Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6870 del 11/03/2020

Cassazione civile sez. trib., 11/03/2020, (ud. 14/01/2020, dep. 11/03/2020), n.6870

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – rel. Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al numero 9008 del ruolo generale dell’anno

2013, proposto da:

C.T., rappresentata e difesa, giusta procura speciale a

margine del ricorso, dall’avv.to Visone Domenico e dall’avv.to

Balestrieri Bonaventura, elettivamente domiciliata presso lo studio

dell’avv.to Raglione Roberto, in Roma, Via Ricasoli n. 7;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Campania, sezione staccata di Salerno, n. 439/12/12

depositata in data 6 settembre 2012, non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14 gennaio 2020 dal Relatore Cons. Putaturo Donati Viscido di Nocera

Maria Giulia.

Fatto

RILEVATO

Che:

– con sentenza n. 439/12/12 depositata in data 6 settembre 2012, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Campania, sezione staccata di Salerno, accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, nei confronti di C.T. avverso la sentenza n. 19/02/10 della Commissione tributaria provinciale di Avellino che aveva accolto il ricorso proposto dalla suddetta contribuente avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) con il quale l’Ufficio aveva contestato a quest’ultima, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, maggiori ricavi, ai fini Irpef, Irap e Iva, per l’anno 2003, sul presupposto della incompatibilità tra il possesso di un’auto di lusso e il reddito dichiarato nel detto anno di imposta;

– la CTR, in punto di diritto ha osservato che l’accertamento induttivo poteva essere basato, come nella specie, su un solo indizio purchè grave qual era il possesso di un’auto di lusso, sicuro indice di una maggiore capacità contributiva della contribuente, implicando una capacità di spesa, sia di acquisto che manutentiva, di grado eminente e comunque superiore a quella media redditualità dichiarata dalla medesima;

– avverso la sentenza della CTR, la contribuente propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui resiste, con controricorso, l’Agenzia delle entrate;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

– con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione agli artt. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 20 e 53 e degli artt. 101,160,330 e 350 c.p.c. per avere la CTR erroneamente dichiarato la contumacia della contribuente nel giudizio di appello, ancorchè alcuna notifica dell’atto di gravame fosse stata effettuata presso il procuratore domiciliatario della medesima;

– il motivo è inammissibile, in quanto la ricorrente, oltre ad avere evocato congiuntamente l’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 non ha trascritto in ricorso, in difetto ili autosufficienza, la relata di notifica e gli atti relativi al procedimento notificatorio, al fine di consentire la verifica della fondatezza della doglianza in base alla sola lettura del ricorso, senza necessità di accedere a fonti esterne allo stesso; ciò in ossequio al condivisibile principio di diritto di questa Corte secondo cui “In tema di ricaso per cassazione, ove sia denunciato il vizio di una relata di notifica, il principio di autosufficienza del ricorso esigeva trascrizione integrale di quest’ultima, che, se omessa, determina l’inammissibilità del motivo” (Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 5185 del 28/02/2017; Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 31038 del 30/11/2018); peraltro, come si evince dalla sentenza impugnata, la CTR ha affermato che “radicatasi la lite nel presente grado, l’appellata C. non si costituì”, con ciò compiendo un accertamento in fatto circa l’avvenuta regolare instaurazione del contraddittorio, non sindacabile in sede di legittimità;

– con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione agli artt. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 5, la,,fiolazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata per avere la CTR ritenuto legittimo l’accertamento induttivo dell’Ufficio, ancorchè quest’ultimo fosse basato su un unico elemento presuntivo non grave, avendo la contribuente già chiarito, in sede di risposta al questionario, che l’autoveCura “Peugeot 406” era stata acquistata usata, con pagamento rateale, e che i relativi costi erano contenuti in considerazione dell’utilizzo modico della stessa;

– il motivo si profila inammissibile sotto vari aspetti di seguito indicati;

– in primo luogo, la simultanea deduzione di più vizi tra quelli denunciabili ex art. 360 c.p.c. – in particolare, violazione di legge e vizio motivazionale- tra loro così inestricabilmente accomunati nell’esposizione, impedisce o comunque, rende assai difficoltoso individuare le questioni riconducibili all’uno o all’altro dei due vizi dedotti (in tal modo precludendo l’applicazione del principio espresso dalle Sezioni unite di questa Corte nella sentenza n. 9100 del 2015), non essendo “ricompreso nel compito di nomofilichia assegnato al Giudice di legittimità anche la individuazione del vizio in base al quale poi verificare la legittimità della sentenza impugnata, come emerge dal combinato disposto dell’art. 360 c.p.c. e art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4 che riservano in via esclusila tale compito alla parte interessata” (cfr. Cass. n. 18242 del 2003 e n. 4610 del 2016); al riguardo, questa Corte ha ribadito che (cfr., ex multis, Cass. n. 2161.1 del 2013; v. anche Cass. 7009 del 2017; 3170 del 2018) secondo cui “il motivo di impugnazione che (come nel caso qui vagliato) prospetti una pluralità di questioni precedute unitariamente dalla elencazione delle norme che si assumono violate, e dalla deduzione del vizio di motivazione, è inammissibile, richiedendo un inesigibile intervento integrativo della Corte che, per giungere alla compiuta formulazione del motivo, dovrebbe individuare per ciascuna delle doglianze lo specifico vizio di violazione di legge o del vizio di motivazione”;

– peraltro, in difetto del principio di autosufficienza, la ricorrente non ha riprodotto nè l’avviso di accertamento in questione, nè gli atti difensivi (ricorso introduttivo) in cui avrebbe già dedotto la mancata considerazione da parte dell’Ufficio delle precisazioni rese dalla medesima contribuente, in sede di risposta al questionario, circa le modalità di acquisto e i costi di mantenimento dell’autovettura di lusso, non consentendo alla Corte di valutare, sulla base degli atti, la fondatezza della proposta censura; peraltro senza produrre o trascrivere in ricorso il contenuto del questionario inviatale dall’Ufficio al fine della verifica degli adempimenti sopra indicati (v. nello stesso senso della inammissibilità per difetto di autosufficienza Cass. n. 7603 del 2016); ciò in spregio con l’insegnamento di questa Corte, secondo cui “Il ricorrente per cassazione che intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento c’a parte del giudice di merito, ha, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, il duplice onere, imposto a pena di inammissibilità del ricorso, di indicare esattamente nell’atto introduttivo in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione, e di evidenziarne il contenuto, trascrivendolo o riassumendolo nei suoi esatti termini, al fine di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo, senza dover procedere all’esame dei fascicoli d’ufficio o di parte (Cass. n. 743 del 2017; n. 26174/14, sez. un. 28547/08, sez. un. 23019/07, sez. un. ord. n. 7161/10);

– in conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato;

– le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi Euro 2.300,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza del presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore. importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2020

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