimentare, ovvero nell’impossibilità che il credito chirografario venga soddisfatto, ha sostenuto che tale causalità è per così dire di secondo grado o riflessa, perchè l’evento è conseguenza della menomazione del patrimonio sociale prodotta in ipotesi dal comportamento dello S..

Più in particolare, ha ritenuto che l’addebito relativo all’utilizzazione dell’affidamento garantito col pegno dei titoli, avrebbe legittimato il solo curatore fallimentare all’eventuale esperimento dell’azione di responsabilità ammessa dal disposto dell’art. 2394 c.c., nei confronti dell’amministratore della società fallita. Con riguardo agli ulteriori addebiti, la precedente decisione, laddove aveva escluso il difetto dell’elemento psicologico dell’illecito, non era stata impugnata.

L’affermazione in fatto non è censurata. La ricorrente non smentisce d’aver subito il pregiudizio invocato in conseguenza del fatto che il suo credito, ammesso al concorso, non può trovare soddisfazione nel riparto fallimentare. Piuttosto espone censura con cui rappresenta pura dissertazione logica.

La sentenza impugnata non contrasta, ma, anzi, ribadisce la corretta interpretazione del disposto normativo dell’art. 2395 c.c., che legittima il terzo, anche dopo il fallimento della società, all’esperimento dell’azione per ottenere il risarcimento dei danni subiti in conseguenza di atti dolosi o colposi compiuti dall’amministratore, ma solo se essi siano conseguenza immediata e diretta del comportamento denunciato, e non il riflesso di quelli eventualmente cagionati al patrimonio sociale – Cass. n. 3176/1981, n. 8359/2007 -. Siamo infatti in presenza di azione avente natura aquiliana, che mira alla reintegra del patrimonio del soggetto direttamente leso dal comportamento dell’amministratore, sia esso il socio ovvero un creditore sociale ovvero un terzo.

Il corollario che ne ha tratto la Corte di merito è corretto. La lesione diretta non è ravvisatale laddove l’attività posta in essere dall’amministratore abbia leso l’integrità del patrimonio sociale, determinandone l’insufficienza a soddisfare le ragioni dei creditori sociali. Questa ipotesi legittima piuttosto il curatore alla diversa azione, avente natura contrattuale, contro l’amministratore ex art. 2394 c.c., a mente del disposto della L. Fall., art. 146, nel cui alveo essa confluisce. Occorre aggiungere che il diritto alla conservazione del patrimonio sociale spetta al più alla società – cfr. Cass. n. 327/1974 -, non al socio direttamente, che semmai ha solo un interesse la cui lesione trova ristoro nell’azione prevista dall’art. 2393 c.c., che anch’essa è esperibile dopo il fallimento dal solo curatore fallimentare – cfr.

Cass. n. 6364/1995 -, tanto meno ai terzi. Il danno diretto postulato per l’esercizio dell’azione prevista dall’art. 2395 c.c., che invoca la ricorrente, è nozione ben diversa, limitata all’effetto immediato sul patrimonio; del terzo dell’atto compiuto dall’amministratore, da intendersi nel senso che l’azione denunciata deve aver avuto ripercussione diretta sulla sua sfera individuale, e non può costituire il mero riflesso del pregiudizio che abbia colpito l’ente stesso ovvero il ceto creditorio come espressione di cattiva gestione – Cass. n. 2850/96 -.

Il giudice d’appello ha correttamente escluso siffatto nesso diretto.

L’incapienza dell’attivo rappresenta mera ricaduta negativa sul patrimonio del singolo creditore di una lesione che colpisce l’intero ceto dei creditori sociali, e la sua denuncia, fonte di responsabilità per l’organo di gestione, è demandata in via esclusiva all’organo fallimentare all’uopo abilitato – v. Cass. n. 10271/2004-.

Il terzo motivo è inammissibile.

La decisione impugnata muove dalla premessa che la prima decisione affermò il carattere riflesso del danno denunciato dall’attrice con riferimento al solo primo addebito, mosso all’amministratore, relativo all’utilizzazione dell’affidamento concesso dalla Banca Toscana. Per gli altri addebiti, le ragioni sono riposte nell’assenza dell’elemento psicologico. Ha comunque esaminato e respinto il motivo d’appello, perchè non coglie la duplice ragione espressa sul punto dal primo giudice che aveva affermato che l’azione poteva essere esercitata dal solo curatore; non era riscontrabile colpa o dolo dell’amministratore nell’opporsi alla dichiarazione di fallimento;

l’aggravamento dello stato di dissesto rilevava come danno mediato;

restava comunque indimostrato che in caso contrario sarebbe stata revocata l’ipoteca volontaria concessa a garanzia del successivo finanziamento.

Il motivo in esame non coglie siffatta ratio decidendi.

Ripropone il tema già trattato nei precedenti motivi, e si dilunga sulla possibile revoca dell’ipoteca volontaria, ma non censura la statuizione negli altri riferiti passaggi logici. Soprattutto non smentisce la ravvisata genericità dell’esaminato motivo d’appello, nè ne confuta tale qualificazione, assumendone di contro la specificità.

Omette infatti di richiamarne quanto meno i tratti salienti.

Non espone neppure alcuna argomentazione critica che smentisca l’intervenuta inoppugnabilita della statuizione assunta dal giudice di primo grado in ordine all’affermata assenza di colpa o dolo, elemento costitutivo dell’azione esercitata, ascrivibili al comportamento dello S., che resta perciò ormai conclamata con effetto di giudicato.

Ciò preclude l’ingresso all’esame delle doglianze coltivate nel motivo.

Analoga sorte meritano il quarto ed il quinto motivo, connessi logicamente e dunque meritevoli d’esame congiunto.

La sentenza impugnata afferma che la violazione del disposto dell’art. 2449 c.c., per aver il convenuto stipulato il mutuo ipotecario in presenza già dal 1990 di situazioni riconducibili al disposto dell’art. 2448 c.c., nn. 2-3 e 4, era stata denunciata nell’originario atto introduttivo con genericità. Il presunto danno era inoltre riconducitele al disposto dell’art. 2394 c.c., nè poteva essere ascritto allo S., in quanto la precedente pronuncia non era stata impugnata laddove aveva escluso il comportamento doloso o colposo del predetto.

La censura esposta nel quarto mezzo coltiva ancora dissertazione sulla legittimazione del terzo ad agire direttamente contro l’amministratore laddove questi abbia compiuto nuove operazioni in presenza di una causa di scioglimento dell’ente. Non confuta invece l’asserita genericità della relativa censura mossa con l’atto d’appello. Non coglie perciò neppur essa nel segno. Il quinto mezzo, con cui invece si critica tale affermazione, è affidato ad astratte argomentazioni e comunque non muove censura all’affermata insussistenza di colpa o dolo ascrivibili all’amministratore, assolutamente decisiva e come tale idonea a sorreggere il dictum conclusivo.

Ne discende il rigetto del ricorso con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 5.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 11 gennaio 2009.

Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2010

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